
Dal profondo della notte
di
Attilio del Giudice
Miriam Celestini si è laureata il mese scorso, brillantemente. E’ stata sempre brava a scuola ed è l’orgoglio dei genitori, una ragazza seria, che non ha mai avuto grilli per la testa. E’ gentile con tutti ed è generosa con le amiche che l’adorano.
Miriam è scomparsa. Forse è stata rapita. In casa aspettano la richiesta di un riscatto. Il padre ha fatto un appello in televisione, non ha saputo trattenere le lacrime. La madre non sta bene, è stata ricoverata. Ieri è arrivata una lettera dalla Germania: “Cari genitori, lasciatemi libera. L’Italia è un paese che non posso amare. Non posso viverci. Quando mi sarò sistemata, vi farò sapere dove mi potrete raggiungere. Restate tranquilli! Vi amo. Miriam”
Certo la grafia era sua, ma non era credibile che avesse preso una decisione così importante da sola, senza parlarne alla madre, senza un motivo grave, un motivo plausibile.
No, certamente Miriam era stata costretta a scrivere la lettera. Si poteva desumere che era viva, questo sì, ma non si poteva escludere che l’avessero rapita per il mercato delle ragazze, un mercato che si stava espandendo a macchia d’olio negli ultimi mesi, e di cui si parlava ogni giorno nei telegiornali.
Leggevo queste notizie sulla cronaca del Messaggero, mentre ero nella metropolitana linea b, diretto alla stazione Euro Magliana, dove mi sarei incontrato con un tale per l’acquisto di un’ auto tedesca di seconda mano. Però ero informato della scomparsa di Miriam, che conosco da quando è nata, essendo un amico della famiglia Celestini da molti anni.
Sono sceso, mi sono guardato intorno. Un giovane alto, biondino, si è avvicinato e mi ha chiesto se ero quello della macchina.
“ Si, come ha fatto a capirlo?”
“ Non ne ero sicuro, ma ho visto che cercava qualcuno…”
“Dalla voce al telefono non la facevo così giovane.”
“ No, infatti al telefono non ero io, era mio cugino, che… è più anziano.”
“ Ah, ecco. E ora devo parlare con lui?”
“ Sì, l’accompagno. Sta un po’ fuori mano, ma ho la macchina. Venga!”
Aveva un suv straniero, enorme. Durante il percorso gli ho chiesto come mai non fosse venuto lui, il cugino, direttamente. Al telefono aveva detto:”ci vediamo alla stazione della metropolitana.”
“Non ha voluto dare tante spiegazioni. Lui non si può muovere facilmente, sta su una sedia a rotelle.”
“Ah, questo mi dispiace. E la Mercedes non è sua?”
“ No, no, è sua, solo che la guidiamo noi. Io o mio fratello.”
”Ho capito. Lei pensa che mi possa venire un altro po’ incontro col prezzo? Vede, pago in contanti e se le condizioni della macchina sono quelle descritte al telefono, la ritiro subito.”
“Magari una parola ce la metto, poi, lei mi fa un regalino”
“D’accordo. Facciamo così: su ogni 100 euro di risparmio che riesce a ottenere, le darò il dieci per cento.”
“ Facciamo il venti!”
“ Va bene, affare fatto.”
Siamo arrivati praticamente in aperta campagna tra catapecchie e tuguri da terzo mondo, di cui nessuno amministratore potrebbe giustificarne l’esistenza nella capitale. Ha fermato il SUV davanti a un capannone in mezzo ad alberi bruciati da un incendio recente, che sembrava aver colpito tutto il montarozzo, e ha detto. “Mio cugino sta qua. Scendiamo!”
Entrando nel capannone, quello che più dava nell’occhio era la sporcizia. Si capiva che ci dormivano, infatti c’erano tre brandine e ci cucinavano anche, lo si desumeva dai fornelli luridi, dalle pendole nello sciacquone e dai piatti sporchi e, soprattutto, dal fatto che si avvertiva un fetore di cibarie andate a male. Istintivamente stavo per fare marcia indietro e chiedere al biondino che mi riportasse dove mi aveva trovato.
Non si vedeva più il cugino e fuori il capannone non avevo notato nessuna Mercedes, solo, mi pare, una vecchia Bravo arrugginita, senza ruote.
