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Scrittori e Battisti. La censura non è mai una buona idea.

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da «il Fatto Quotidiano», mercoledì 26 gennaio 2011


Ecco perché il boicottaggio ai danni degli autori che hanno firmato l’appello a favore del terrorista, indipendentemente dalle ragioni, è uno sbaglio.

di Evelina Santangelo

«Lo facciamo non per spirito di rivalsa, ma per le vittime di Battisti». Tutto comincia con una lettera stilata da un semplice cittadino del comune di Martellago, Roberto Bovo, della cui buonafede non intendo dubitare, e da un oscuro consigliere comunale del Pdl, tal Paride Costa.
La proposta, ricordiamolo: «un boicottaggio civile» nei confronti degli scrittori italiani che nel 2004 hanno firmato un appello per il terrorista Cesare Battisti. Modalità: la rimozione delle loro opere dalle biblioteche civiche e scolastiche presenti nel comprensorio provinciale veneziano. Proposta subito accolta dall’assessore alla cultura della provincia di Venezia con delega alle biblioteche, Raffaele Speranzon che ha stigmatizzato gli autori in questione come «persone sgradite», trovando seguaci solerti in figure come quella dell’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan che, parlando di «cattivi maestri» autori di «testi diseducativi», ha rivolto un non meglio identificato «indirizzo politico» ai bibliotecari e ai dirigenti scolastici perché facciano pulizia. «Un´iniziativa di gigantesca idiozia» l’ha definita qualche giorno fa Luciano Canfora. Un’iniziativa che intanto, al di là delle contromisure inverosimili prese nei confronti degli intellettuali in questione, ha dei precedenti significativi.

Alternative metal

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http://www.youtube.com/watch?v=uc-VqT97iZQ

di Mauro Baldrati

Io e la lady ci facciamo questa pista, sottraendola al sacchetto che dobbiamo portare all’avvocato. Modica quantità, per andare su di giri, non per uscire di testa. L’avvocato non se accorgerà. Perché non può accorgersene, visto che non avrà certo il tempo di pesarla.

La vita impersonale di Aldo Nove

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di Daniele Giglioli

Il lettore che avesse seguito la carriera di Aldo Nove fin dal suo esordio con Woobinda, nel 1996, e col suo incipit ormai divenuto proverbiale: “Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal. // Mia madre diceva che quel bagnoschiuma idrata la pelle ma io uso Vidal e voglio che in casa tutti usino Vidal. // Perché ricordo che fin da piccolo la pubblicità del bagnoschiuma Vidal mi piaceva molto. // Stavo a letto e guardavo correre quel cavallo. // Quel cavallo era la libertà. // Volevo che tutti fossero liberi. // Volevo che tutti comprassero Vidal”; e che lo avesse poi accompagnato nei suoi sviluppi successivi, da Puerto Plata Market (1996) a Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese (2006), passando per Amore mio infinito (2000) e La più grande balena morta della Lombardia (2004); quel lettore dovrebbe guardarsi, dopo aver terminato questo suo ultimo La vita oscena (Einaudi, 111 pagg, 15, 50 euro), dall’esclamare: a-ha, ora ho capito, ecco cosa c’era dietro. Quel mondo esilarante e desolato, quelle gag tragicomiche, quel linguaggio che nelle sue espressioni più riuscite è la perfetta mimesi del balbettare di un idiota, non era solo un artificio letterario. C’era una storia dietro, un grumo di realtà incistato, dolorante e inesauribile che comandava con la sua regìa ferrea la lingua e i personaggi di Aldo Nove. La letteratura era vita; basta quindi con l’ammirazione diffidente e il riso a mezza bocca, e benvenuto a Nove nel mondo sudaticcio dei sentimenti “autentici” e del “provare sulla propria pelle” ciò di cui si scrive e si legge.

