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Comprendere la sorveglianza

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Comprendere la sorveglianza – La nuova privacy policy di Google è una buona lettura per capire cos’è il tracciamento, la correlazione dei dati e la profilazione in rete. – Jan Reister

Costruire il bello

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di Marco Belpoliti

Pasolini e Ninetto sono a fianco della macchina da presa che inquadra la città di Orte. Il poeta spiega che ha una forma perfetta, ma se si allarga l’obiettivo, e s’include nella visione le case moderne, che sorgono lì accanto, ci si accorge che “la massa architettonica è deturpata, rovinata”. È il 1974 e il regista sta girando un documentario televisivo sulla forma della città, e si pone in modo diretto il problema della bellezza. È una visione che lo strazia, e di cui ha dato conto in alcuni degli articoli sul “Corriere”.
Sono trascorsi quasi quarant’anni e il problema della bellezza esplode di nuovo, e in modo radicale, davanti ai nostri occhi. Un tempo era ritenuto un argomento di “destra”, come se l’estetica non potesse coniugarsi con l’etica; oggi gli italiani interrogati dal Censis, dentro questa crisi economica, scoprono che le loro città sono brutte, o rischiano di imbruttirsi ulteriormente, e capiscono in modo lampante che costruire un edificio bello non costa di più che costruirne uno brutto. Una città brutta fa vivere male, pensare male e anche sognare male. Pasolini aveva ragione: stiamo dilapidando la nostra ricchezza che consiste nella bellezza, nel vivere in città che possiedono il genius loci. E non è solo questione di architetture del passato. A Parigi, decenni fa, il Beaubourg, architettura high-tech, progettata da Piano e Rogers, ha creato uno spazio urbano vivibile e caratteristico, e persino bello. L’architettura non ha solo un valore estetico, ma, come spiega l’inchiesta del Censis, può avere anche un valore economico. Possono i sindaci delle grandi città italiane, come quelle di provincia, e i loro assessori all’urbanistica, pensare alla bellezza oltre che alle carte bollate e alla burocrazia?
Faccio un caso recentissimo ed esemplare. A Milano, proprio di fronte al Cimitero Monumentale, uno dei punti simbolici della città, ricco di sculture funebri, e con il celebre Famedio dei cittadini illustri, un infausto piano urbanistico, confezionato dalla giunta Moratti e proseguito e perfezionato dalla giunta Pisapia, prevede la costruzione di un albergo di nove piani dentro l’area di rispetto, un edificio in stile postmodernista in ritardo di vent’anni. Lì accanto un vecchio palazzo dell’Enel degli anni Trenta dovrà essere demolito per far posto a un ecomostro di nove piani in un quartiere di case che al massimo ne hanno quattro. Parte di questi edifici è di edilizia convenzionata, ovvero per le classi meno abbienti. Un’iniziativa opportuna, dare una casa a prezzi calmierati, ma per farlo si costruisce un bruttissimo palazzo fuori scala a venti minuti a piedi dal Duomo.
In un libro provocatorio ed efficace, Maledetti architetti, Tom Wolfe racconta la storia delle case popolari di Pruitt-Igoe a Saint Louis, progettate e costruite nel 1965 dallo sfortunato architetto Minoru Yamasaki, quello del World Trade Center di NY. Meno di vent’anni dopo in un’affollata assemblea plenaria gli inquilini suggerirono di abbatterle. Era la prima volta in cinquant’anni che si chiedeva un parere a chi abitava gli edifici operai. La vox populi intonò in coro: “Blow it…up! Blow it… up!”, Buttatelo giù! Nel 1972 i tre caseggiati centrali vennero demoliti con la dinamite. Erano un esempio di perfetta architettura modernista. Possibile che non si possano costruire case belle? Abbiamo in Italia più architetti che in tutti gli altri paesi d’Europa. Non è forse venuto il momento che si faccia una riflessione pubblica per questo? La bellezza non è né di destra né di sinistra. Dostoevskij pensava che potesse salvare il mondo. Possono il sindaco di Milano e il suo assessore all’urbanistica riflettere su questo senza ricorrere alla lingua dei regolamenti e dei piani edilizi? E con loro tutti i primi cittadini dell’ex-Bel Paese?

[pubblicato su La Stampa, ieri]

La crisi economica e lo spazio comune della rappresentanza

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[pubblico questa presentazione/invito al convegno “Spaziocomune. Costruire partecipazione nel tempo della vulnerabilità” che si terrà il 24/25 febbraio a Lucca. Il progetto Spaziocomune, all’interno del quale si inserisce il convegno, individua una perdita poco visibile alle statistiche di stampo economicista: la perdita di fiducia e il vuoto nella gestione collettiva e politica del sistema. A partire da questa consapevolezza si avviano nuovi percorsi di partecipazione.]