Ma da una specie di sgabuzzino, che doveva essere il cesso, uscì con la sedia a rotelle un uomo deforme in maniera vistosa , con un braccio anchilosato e il naso orribile, come fosse stato rosicchiato fino all’osso da un animale.
“ L’aspettavamo. Lei è quello che vuole acquistare la Mercedes? L’ho mandata al lavaggio, la vedrà fra pochi minuti. S’accomodi, prego!”
C’erano tre sedie dietro un tavolo, due mi sembravano impraticabili, una terza dava più affidamento. Mi sono seduto, con i muscoli tesi, pensando che dovevo lasciare quel luogo il più presto possibile.
“ Forse – ho detto – sono stato troppo precipitoso. Forse è meglio che ci rifletta ancora un po’ e quando ho deciso, mi faccio sentire io. La ringrazio e mi scuso se…”
“ Per carità, prima di decidere bisogna pensarci bene!”
Il Biondino, che era improvvisamente ritornato, è intervenuto col fare di chi vuole mettere le cose in ordine: “Paride, il signore qua, vuole risparmiare almeno 200 euro. Se si può fare, paga subito.”
“200 euro non sono pochi, però, se paga alla consegna in contanti, facciamo uno strappo e l’accontentiamo.”
“No, guardi, io, in questo momento, prescindo dal risparmio, voglio pensarci. Abbia pazienza! Devo andare.” Mi sono alzato e sono andato quasi di corsa verso la porta. Appena ho aperto la porta, davanti a me c’era Miriam.
“ Miriam, che fai? Com’è che ti trovi qui? I Tuoi ti cercano disperatamente!”
“ Sta’ zitto! Io sono la Mercedes. Comprami e portami via!”
“ Miriam, fammi capire, come sarebbe che sei una Mercedes?”
“Non perdere tempo se mi vuoi salvare, comprami! Fai presto ti prego! Ti prego! Vai, vai dentro! Paga quello che ti chiedono!”
Sono rientrato e ho detto:“Ho visto la Mercedes. Va bene, la compro. Quanto devo pagare?”
“Quello che s’era concordato: dieci mila euro, meno i 200 che vuole risparmiare.”
Ho tirato fuori dal borsello il danaro e ho messo i dieci mila euro sul tavolo. “Ecco il danaro. I duecento, se li tenga, li dia al biondino!”
Ho aperto la porta e sono uscito sulla strada. Miriam era scomparsa.
Allora l’ho chiamata: “ Miriam, Miriam, dove sei? Miriam rispondi!”
L’avevano fatta sparire. Sono rientrato e ho gridato: “Dove l’avete nascosta?”
“Che cosa, signore?”
“Miriam, la ragazza! Stava qui fuori un minuto fa, dov’è adesso?”
“ Signore di chi parla? Io le ho venduto una Mercedes, lei ha detto che la ritirava subito.”
“Se non mi dite dove avete nascosto la ragazza, io vi denuncio, delinquenti, delinquenti assassini!”
Ho gridato così forte nel sonno che mi sono svegliato. Mia moglie era già sveglia e aveva ascoltato le mie grida. “Amore, hai avuto un incubo? Che hai sognato? Gridavi come un pazzo: delinquenti, assassini! Che è successo?”
“Dio mio! Si, un incubo terribile”
“Amore, sei tutto sudato, vado a prenderti un asciugamani.”
“ Ma che ore sono?”
“ Sono le cinque e venti”
“ Mi dispiace d’averti svegliata. Gridavo forte?”
“ Si, Amore, gridavi. Ma non ti preoccupare per me. Me lo dici che hai sognato?
“Si, te lo dico, ma prima voglio sapere una cosa: Miriam, quando l’hai vista l’ultima volta?”
“Ieri sera.”
“ Dove l’hai vista?”
“ Amore, ma che ti viene in mente? L’ho vista nel supermercato, questo sotto casa. Abbiamo parlato e siamo uscite insieme.”
“ E tu l’hai vista entrare nel portone di casa?”
“ Amo’, ma ti senti bene? Si, l’ho vista entrare. Non capisco dove vuoi andare a parare!”
