di Andrea Accardi
L’estraneo è arrivato al porto di prima mattina, in una luce già piena ma ancora mite, portando come un senso di cose ripetute negli anni senza venirne mai a capo. Da lì ha raggiunto a piedi un albergo vicino, dove senz’altro troverà saponette nuovissime e ancora incartate, che non danno l’impressione di un’intimità scabrosa come i saponi a metà nelle case degli altri. È uscito dalla mia visuale girando un isolato, simile a una vecchia contadina in un quadro che non ricordo più dove l’ho visto, lei appena fuori della porta di casa, pronta a girare sul retro del cortile che la casa mi nasconde, dove apparirà forse un pozzo, uno steccato, e poi più lontano una pianura ventosa e un cavallo che si dimena.
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L’estraneo alloggia da ieri in una palazzina moderna che si affaccia su una piazza vuota. Dovrà prendere confidenza con i muri, gli spigoli, gli elettrodomestici e il loro ronzio. Dovrà superare quella fase iniziale in cui siamo noi i fantasmi di una casa. La piazza rimbomba di tanto in tanto per lo schianto di un pallone su una saracinesca. La luce in certe ore è ovunque. L’ho visto attraversare lo spazio come un’ombra, uno scarto, un rottame alla deriva, come un cruccio irrisolto che riemerge proprio quando la città ci respinge. Questa però non è la sua infelicità, ma la mia, da sempre. Tutta questa luce è sprecata e non illumina niente.
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È di nuovo sera e la città ha strani incanti, pezzi di altre città che incontri dietro gli angoli, un senso improvviso di altrove e di rinascita. Si accendono le luci del castello sopra la montagna, e per un attimo pare sospeso, si raggiunge la spiaggia dopo chilometri di parco. Le ville liberty non tutte abitate, le foglie per terra e i fiori dai giardini, l’odore atemporale dell’estate. L’estraneo verrà presto qui, calpesterà queste foglie, si chiederà chi abitava quelle ville oggi sfitte.
Lui assomiglia nella mia testa ai corridoi di una scuola in estate, vuoti e pieni di luce, freschi silenziosi inutili, con fogli appesi al sughero della bacheca, gli alunni insieme in un’altra scena lontana, i loro zaini abbandonati sugli scogli o sopra un prato, un qualche numero di autobus a compiere tragitti che non so o non ricordo, e in ogni caso è tardi, mi hanno lasciato sul posto senza neanche un indirizzo e il nome di quell’allegria che adesso mi ferisce giorno dopo giorno.
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La città percorsa dall’alto su Google Earth presenta una geometria ineccepibile, strade tetti auto posteggiate, gli alberi come un verde spalancato, dei negozi appena la luce sul marciapiede o l’insegna obliqua, non si vedono fioriere o cani.
Gli uomini sono il grande implicito, le macchie di colore riassorbite nella tela. Qualcuno si intravede dal balcone, a un passo dal rientrare. Un altro deformato, cancellato con il dito se allarghi l’immagine. I palazzi si avvicendano con apprezzabile regolarità, poi all’improvviso un’area sterrata. Potessi seguire l’estraneo sulla app, prevederne le intenzioni, spiare la sua nuca. Ma sono immagini prese dal satellite, vecchie di mesi o di anni, comunque in ritardo, come me.
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Di certo l’estraneo conosce quel senso di disperazione che ti prende verso sera, quando il buio arriva da ogni lato e l’amore non può più proteggerti. Quando pensi alle case e agli appartamenti degli altri, davanti a una fotocopiatrice o ai limiti di un bosco. Eppure dobbiamo guardare senza angoscia l’incubo di cui siamo fatti (tante volte ho creduto di pensare di morire, ma incredibilmente mi sono poi ritrovato al di fuori di quel perimetro gelido).
L’estraneo imparerà che la città che ha girato le spalle al mare in realtà il mare lo costeggia per chilometri, ma lo fa con quartieri dove non ho mai messo piede e che ho piuttosto attraversato in macchina, per uscire dalla città e non per soffermarmi. Questo è bastato ad acquisire una forma se pur larvale di conoscenza dei posti, a intravedere piccionaie esposizioni di ceramiche un sole freddo tra i vestiti appesi una scuola elementare circondata dall’aria e poi murales sul fianco dei palazzi e vicoli che sembrano preludere a nascondigli. Dall’altro lato prati e aiuole mal tenute e riquadri di case perlomeno la vista conducono a un mare che sembra sempre fuori stagione. Per quanto il nome stesso della strada non faccia che rievocarlo, di quel mare non saprei dire altro se non: sta lì.
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Un ritorno momentaneo del freddo sembra quasi fare da custodia al corpo. L’estraneo non può sapere che in un grande giardino elegante c’è uno scivolo che per molti di noi è stato da bambini incredibilmente alto, impossibile da scalare, e a rivederlo oggi sembra invece così poco. Cosa è una città senza un’infanzia dentro? Cosa saprà l’estraneo di quei grandi spiazzi tra i condomìni, quando alzavo la testa e il mondo intero sembrava una vertigine cattiva, e mi mettevo le mani sulle orecchie per non sentirlo fischiare?
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Aprile, pomeriggio tardo. C’è una luce che ormai si estenua quasi fino alla cena. L’estraneo sbuca fuori da una farmacia davanti a una grande piazza con un obelisco al centro e anche lui sembra frastornato e come fuoruscito da una interminabile domenica in famiglia. Lo sente, l’estraneo, l’Estraneo del mondo, le cose come immagini perplesse vacillanti in una luce grigia, e gli odori residuali dei pranzi e il torpore astratto dei pomeriggi e i pasticci che fa la mente (lo abbiamo sempre chiamato amore, questo continuo sfilarci il tappeto da sotto i piedi). Se lo avessi qui davanti, gli direi che a volte vorrei solo nascondermi, che magari mi sveglio e non so dove mi trovo. Che nonostante tutto, è lui la cosa meno irreale che c’è, mentre guardo in alto, attraverso una finestra, una pianta da salotto e una libreria ordinata e un bambino che di certo sta giocando a un gioco senza senso.
(è così facile così facile così facile morire, oppure no)
Ma in questo odore ovunque di fioriture segrete (da qualche parte, in un quartiere appartato di ville e giardini, il glicine spinge fuori il suo blu fervido), non tutto sembra essere fatto per nuocere. Un corso fa come una strana serpentina, costeggia poi una chiesa dove ho passato del tempo, dall’altro lato una ricevitoria una boutique un meccanico, alcuni urlano per euforia o abitudine. L’aria fa come un velo, sono passato mille volte senza lasciare traccia, e nemmeno sulla mappa risulta il mio passaggio (a dire il vero, per anni si è trattato soltanto di un recarsi trasognato a sbagliare taglio di capelli, constatando il prima e il dopo nel riflesso sulle vetrine). L’estraneo si fa spazio nel marciapiede intralciato dalle auto in mezzo a quelle luci e mi sembra quasi indomito a camminare in mezzo a ricordi non suoi.
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La strada di sempre sbuca sul corso che di notte sta nel più completo silenzio. Dietro un cancello si fronteggiano due dragoni di pietra. Si accende la luce bianca di una veranda, fa sembrare più nero il buio sotto i palazzi. Mi prende una improvvisa, la solita desolazione di cose lontane irrecuperabili, mi prende ogni volta che sembrava possibile il presente
(e poi forse non dovrei dirlo proprio qui ma è sempre la stessa cosa, sempre quella sensazione di essere a mia volta seguito da qualcuno che una volta chiamavo Diavolo e oggi non so neanche come, ma ricordo tanti anni fa in un paesino qui vicino all’ora di pranzo e il silenzio e il sole e ogni cosa che sembrava rivolgermi un bisbiglio di minaccia o ero sempre io a proferirla di nascosto, come se tutto in me andasse verso la distruzione di me).
…
I dolci del chiostro mandano un odore che ormai fa tutt’uno con la luce ferita dei compleanni.
*