di Riccardo Guidi

Il progetto Spazio Comune prende le mosse da due variabili che si intrecciano: la crescita esponenziale di nuove vulnerabilità in ceti che non avevano mai conosciuto il rischio della povertà; una possente deriva oligarchica a fronte della quale l’attuale articolazione delle forme della democrazia non sembra in grado di proporre risposte efficaci. Si concentra su queste due tendenze che spesso vengono trascurate dal dibattito pubblico. Il progetto è un sistema di laboratori, promossi dalla Fondazione Volontariato e Partecipazione e dalla rivista Animazione Sociale ed è composto da oltre 300 persone di 8 regioni italiane: amministratori pubblici, dirigenti e operatori di cooperative sociali, rappresentanti di organizzazioni del terzo settore, docenti e ricercatori universitari. Si sono riuniti negli ultimi mesi e si stanno dando appuntamento a Lucca per il 24 e 25 febbraio per discutere su come poter costruire nuovi spazi di partecipazione partendo proprio dalle nuove vulnerabilità.

Ian Bogost on gaming

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Ian Bogost sui videogameIntervista collettiva effettuata da Slashdot a Ian Bogost, progettista di giochi e docente di letteratura, comunicazione e cultura presso l’università statunitense di Georgia Tech – via Lucio Bragagnolo – jan reister

Per Roberto Roversi

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di Franco Buffoni

Il 12 dicembre del 1969, terminata la lezione (ero al terzo anno di università a Milano) presi il tram per tornare a casa. In tram leggevo Dopo Campoformio di Roberto Roversi, uscito da Einaudi nel 1962 e preso in prestito alla biblioteca. Senza alcuna guida stavo colmando i vuoti, scovavo i libri come un rabdomante. Ad un tratto il tram si bloccò, si bloccarono tutti i tram di Milano e gli autobus e le macchine. Correvano solo le ambulanze. La gente dovette scendere e continuare a piedi, senza sapere perché. Si diceva di una fuga di gas, che fosse scoppiata una banca.

Da babbione a guru in 8 ebook

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L’editore Apogeo (gruppo Feltrinelli) ha pubblicato una collana pensata per chi lavora nell’editoria ed è alle prese, volente o nolente, con gli ebook. Scritti intorno ad ottobre 2011, questi libricini cercano di rivolgersi a tutte le figure del mondo editoriale (agenti, proprietà, marketing, produzione…) presentando con uno stile molto informale i concetti base dell’editoria digitale nei rispettivi campi e proponendo varie letture in rete.

Si rivolgono a due tipi di lettore: chi si occupa già di ebook e cerca stimoli anche al di fuori della sua area specifica di interesse, ed il neofita che voglia costruirsi un suo bagaglio professionale. Queste che seguono sono le mie annotazioni, a complemento del materiale sul sito di Apogeo.

Sono in vendita a 3,99 euro l’uno, in formato epub con social DRM. Io li ho comprati con la promozione di quando sono usciti, da Ultimabooks a 1,99 euro l’uno.

Letizia Sechi, Oltre la carta. Idee per l’editoria che cambia. Apogeo, 2011. 23.355 parole, 150.949 battute compresi paratesti e promo della collana.

Intelligente, ben scritto. Letizia Sechi dopo Editoria digitale (Apogeo 2010, gratis CC-BY-NC-SA, consigliato) prosegue ad esaminare come con l’ebook cambino concetti semplici some libro, impresa editoriale, rete e e comunicazione, e cosa si possa cercare di fare per non restare indietro, senza snaturare il proprio lavoro. Nulla di rivoluzionario, ma molto ben fatto.

Federica Dardi, Editore nei social media. Incontrare i lettori in Rete. Apogeo, 2011. 22.750 parole, 148.327 battute.

Un manuale di marketing editoriale in rete, scritto a partire dalla ridefinizione dell’idea di libro. Il lettore è al centro delle riflessioni sull’uso di blog, Twitter, Facebook, Youtube e Flickr per instaurare un rapporto che non sia da piazzista eppure abbia un senso d’impresa. Consigliabile.

Nicola Cavalli, Editoria universitaria digitale. Come la rete trasforma l’accademia. Apogeo, 2011. 11.816 parole, 79.748 battute .

Brevissimo saggio sulle caratteristiche singolari dell’editoria accademica e di come l’editoria digitale offra opportunità in campo bibliotecario, manualistico e nelle pubblicazioni scientifiche. Scritto più dalla parte dell’università che delle case editrici accademiche, e per questo molto interessante.

Francesco Rigoli,Il libraio digitale. L’arte di vendere libri online. Apogeo, 2011. 15.530 parole, 99.067 battute.

Come funziona la distribuzione libraria digitale, le piattaforme distributive, quali sono gli standard sui metadati, l’attività di gestione del negozio online, la promozione e la cura del cliente. Un testo denso di informazioni operative, pratico e pure spiritoso. Chiunque venda qualcosa online dovrebbe leggerlo. Ho avuto a che fare con l’autore durante l’acquisto del libro ed è davvero così, non fa finta.