“ Ascolta, fammi un favore, devo togliermi questo pensiero: Telefona ai Celestini e chiedi che tutto sia a posto.”
“ Ma tu sei pazzo? Telefono alle cinque e mezzo del mattino, per chiedere se sta tutto a posto? Sta tutto a posto da voi? Perché da noi mio marito non sta a posto con la testa…Amore, dai! Vuoi che ti prepari una tisana?.”
“No, no. solo un bicchiere d’acqua”.
Ero turbato. Non avevo mai fatto un sogno così preciso, così narrativo, con le sequenze concatenate come in un film. L’aria era pesante, l’afa già insopportabile. Andai in veranda per respirare meglio. La città lentamente si metteva in moto. Rivedevo tutte le scene del sogno e rivivevo il malessere, la nausea, quell’individuo mostruoso, la rabbia.
Alle nove chiamò al telefono la signora Celestini. “Come stai Antonia? Ti sei ripresa?”
“ Sto bene, in che senso mi sono ripresa?” – disse mia moglie.
“ Ieri Miriam ha detto che veniva da te per dare una mano, che avevi la febbre alta, che forse si sarebbe trattenuta a dormire da te. Ora che fa, dorme ancora? Se è sveglia, me la chiami?”
Allora la realtà coincideva con il sogno? Con quell’incubo atroce?
Antonia mi guardava spaventata. Non riusciva a parlare. Cercai di introdurre nel caos di emozioni e nella sensazione di essere preda di un mistero, qualche pensiero razionale, per esempio, non si poteva escludere un elemento statistico, vale a dire la probabilità, una su dieci mila, che le due realtà, quella della vita e quella del sogno avessero lo stesso tessuto narrativo.
Devo dire, però, che, per quanto mi sforzassi di introdurre questa idea, mi sembrava che la mente non la potesse accettare come balsamo a un dolore che ci coinvolgeva enormemente.
E se mi servissi del sogno per collaborare con la Polizia? Potrei descrivere con dovizia di particolari il luogo dove era stato commesso il crimine, dove, forse, tenevano prigioniera la ragazza,
dove le persone, forse, venivano vendute come auto usate. Ma il sogno, che mi era apparso lucido, dove le sequenze mi erano sembrate consequenziali le une alle altre in un racconto di tipo cinematografico, ora mi appariva pieno di contraddizioni e in un’aura surreale propria di oscuri fenomeni onirici. Come avrei potuto farlo accettare dalla polizia quale testimonianza inconfutabile, senza destare dubbi e perplessità?. Io stesso potevo essere sospettato di complicità, di voler depistare le indagini, quale connivente della criminalità. No, non avevo alcun supporto razionale, non potevo parlarne.
Tre giorni dopo, nella campagna romana, vicino Santa Marinella, quindi in un luogo lontano da quello del mio sogno, due donne, mentre raccoglievano la cicoria selvatica, trovarono il corpo di Mirian.
Le analisi della Polizia scientifica evidenziarono che la ragazza era stata oggetto di gravi violenze fisiche e abusi sessuali da parte di più persone e che la morte non l’aveva raggiunta in quel luogo dove l’avevano trovata le due donne, ma era avvenuta due o tre giorni prima in un altro posto.
Di tanto in tanto vado col pensiero a quell’incubo maledetto e, nell’inquietudine che si rinnova puntualmente, non posso evitare di interrogarmi sulla materia dei sogni e sui loro misteriosi messaggi.




















L’esistenza della casa dove sono cresciuto mi è sempre stata spiegata con un “l’ha costruita il nonno” che mi è sempre sembrato poco plausibile. La costruzione di un simile edificio richiede competenze che vanno dal muratore all’elettricista al falegname, e mio nonno ha solo un banco da falegname, col quale peraltro la cosa più complessa che gli ho visto costruire sono i portafavi per le sue api.






Quando torno da scuola mangio da mia nonna. Appena arrivo accendo la televisione e se c’è un cartone animato mia nonna dice sempre ma cosa guardi queste stupidaggini. Un giorno porto su il videoregistratore dei miei e metto I predatori dell’arca perduta. Lei non dice niente: si vede che per il cinema ha rispetto, anche se non l’ho mai vista davanti a un film.