Un libro vi trasporterà: Giorgio Vasta

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Nuova puntata di ” Un libro vi trasporterà ” per gli amici di Torno Giovedì , dedicata a “Spaesamento” (ed. Laterza) , di Giorgio Vasta. Con lui, Tommaso Cerasuolo, cantante dei Perturbazione, band con cui Giorgio ha realizzato alcuni reading. La cornice è quella del Circolo dei lettori di Torino, e poi, poi c’è la furia autistica dei dittatori soft e il coraggio dei maratoneti. effeffe

“Il mal di Montano” di Enrique Vila-Matas

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recensione per la quale è necessario avere letto il libro

di Gianluca Cataldo

«“È mia opinione che il mestiere dell’opinionista non sia un mestiere”. Così esordiva Manuel Faltausencia in un suo vecchio saggio del 1991, apparso per la prima volta nella rivista madrilena Claves de razón práctica. E non ho alcuno motivo per non credere alla buonafede del suo gioco di parole, del suo inganno. Ortega y Gasset aggiungeva, molto tempo prima, che il linguaggio serve anche per nascondere i nostri pensieri, per mentire. E che l’inganno risulta essere “un umile parassita dell’ingenuità”. E chi siamo noi per non credergli? E se a tanto illustri pensatori chiosa un Canetti, che scrive che “è la precisa conoscenza di quel che si tace a rendere il silenzio così vantaggioso”, come non possiamo trasformarci in tanti parassiti letterari e, come un Borges qualsiasi o un Vila-Matas, dire per loro bocca che non dire, ma lasciare dire, sia meglio che opinare?

È mia opinione – scrivo io che di mestiere faccio tutt’altro – che le opinioni, ultimamente, siano troppe e troppo mollemente tollerate. Come le contraddizioni. E le rivendico entrambe!, le mie opinioni e le mie contraddizioni».

In questa maniera un po’ irritante iniziava un articolo che qualche tempo fa ho letto in uno dei tanti blog su internet. Mi era piaciuto al punto da scriverci sopra, ma durante il trasferimento dall’Italia le poste svizzere (strano a dirsi ma è così) hanno perso tutte le scatole contenenti i miei libri, scatole che, come quelle di Zuckerman, aumentano di anno in anno, decuplicando la mole di citazioni che posso utilizzare, col solo sforzo di memorizzarne la provenienza.

Ancora contro la censura in biblioteca

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[In merito all’iniziativa lanciata dall’Assessore alla Cultura della Provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, ecco la lettera inviata il 19 gennaio scorso dall’Associazione Italiana Biblioteche al Presidente della Regione Veneto e al Presidente della Provincia di Venezia. Non è la prima volta che l’AIB si occupa della ingerenze politiche in Veneto: qui un caso simile.]

Al Presidente della Regione del Veneto
Luca Zaia
Palazzo Balbi – Dorsoduro 3901
30123 Venezia

Al Presidente della Provincia di Venezia
Francesca Zaccariotto
Palazzo Ca’ Corner, San Marco 2662
30124 Venezia

Egregio Presidente,

sono venuto a conoscenza dalla stampa dell’intento, da parte di un suo Assessore, di intraprendere iniziative volte a eliminare dagli scaffali delle biblioteche civiche e scolastiche del territorio tutti i libri i cui autori firmarono nel 2004 una petizione a favore di Cesare Battisti.

Dover essere riconosciuti ancor prima di nascere

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di Roberta Salardi

Nell’articolo La lobby vaticana di Franco Buffoni, apparso su Alfabeta2 (n° 3, novembre 2010), e ripreso qui su NI, si trova una considerazione che non si può che condividere: “Esistono società meritocratiche (in genere quelle anglosassoni), società socialdemocratiche (con lo stato in funzione di nume tutelare dalla culla alla tomba: in genere quelle nord-europee) e società familistiche come quella italiana, per la quale il primato dei valori è nell’ambito famigliare.”

Legami di sangue o parentela più o meno stretta si confermano come forza di coesione primaria nella familiocrazia. Si deve presumere che ciò valga anche per quella nicchia che è la casta letteraria. Amicizie o conoscenze radicate nel passato, inerenti alla famiglia o alla scuola, potranno essere decisive. La loro discreta importanza avranno in seguito le amicizie giovanili più solide, quelle degli anni formativi legate alla politica e all’ideologia, la condivisione di scelte analoghe fino alla vera e propria militanza negli stessi gruppi, schieramenti o chiese. Questi sodalizi intellettuali,

Le poesie di Isidore Ducasse. I

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di Michele Zaffarano

[Quella che segue è la bandella presente sui due volumi delle Poésies di Ducasse, nell’edizione con testo a fronte ed apparato di note apparsa presso La camera verde nel 2009 a cura di Michele Zaffarano. Nei prossimi giorni metterò on line le traduzioni di Zaffarano.]