Ivan Rachieli, La pratica dell’epub. Quando il libro diventa software. Apogeo, 2011. 26.547 parole, 173.050 battute .

L’ebook è un software e questo ribalta completamente il modo di fare un libro, la sua vita nel tempo, i suoi incontri coi lettori, la sua vendita. Rachieli è un informatico che cerca appassionatamente di spiegare concetti sofisticati in modo accessibile a tutti, e secondo me ci riesce. E’ un testo che chiunque scriva con un word processor dovrebbe leggere ed assimilare. Dico a te, zuccone!

Ginevra Villa, Ebook nel contratto. Come cambiano i diritti nell’editoria digitale, Apogeo, 2011. 14.686 parole, 104.186 battute .

Una prudente panoramica contrattuale che non entra mai nel vivo dei problemi (come i contratti standard che cedono all’editore i diritti stampa+ebook a scatola chiusa; le condizioni realmente in uso con i distributori attivi in Italia ecc.). Niente di tutto ciò, in compenso la parte sulle licenze open è la più interessate (protocolli CC+ e CC0).

Fabio Brivio, Il mestiere dell’editor ai tempi dell’ebook. Apogeo, 2011. 13.789 parole, 88.806 battute.

È il mestiere di un umanista informatico, che ragiona in termini di processi e sa vivere in una struttura organizzata. Brivio è un buon divulgatore, capace di spiegare un epub senza pedanteria.

Sergio Maistrello, Io editore, tu rete. Grammatica essenziale per chi produce contenuti. Apogeo, 2011. 12.214 parole,80.024 battute .

Fallo leggere al tuo capo, alla direttrice della casa editrice, all’anziano azionista di maggioranza dell’azienda. È scritto per loro e ti risparmierà tante spiegazioni faticose. Chi segue Maistrello in rete non troverà cose nuove

Nota bene: il titolo dell’articolo è volutamente forzato, naturalmente nessuno è un babbione in una materia in così veloce evoluzione, e per lo stesso motivo è bene diffidare di sedicenti guru.

Considerazione finale: questa è un’opera di alfabetizzazione, ed il suo naturale limite è la ristrettezza dell’orizzonte editoriale. Sono guide per fare ebook con la stessa mentalità e lo la medesima idea di prodotto che si ha producendo un libro a stampa, tralasciando per il momento ogni riflessione sul radicale mutamento di forma del prodotto editoriale e di come i libri digitali potrebbero essere. Leggi a questo proposito:

Chi pensa che l’ebook ucciderà il libro di carta, si tranquillizzi: il libro di carta è un concetto talmente introitato che il mercato produrrà ancora a lungo libri di carta. Solo, li farà in digitale.

Fabrizio Venerandi, Il futuro anteriore dell’ebook.

Update: le introduzioni ai libri sono leggibili sul sito di Apogeo.

carta st[r]amp[al]ata n.45. Febbraio, piovono libri. A milioni.

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di Fabrizio Tonello

E’ domenica, la settimana è stata faticosa, uno ha voglia di poltrire a letto e tutto andrebbe bene se, improvvisamente  la mia compagna, che è uscita sfidando il freddo, non scodellasse sul comodino il supplemento culturale del “Corriere della sera” di domenica 29 gennaio dove compare in grande evidenza un articolo di Richard Nash intitolato Il libro perfetto per il lettore perfetto. “Leggilo –mi dice- è pieno di dati interessanti”.

Il testo, alle pagine 12-13, inizia così: “Nel 1990 l’editoria statunitense ha pubblicato 25.000 titoli. Nel 2010 ne ha pubblicati 2.800.000. Mentre la popolazione è cresciuta del 25%, i libri sono aumentati del 2.120%. Questo enorme aumento non comprende gli ebook, riguarda solo i libri stampati”.

Minetti, o dell’impossibilità di essere attori / Commento al Minetti di Thomas Bernhard

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di Nevio Gàmbula


Il commento, come suggerisce Walter Benjamin, si pone al servizio di un testo. Non si preoccupa di svelarne la complessità, distribuendo luci e ombre; trattandosi di un gesto d’amore, prova a mettere in rilievo quanto di un testo ci nutre. Ciò equivale a dire che tra il testo e il commento si instaura un rapporto di reciprocità: mentre il commento porta alla luce, celebrandolo, il brusio di fondo dell’oggetto che fronteggia, il testo illumina qualcosa di non ancora pensato.