*
da Forrest Gander, Essere con / Be With. Con 6 fotografie di / With 6 photographs by Michael Flomen
Traduzione di Alessandro De Francesco.
Colorno: Tielleci, 2020. (Benway Series; 14).
A few days later
their bliss grew
an impenetrable
skin. Then dissolved
itself completely,
the liquid content of
that skin turning
to a sort of jelly
from which erupts
a new creature
whose organs
lack any identity
with what came
before.
Have I lived
something stupid?
Am I the coward
responsible for
nothing?
* * *
Qualche giorno dopo
la loro felicità sviluppò
una pelle
impenetrabile. Poi si
dissolse completamente,
e il contenuto liquido di
quella pelle si trasformò
in una sorta di gelatina
da cui emerge
una nuova creatura
i cui organi
mancano di identità
con quanto era venuto
prima.
Ho vissuto
qualcosa di stupido?
Sono il codardo
responsabile di
niente?
–––––––
da Ron Silliman, Il quaderno cinese / The Chinese Notebook
Traduzione: Massimiliano Manganelli.
Colorno : Tielleci, 2019. (Benway Series; 13).
*
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di Max Mauro


di 














Vito M. Bonito
Da Acrobeati, 2023
I
è come sui papaveri esausti
le zanzare
un deliquìo di morte
un iperìo senza più porte
una festa di sangui
di cirrose protervie
banalmente impervie
come a volte
quando scendi da le stelle
o mi del cielo
nel sì del mio sfacelo
tra li papavera belle
oh! perché perché
allor ti lingui?
oh! perché?
ti esangui?
[…]
che? non ti piageva
la smisurata tua doglianza?
la buia lontananza?
la bua senza speranza?
il fior che fragile morì
tra gli usignuoli già in ardore?
non è abbastanza
questo papaverico tremore?
cos’è che non sai?
o è perché te ne vai e vai
e vai alfin laggiù
tra i rrasoi
che rrose non furono mai
luce morte dondolio
oh sine fine addio
beate rrime addio beate
mai state mai neppure nate
voi
spente lampadine
io fervente
senza mutandine
II
ergo la vita è un vuoto esergo
non scritto
io porto il cimiero in segno di castità
li nervi bianchissimi dei denti
io mi dentificavo ogni mese
poi mi cariavo
il cimiero non me lo sono tolto
nemmeno da morto
abbiamo tutti paura come i fioretti nel notturno
gelo solo che noi in noi chiudiamo lo sfacelo
ci fanno male gli arti le pupille l’infinita
solitudine prostatica
siamo solo un dolore impertinente
un reuma un’unghia che non cade tra le rrose
o dove o niente
*
Florinda Fusco
Da Materia osservabile, 2023
1.
Leggera fluttuazione sulla gonna. La maglia fuxia. La chewing gum si gonfia tra le labbra. Piccola
croce tatuata sulla spalla. Guarda in alto adesso. Verso nord-est. Sembrerebbe un nulla. Ma: una
leggera fluttuazione ha generato un’espansione che ha prodotto materia e ordine: galassie, stelle,
pianeti.
2.
Ecco la lista delle cose presenti:
diario, borsetta, cappello a falda ampia, smalto, pillole
Errato: sono cose del passato, di un miliardesimo di secondo fa, il tempo che la luce emessa
dalle cose impiega a raggiungere gli occhi
Ecco la lista delle cose presenti:
la luce
*






