di Gianni Biondillo
A non volerci far troppa filosofia è che non ho la patente. Quindi o mi arrangio o me la faccio a piedi. Come al solito però quello che può apparire un limite può svelarsi una opportunità. Quella di scoprire – quasi con una perseveranza tignosa, dal vago sapore antimoderno, di chi vive in un mondo governato dalla velocità -, anzi, di riscoprire il ritmo, il passo umano. Siamo animali strani noi. Non veloci, non potenti. Ma costanti. Possiamo camminare, fin dalla notte dei tempi, per giorni. Quattro, cinque chilometri l’ora. Più o meno tutti. L’abbiamo dimenticato, ma è così, dall’alba dei tempi, che abbiamo colonizzato il mondo. A piedi. E quindi, sì, facciamola pure un po’ di filosofia: non ho la patente non perché bocciato all’esame di guida, ma per scelta. Di vita, potrei dire vagamente tronfio. Scelta che negli anni ha assunto sempre più connotati etici, politici. Abbiamo dimenticato il paesaggio che ci circonda, l’abbiamo lasciato sullo sfondo, come una cartolina, come un album di fotografie stereotipate e nel frattempo abbiamo permesso lo sciupio del territorio. Ma in un viaggio, ogni autentico viandante lo sa, quello che conta non è mai la meta, quella magari immortalata dalle Polaroid (o Instagram che sia). È il percorso. Da farsi a piedi. È solo così che si scoprono tesori inattesi.
Tutto questo, se da ragazzo lo sapevo quasi inconsapevolmente, è diventato un campo del pensiero che ho attraversato di volta in volta con vari compagni (di strada, come è ovvio). Con Gianluca Migliavacca, accompagnatore di media montagna e coordinatore di Trekking Italia, che mi ha insegnato a riscoprire i sentieri nella loro complessità, col collega scrittore Michele Monina, col quale abbiamo ragionato a lungo sul camminare come esperienza estetica. Psicogeografia, così si chiama la disciplina nata con le avanguardie francesi del secolo scorso che tratta di tutto ciò. Anche se, come è ovvio, l’uomo cammina da sempre e da sempre ragiona su questa facoltà. Questa “storia del camminare” (citando il bel libro di Rebecca Solnit), questo interpretare i paesaggi attraverso il passo dell’uomo, restituendolo attraverso varie forme di narrazione (fotografiche, filmiche, artistiche, letterarie, etc.) è diventata la mia passione. Magari fatta di esperienze “al limite”, come quando nel 2009 con Michele abbiamo fatto il giro delle tangenziali di Milano a piedi, cercando paesaggi estremi, quelli che nessuno racconta, per restituire loro dignità.
Le passioni, quando sono autentiche, si possono anche trasmettere. Ed è quello che m’è accaduto quest’anno, grazie all’Accademia di architettura di Mendrisio, dove ho potuto tenere un corso semestrale di “Elementi di psicogeografia e narrazione del territorio”. Lezioni teoriche, come un corso accademico prevede. Certo, il mio saltabeccare durante le lezioni di disciplina in disciplina, citando antropologi, filosofi, artisti, architetti, scrittori, paesaggisti all’inizio può aver terrorizzato i miei studenti. Ma questo dove vuole arrivare?, sembrava chiedessero i lori sguardi muti. Poi tutto s’è fatto chiaro quando dalla teoria s’è passati alla pratica. Quando, aiutato dal mio “braccio destro” Francesco Rizzi, ci siamo messi in cammino. In un freddo sabato novembrino, da Riva San Vitale, sul lago di Lugano, a piedi fino a Cernobbio, sul lago di Como. Neppure un quarto d’ora in macchina, probabilmente. Un’intera giornata, fra campi, strade poco battute, affiancando ferrovie o autostrade, costeggiando canali, perdendoci nei borghi o nei centri commerciali. In una sorta di terra di nessuno, avendo come partenza e arrivo due luoghi consolidati dell’immaginario, per svelare, in questa deriva, quanto di esotico, cioè proprio di estraneo, sconosciuto e lontano dal nostro sguardo, possa esistere “sottocasa”. Si è trattato, in pratica, di imparare a guardare con occhi diversi, senza pregiudizi, territori continuamente modificati, manipolati, spesso violentati dall’uomo. Battisteri paleocristiani accostati a complessi scolastici anni Settanta, campi coltivati e superstrade, edilizia residenziale e capannoni, persistenze storiche e postmodernità. Tutto nel volgere di una giornata.
Ed ecco che i ragazzi, dapprima riottosi, hanno iniziato a capire il senso delle lezioni teoriche. A prenderci gusto. Hanno fotografato, registrato, filmato, intervistato. Ora sarebbe troppo lungo raccontare tutti i nostri incontri inaspettati. La scoperta di architetture del Novecento di grande valore (dalla villa studio a Riva San Vitale di Durisch fino alla casa Cattaneo a Cernobbio), di pievi romaniche (e la relativa sagra di San Martino a Mendrisio), di “superluoghi mondialisti” come il FoxTown, di terrazzamenti coltivati a vite o ponti dei suicidi sulle gole della Breggia. Storie. Che parlano di economia, politica, umanità, di un territorio di confine.
Confine che abbiamo attraversato in un passaggio pedonale incustodito a Maslianico, dove una delegazione di ex alpini ci ha accolto rifocillandoci con pane, salame, vino e tanta allegria. E dove ci hanno mostrato il lavoro complesso che, da volontari, stanno facendo sui percorsi di ronda dei finanzieri ormai abbandonati da decenni. Camminamenti e scalinate radenti la “ramina”, oggi ricoperti di rovi che gli alpini stanno ripristinando, per rendere onore a storie di uomini e donne, di passatori e contrabbandieri, di povertà e di emancipazione. Percorsi che sono monumenti itineranti del territorio che consiglio a chiunque di ripercorrere, anche per tenere viva la memoria della nostra storia recente.
Quello che abbiamo fatto quella mattina oggi è diventato un luogo virtuale che può essere visitato da chiunque. Assieme ai ragazzi del corso abbiamo deciso di creare con i materiali raccolti un sito web dove ogni studente, con le sue peculiarità e la propria sensibilità, ha concentrato il suo lavoro su vari punti del percorso, realizzando video, fotografie, disegni, audio. Il sito (www.psicogeografia.com) è stato messo on line dal nostro web master, Francesco Mussi, il 25 gennaio. Adesso ognuno può idealmente ripercorrere l’esperienza fatta quel sabato novembrino. Sentire lo scorrere del fiume, le campane del mezzodì, vedere i campi coltivati, le panchine, le pavimentazioni, incontrare persone e osservare i paesaggi con occhi nuovi. Come abbiamo fatto noi. E come i ragazzi hanno compreso a fine del viaggio, quando – sul battello che ci portava a Como da Cernobbio, stappata una bottiglia di spumate (regalo degli alpini) per brindare alla fine del viaggio – qualcuno m’ha detto, con una semplicità disarmante: “grazie prof, è stato bellissimo”. Il regalo più inatteso per me.
(pubblicato su L’ordine inserto della Provincia di Como, il 16 febbraio 2014)



