Lettera ai torinesi e al mio sindaco Piero Fassino

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di
Francesco Forlani
Adesso, mo proprio, che molti di voi dormono, proverò a comunicare a coloro che sono a Torino gli incerti passi innevati di un sogno: vado in Piazza Carlina e  mi trovo la statua di Nino Gramsci. Continuo fino a Piazza San Carlo e  invece dell’orrido solito antenato dei re più codardi della storia,, stavolta a cavallo, la statua di Primo Levi. A Piazza Vittorio, arrivando quella di Cesare Pavese e verso la fine su una panchina Fruttero e Lucentini. In Piazza Bodoni vedrei volentieri Fred Buscaglione, Carlo Levi in Piazza Carlo Felice e in Piazza Arbarello quella di Piero Gobetti . In Piazza Castello Emilio Salgari, e Mario Soldati alla Gran Madre. E tutto il bronzo di quelle orribili statue dittatoriali fonderlo per fare un enorme monumento a una donna emigrante. Un’ emigrante ridente come il sole accucciato in valigia’nzomm. ‘nzuonne. 

poso la testa sopra i tuoi ginocchi

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di Chiara Valerio

Ventitrè anni, e una vita intera,/che ti perdo, Giovanni, e che ti trovo/Tutti questi anni, ci ho messo, Giovanni,/per non mancarti ogni volta di nuovo. La poesia somiglia spesso, e forse anche per una mera abitudine grafica, a una preghiera, a qualcosa che può essere recitato per ottenere qualcos’altro. La poesia, come la preghiera, tiene strette nei versi – anche se sciolti – le richieste, le invocazioni, le bestemmie e le lamentazioni, i desiderata. Quello che voglio, quello che chiedo, quello che odio, quello che amo. La preghiera, come la poesia, richiede esattezza. Signore, compilo intero il miracolo/ oh non lasciare le cose a metà. Così, aprendo Libro delle Laudi (Einaudi, 2012) di Patrizia Valduga, non ci si meraviglia affatto che le laudi del titolo siano tutto questo, solo che, in mezzo al generale astratto dei comportamenti di ognuno, Valduga inserisce – ritornello, mantra e punteggiatura – il nome Giovanni.

La censura, la sofferenza, lo scandalo

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Appunti su Una separazione e Sul concetto di Volto nel figlio di Dio

di Helena Janeczek

Lei non ce la fa più. Vorrebbe andar via, costruire un futuro migliore, soprattutto per sua figlia. Lui ha un padre demente che non vuole abbandonare. Lei, per disperazione e per ricatto, torna a casa dei suoi genitori. Lui resta con la bambina undicenne e il padre che non può essere lasciato solo un attimo. Trova una badante giovane, molto devota e legata alla tradizione. Quando il vecchio si piscia addosso, la donna che è andata a servizio a insaputa del marito, fa ciò che occorre, ma vorrebbe già mollare l’incarico. Lui quasi la costringe a rimanere sino a quando non trova un ricambio. Da qui si dipana un dramma che segue il disgregarsi di due famiglie.

Psicodramma del potere

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di Mauro Baldrati

L’altra sera al gruppo di psicodramma ho fatto un interessante collegamento tra una problematica per così dire oggettiva (politica, nella fattispecie) e un dato esistenziale con epicentro individuale.

Era tornato Riccardo, dopo una assenza piuttosto lunga dovuta a una malattia seguita alle vacanze natalizie. Subito le ragazze, che di solito all’interno del gruppo sono le più ricettive riguardo agli stati d’animo dei presenti, hanno notato la sua faccia immobile, triste. Allora il conduttore gli ha chiesto se andava tutto bene, se voleva parlare del periodo appena trascorso. Riccardo, che gestisce un piccolo negozio di cartoleria, ha detto che per lui è un momento difficile. La crisi lo sta riducendo sul lastrico, le vendite sono ridotte praticamente a zero, inoltre ha ricevuto una visita della Guardia di Finanza che l’ha scaraventato in uno stato di confusione mentale. Sono entrati in due, maresciallo e agente, l’hanno sottoposto a estenuanti verifiche, soprattutto riguardanti il contratto d’affitto. Si è sentito schiacciato, vessato, perseguitato. Lui, piccolo negoziante quasi rovinato dalla crisi economica e dall’accanimento del fisco, forse dovrà chiudere il negozio. Avrebbe voluto farli a pezzi, ha detto, falciarli con un mitra, cancellarli, disintegrarli. Ma non ha fatto nulla, ha dovuto subire, come sempre, come tutti.

Il conduttore l’ha subito fatto salire sul palco, chiedendogli di scegliere i due finanzieri. Io sono diventato il maresciallo, mentre un altro ragazzo del gruppo ha assunto il ruolo dell’agente. È seguito uno psicodramma teso, ma anche comico, con me che recitavo la parte del sottufficiale spietato, persecutorio, il ragazzo che mi spalleggiava rivolgendosi a lui con punte di violenza verbale e anche qualche epiteto (nello psicodramma tutto viene enfatizzato, spogliato di ogni mediazione perché bisogna arrivare al nocciolo incandescente). Riccardo oscillava dalla risposta passiva alla rabbia, colpendomi col cuscino (lo strumento usato per scaricare l’aggressività), poi tornando passivo e fatalista, che era il suo atteggiamento dominante. Il senso era chiaro: io rappresentavo l’autorità, o meglio l’autoritarismo, quel Potere primordiale col quale tutti abbiamo fatto i conti e che ha lasciato segni in noi, ricordi, ma anche ferite, risposte di varia intensità, rabbia, paura, tristezza, ribellione, quando le nostre forze non erano ancora sviluppate e noi eravamo indifesi, e soli, e impreparati, e inesperti.

Terminato il lavoro siamo passati alla fase della verbalizzazione e delle condivisioni. Il conduttore ha fatto un’associazione tra il suo atteggiamento passivo, in alcuni momenti assente, straniato, e la sua infanzia, quando lui, ultimogenito di quattro fratelli, viveva protetto e isolato tra le braccia della madre mentre intorno a lui i fratelli e la sorella litigavano, si ribellavano, i genitori sgridavano, urlavano, ordinavano. Quel lasciare scorrere le cose, quel chiamarsi fuori dall’aggressività che imperava nel suo ambiente ha continuato a seguirlo e a condizionare le sue scelte. Fate quello che volete, diceva quando il maresciallo lo incalzava e lo minacciava per il timbro mancante, che significava anche fate di me quello che volete.

Le condivisioni hanno subito preso una direzione oggettiva, che per un po’ il conduttore ha tollerato: il fastidio per i controlli, il disprezzo per i finanzieri “che sono tutti corrotti”, il tormento di un fisco iniquo e ottuso, regole grottesche, insensate, per cui è comprensibile se non condivisibile che si evada e così via. Io sono intervenuto esprimendo disagio per questo atteggiamento che ho definito “all’italiana”: molte regole sono sbagliate, lo sappiamo, ma con questo scarso rispetto per la cosa pubblica e la propensione a fregare nulla potrà mai cambiare nel paese. Nulla potrà mai crescere.

A questo punto il conduttore ha raddrizzato la barra, riportando la discussione verso i temi che ci interessano, cioè i nostri atteggiamenti, le nostre risposte alla vita. Crescere: i genitori non possono pretendere che i figli crescano, e migliorino, senza una guida. Un genitore non può intimare a suo figlio: ora devi risolvere i tuoi problemi, ora devi eliminare le tue contraddizioni, devi diventare perfetto. È l’esempio che conta; è il comportamento del genitore che favorisce la crescita, perché lui è la guida, e non può esistere sviluppo senza una guida etica, rispettosa e rispettabile.

D’un tratto ho avuto un flash intenso. Una luce abbagliante. Crescita. Non si parla d’altro in questo periodo. È la parola d’ordine del governo dei banchieri che sta mettendo a ferro e fuoco il paese. Un governo – una guida – che si presenta al popolo con l’indice puntato e intima: ora voi dovete pagare. Pagare tutto e per tutti. La crisi è molto grave, c’è il rischio del fallimento, ma noi non paghiamo niente. Noi non c’entriamo con voi. Noi siamo altro. Noi siamo gli intoccabili.

Si dice che una classe dirigente, un governo – una guida – è l’espressione di una cultura popolare. Ma un popolo non cresce solo con se stesso, senza una guida credibile. Il nostro paese ha un passato di terra divisa, spartita tra signori, papi, re e reucci, una dittatura fascista che l’ha portato alla rovina e alla tragedia, cinquant’anni di dominio democristiano all’insegna del bizantinismo e della falsità, dove per comunicare una cosa si affermava il suo contrario, quindici anni di un grottesco sultanato nel quale è stata esaltata la disonestà, la condotta mafiosa, il vilipendio della Costituzione nata da una dura guerra di liberazione.

Oggi un popolo storicamente educato da secoli di esempi negativi, che non ha avuto la possibilità di creare un’idea di stato e di comunità, assiste per l’ennesima volta alle performance di una casta di potere blindata nel suo privilegio che si permette di decidere sulla lunghezza della vita lavorativa altrui. Si obietta che riducendo lo stipendio, il rimborso spese, il vitalizio dei parlamentari (realmente, non il gossip mediatico su 1.300 euro lordi) non si coprirebbe certo il mostruoso buco in bilancio. E quindi si continua così, con una casta che mentre favorisce se stessa e la propria intoccabilità impone sacrifici pesanti agli altri in nome della crescita. Di fatto col suo esempio dice, con parole apparentemente contrarie che evocano “rigore” ed “equità”: invidiateci, imitateci, imparate a fare i furbi, a disprezzare il vostro prossimo, a calpestare i deboli e a nutrire i ricchi. Noi siamo eterni, il nostro avvenire è fuori discussione, ma abbiamo l’idea fissa di favorire i licenziamenti facili, perché i diritti altrui sono merce di scambio, sono polvere. I nostri invece sono sacri. Il capo di un governo composto da superbaroni universitari inamovibili, che viaggiano da un incarico all’altro, si presenta per l’ennesima volta in televisione dove, con stile salottiero, definisce “monotono” il lavoro fisso, annuncia che i giovani devono abituarsi a cambiare, perché il posto fisso possono scordarselo. Come se parlasse ai rampolli privilegiati della sua personale élite, mentre sta umiliando chi il lavoro non solo non può cambiarlo, ma neanche trovarlo, anche a costo di appellarsi alla Madonna di San Luca per tutta la vita.

Questo è l’esempio per il paese, l’esempio per la crescita.

Questa è la guida.Una guida indegna di questo nome, guida al nichilismo e all’egoismo.

Guida di uomini di paglia, di uomini di niente.

(Immagine: J.M. Nattier, “Jean-Baptiste Colbert”, 108×113 cm, olio su tela)

Area ex Enel, Milano

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INVITO PER CONFERENZA STAMPA
Area ex Enel, Milano

Dopo il dibattito aperto sui giornali nazionali e cittadini, e nel web, circa la costruzione di un edificio di 9 piani destinato ad albergo, un nuovo insediamento abitativo di 9 piani, e il museo dell’ADI, con gli interventi di Belpoliti, Biondillo, Biraghi, Molinari e Marone, e con le risposte, fra le altre, del Sindaco Pisapia e dell’Assessore all’Urbanistica di Milano, Lucia De Cesaris, viene presentato l’appello firmato da 100 intellettuali, artisti, scrittori, architetti, imprenditori, ecc. milanesi, e non solo, diretto al Sindaco per rivedere il progetto di intervento edilizio nell’area prospiciente il Cimitero Monumentale, e nelle vie Bramante e Procaccini.

L’appello è firmato da persone come Gherardo Colombo, Luigi Brioschi, Marco Travaglio, Salvatore Settis, Mario Botta, Joseph Grima, Gabriele Basilico e molti altri.

Oltre all’appello verrà anche presentato un documento che riassume le questioni procedurali, e di sostanza, che sono implicate da questo intervento urbanistico e che hanno ispirato un ricorso al Tar da parte degli abitanti della zona.

Cosa ci guadagna e cosa ci perde la cittadinanza da questo intervento?
Perché è stato fatta una variante al PGT per dar corso con urgenza a questo intervento? Si tratta di un piano urbanistico d’interesse generale per la città o piuttosto di un’impresa immobiliare privata? Perché costruire dentro la zona di rispetto del Cimitero Monumentale, in uno dei luoghi rilevanti della città? Nelle procedure avviate dagli uffici comunali ci sono contraddizioni ed errori?

Nella volontà di sollecitare un ripensamento sul progetto dell’area ex Enel, il gruppo dei promotori dell’iniziativa invitano stampa, radio, televisioni, siti web, a partecipare alla conferenza stampa, un momento per allargare l’informazione sull’intera questione e per offrire un’occasione di discussione e di democrazia partecipata all’intera città.

Marco Biraghi, Marco Belpoliti, Gianni Biondillo, Luca Molinari, Roberto Marone, Alberto Saibene

(altre informazioni sulla questione reperibili in: http://areaxenel.com)

Martedì 7 febbraio alle ore 11.00
c/o Careof-DOCVA,
Fabbrica del Vapore,
via Procaccini n. 4 20154 Milano

Histoire d’I. FRANCESCO D’ISA

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di Orsola Puecher
I. di Francesco d’Isa, ed. Nottetempo 2011, come si evince dall’articolo determinativo strano, ma non singolare, che ne costituisce il titolo è un libro plurale.

Di cosa scriviamo quando scriviamo di crisi. Breve saggio.

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[Pubblico questo saggio che trovo di grande interesse. Affronta un problema cruciale, ma del tutto sottovalutato, che è quello delle forme di narrazione in grado di costruire un’immagine accessibile, davvero pubblica, della crisi finanziaria, mobilitando immaginazione e affetti, oltre che pretese contabilità economiche e imperativi politici. In un mio articolo apparso anche qui, facevo sopratutto riferimento a forme di narrazione audio-video tipiche del documentario. Caminiti prende invece in considerazione un ampio spettro di letteratura di finzione. ]

di Lanfranco Caminiti

* Nella Compagnia degli uomini, Edward Bond, drammaturgo inglese, mette in scena il conflitto tra padre e figlio nella cornice di uno spietato gioco di finanza.

“Alfabeta2” n° 16 è in edicola e libreria

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Il numero 16 di “alfabeta2”, febbraio 2012, è in edicola ed in libreria.

Nelle stesse ore in cui Julian Assange si dispone ad affrontare una possibile estradizione in Svezia, alfabeta2 presenta una intervista all’inventore di Wikileaks. A farlo parlare dei suoi progetti e della sua visione del mondo è Hans Ulrich Obrist, che riesce a strappare a Assange una riflessione piuttosto imprevedibile: sotto alcuni aspetti, tutt’altro che secondari, Internet rappresenta una regressione rispetto alla carta stampata.

Wislawa Szymborska [1924 – 2012] SFORMICARE

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“Per l’ironica precisione, che permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di verità umana.”

senatore e ladro

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«Tra questa nuda e tristissima copia

correan genti nude e spaventate,

sanza sperar pertugio o elitropia:

con serpi le man dietro avean legate;

quelle ficcavan per le ren la coda

e ‘l capo, ed eran dinanzi aggroppate.»

Così Dante (Inferno, XXIV, 91 – 96) sistema i ladri, tanto per dire che neppure lui ne aveva una grande considerazione, semmai aveva più riguardi per i lussuriosi, vedi Paolo e Francesca).

Dresden Story

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Da il Reportage n.9, gennaio-marzo 2012

Nel “mattatoio” di Dresda (con lo sguardo di Vonnegut)

di

Francesco Forlani

La prima immagine è quella di “Accattone”. Perché la scena finale è stata girata sul Ponte Testaccio, spalle al mattatoio. Tempo fa mi sono infilato nella vecchia struttura del macello e ho seguito con gli occhi il percorso che facevano gli animali appesi ai ganci, probabilmente urlando o tacendo. La riflessione è su come un luogo possa custodire la memoria della sofferenza, conservare le grida o il silenzio.

Nuovi autismi 14 – Gli scrittori

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di Giacomo Sartori

Gli scrittori sono dei gran bastardi e dei figli di buona donna, è risaputo. Se c’è una categoria che estrinseca gli istinti più bassi e l’intera nefandezza della specie umana, è proprio quella. Subito dopo i perpetratori di genocidi e i serial killer e gli stupratori di minorenni, vengono loro. Uno scrittore per definizione cova con tetra cupidigia il proprio successo immediato, o se va bene la gloria futura, e di tutto il resto non gli importa niente di niente. O meglio, per il successo immediato o la gloria futura è pronto a vendersi la madre, a recidere le carotidi delle sorelle, a pugnalare in piena pancia i figlioli. I familiari e gli amici più cari attorno a lui possono patire atroci dolori, dissanguarsi, suicidarsi, tutto ciò per lui è solo una inopportuna seccatura, un’enorme perdita di tempo. Quello che gli preme è poter tornare a scrivere senza che nessuno gli rompa l’anima, o anche solo andare a verificare l’andamento delle vendite dei suoi libri. I familiari e gli amici più cari sono per lui limoni da spremersi fino a che non rimane più nemmeno la buccia, perché nei suoi libri qualcosa deve pur metterci, e il materiale che ha sottomano è quello. Per uno scrittore un bambino che piange è solo una fonte come un’altra di inquinamento acustico, un vecchio che suppura un’immagine che può tornare utile, una carneficina raccapricciante una simpatica idea suscettibile di fornire una riuscita paginetta. Non sto dicendo naturalmente che i grandi scrittori, che sono notoriamente molto rari, non abbiano cuore, perché anzi ne hanno uno grandissimo, davvero enorme, spesso al servizio di una palpitantissima sensibilità, altrimenti non sarebbero imponenti scrittori, solo che tutto il loro immenso cuore finisce stampato nelle pagine, e per la vita di tutti i giorni non rimane più niente. Nella loro vita quello che conta è occuparsi del parto e del destino dei propri scritti, a costo di qualsiasi cedimento e compromesso, qualsiasi infedeltà. I più volonterosi provano un pochino a conformarsi, almeno per quanto riguarda le apparenze, fingono insomma di vivere, gli altri non ci provano nemmeno. Spesso ai famigliari e agli amici non resta appunto che sopprimersi, come dimostra l’altissimo tasso di suicidi tra i figli degli eccelsi scrittori. Io me ne sono accorto subito: il primo romanziere che ho conosciuto, che aveva un naso da uccello rapace e occhiali da ipermetrope, mentre preparavo la tavola in giardino ha inchiodato mia moglie in cucina, a freddo, e cincischiando con il suo naso e i suoi occhiali da ipermetrope ha cercato di baciarla appassionatamente. Certo se non fossi arrivato per prendere la carbonella l’avrebbe stuprata e forse anche trucidata. Per fortuna mia moglie non me l’ha detto subito, altrimenti lo avrei arrostito assieme alle salsicce, lui e il suo naso. Il secondo scrittore che ho conosciuto mi ha rubato i calzoni. Saltando addosso alla vicina di tavolo, che questa volta per fortuna non era mia moglie, si era fatto una vistosa macchia sui suoi, e io ho commesso la leggerezza di proporgli di prestargliene un paio, visto che avevo a portata di mano il mio borsone: più rivisti. Il terzo, noto per i suoi scritti pessimisti e nichilisti, martirizzava l’eroica moglie che lo manteneva e lo accudiva giorno e notte e gli instillava le idee per i suoi libri, umiliandola e dileggiandola in pubblico. Ma è inutile continuare, sono cose risapute. Quello che si dice meno è forse quanto gli scrittori siano invidiosi uno dell’altro: quando si parlano stringono gli occhi per carpirsi vicendevolmente informazioni, e soffrono orrendamente appena fiutano sentore di successo altrui. Se a uno gli va bene l’altro sfrigola di invidia, e dall’invidia che prova lo stecchirebbe seduta stante, se solo servisse a qualcosa, e non a aumentare ancora la sua notorietà. Ma non bisogna pensare che sia solo un effetto del cinismo dei tempi, o della mondializzazione letteraria: è sempre stato così, e probabilmente sarà sempre così. Pare che già gli scribi egiziani si girassero alla larga uno dall’altro, e quando ciò non accadeva venissero quasi sempre alle mani, come due galli nello stesso pollaio. Del resto non bisogna immaginarsi eroiche e ardimentose tenzoni, più spesso si tratta piuttosto di meschinità da asilo di infanzia. Una volta per esempio sono stato invitato a una televisione belga assieme a una scrittrice ispanofona mondialmente famosa. Prima della trasmissione la scrittrice ispanofona mondialmente famosa mi parlava con beccheggiamenti concitati del capo e sorrisi di bambina piccola, a dispetto dell’età avanzata: chiaramente era assai agitata, e le faceva bene parlare con me, voleva che la rassicurassi, come succede appunto agli scolari prima di un compito in classe. Mi sembrava evidente che le stavo proprio simpatico. Poi però durante tutta la trasmissione televisiva ha parlato solo lei, senza più alcuna trepidazione, e anche il presentatore sembrava ritenere normale che pontificasse da sola, vista la sua fama mondiale. Mettendo lì tra le altre cose un paio di considerazioni sul Belgio che le avevo insinuato io. Il mattino dopo l’ho incrociata nella hall dell’hotel, e mi ha guardato come si guardano le persone che proprio non ci si ricorda chi sono. Se uno scrittore mi propone di mangiare assieme, o insomma manifesta qualche segno di amicizia, io faccio finta di non cogliere. Dico che ho un impegno urgente, o che il mio gatto sta un po’ male, e me la do a gambe. E a scanso di equivoci dopo i dibattiti me la squaglio senza salutare nessuno. Soprattutto quando si tratta di buoni scrittori: tra quelli mediocri o pessimi invece qualche residua briciola di umanità talvolta la si può ritrovare, cercando bene. Non saprei dire però se sono peggio gli scrittorini di provincia o gli scrittori conosciuti. I piccoli scrittorini hanno il vizio di appiopparti i loro scritti illeggibili, ma la loro vanità ha un qualcosa di intonso e adamantino, di innocente, di arcaico: per certi versi è struggente. Quelli conosciuti invece ti guatano con occhi di ghiaccio, stremati in realtà dallo sforzo di dover nascondere la sete di indizi di encomio e riconoscimento, dei quali hanno bisogno come i pesci dell’acqua. Gli scrittori che hanno finalmente conseguito il successo che anelavano consumano le loro esistenze andando in giro a presentarsi a destra e a manca. Scendono dal treno o dall’aereo e si recano nella biblioteca o nella sala dove si svolgerà la presentazione, ascoltano con una espressione di sofferta modestia i complimenti del presentatore, con parole concentrate spiegano alle anziane signore presenti perché hanno scritto quel libro e cosa vuol dire, rispondono con pause pregnanti e occhi condiscendenti a qualche domanda che non c’entra niente con quello che hanno detto e con il libro, firmano le copie di chi decide di comprarlo, vanno a cena con gli organizzatori, i quali cercano di appioppargli i loro dattiloscritti, ascoltano querimonie riguardanti il taglio dei fondi destinati alla cultura o altre beghe locali, si fanno riaccompagnare in albergo, dove solo di rado amoreggiano con un occhialuto addetto culturale. Poi il giorno dopo riproducono la stessa farsa in un’altra città: ascoltano con l’identica faccia crocefissa altri complimenti, spiegano di nuovo ad altre anziane signore perché hanno scritto quel libro e cosa vuol dire, rispondono a altre domande che non si sa da dove cavolo saltino fuori, firmano altre copie con le stesse dediche, ascoltano analoghe lamentele e invettive da analoghi organizzatori, intascano analoghi libri pubblicati a proprie spese e analoghi manoscritti. A forza di frullare a questo modo molti scrittori finiscono per pensare che il mondo sia quello, lo si capisce dai loro nuovi testi. Pochissimi altri continuano invece a infilare imperterriti le loro perle sulla carta, ma non si capisce che rapporto abbiano queste ultime con le loro mimiche opache dietro ai microfoni, con quelle loro parole tese e approssimate, con quella loro malinconica urgenza di manifestarsi in pubblico. Ma stiamo parlando degli scrittori realizzati, i pochi fortunati. La maggior parte macerano piuttosto a fuoco lento nelle frustrazioni, accumulando risentimenti e asti, anelando riconoscimenti che mai potranno essere bastevoli, e soprattutto sfogando sui loro prossimi le rabbie e gli inappagamenti. E senz’altro andrebbero pensate delle norme legali per tutelare questi poveri innocenti, andrebbero previste delle strutture di aiuto e sostegno.

(Immagine: E. Nolde, “Pferd”, xilografia, 15,2 x 10,4 cm, 1910)