«Cantare la noia, il dolore, la tristezza, la malinconia, la morte, l’ombra, l’oscurità, ecc. significa volere, a tutti i costi, guardare soltanto il puerile rovescio delle cose. (…) Sempre a piagnucolare. Ecco perché ho completamente cambiato metodo, per cantare esclusivamente la speranza, l’aspettativa, la calma, la felicità, il dovere».

È con queste parole che Isidore Ducasse, in una lettera indirizzata al proprio banchiere, annuncia il radicale mutamento che segna la sua nuova scrittura, in conseguenza e in opposizione ai precedenti Canti di Maldoror, troppo compromessi con la ripudiata «poetica del dubbio».

Dietro la banale apparenza delle due raccolte di massime e aforismi, pubblicate tra l’aprile e il giugno 1870 sotto il fuorviante titolo di Poesie, il giovane autore cela in realtà una dissacrante manovra di ristrutturazione globale del fare poetico. Di questa operazione, la supposta «conversione al bene» rappresenta solo un superficiale e sarcastico leitmotiv, un’esca tesa ad attrarre l’attenzione e l’energia della «ragione volgare».

A prose is a prose: Giulia Niccolai

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All’inaugurazione della mostra di Biagio Cepollaro, a Milano, c’era anche Giulia Niccolai. Erano anni che volevo chiederle l’autorizzazione a pubblicare il piccolo testo che segue. Anni per un piccolo testo così? si chiederà qualcuno. Certo, un piccolo testo da un grandissimo libro.
E così ringrazio Giulia e l’editore Archinto di avercela accordata
. effeffe

da ” Esoterico Biliardo” , Giulia Niccolai, ed.Archinto pp. 176 € 12,39 Lire 24.000

Da diversi anni ormai, tutte le volte che esco con i cani per le loro passeggiate quotidiane, porto con me dei vecchi giornali per poter raccattare e poi buttare in un cestino i loro escrementi. Mi sono sentita in dovere di prendere questa decisione a causa delle occhiate di negozianti e portinai che a volte guardavano passare me e i due cani con espressione torva e sospettosa, mentre ora al contrario ci salutano molto cordialmente. L’iniziativa dunque, per quanto sgradevole, ha avuto un certo successo e sono così riuscita a evitare un po’ di quell’attrito che rende la vita quotidiana così simile alla carta vetrata.
Col tempo ho potuto anche accumulare una certa casistica relativa alle reazioni dei passanti. La signora che arriccia il naso e dice: che schifo! Il signore che sentenzia: è così che si deve fare, ecc.
Quella calda e deserta mattina di agosto mi trovavo in via Verga diretta ai giardinetti, quando Lennie al centro del marciapiede comincia ad assumere quella classica e goffa posizione ingobbita dei cani prima di fare i loro bisogni. Da parte mia estraggo un giornale dalla borsa di plastica, lo apro per poterne sfilare due fogli e come sempre mi inchino e raccatto. A operazione conclusa sento un sonorissimo BRAVA! Mi guardo attorno ma non scorgo anima viva, alzo la testa verso le finestre delle case ma anche li, nessuno. Non capendo da dove potesse essere venuta la voce, rimango interdetta col mio cartoccio in mano chiedendomi se non avessi per caso avuto un’allucinazione uditiva. BRAVA! Non più presa alla sprovvista, questa seconda volta ne identifico la provenienza: la voce viene da lì, da quel pertugio rettangolare nel basamento della casa. La voce proviene da una cantina.
Ricapitolando: agosto in città, una strada deserta, un cane fa i suoi bisogni, una donna li raccatta, un uomo da una cantina le dice brava!
Mai come in quel momento ho capito Samuel Beckett.

Oh Lou, in una poesia che mi riesce . . .

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di Antonio Sparzani

Quando tre anni fa visitai il castello di Duino ‒ la prima apertura per chi arriva da occidente su l’amato golfo di Trieste ‒ trovai un piccolo angolo dedicato a Rilke, che vi fu ospitato, a cavallo tra il 1911 e il 1912, dalla principessa Maria von Thurn und Taxis (née Marie von Hohenlohe-Waldenburg-Schillingsfürst); appeso a una parete di questo angolo lessi un breve stralcio di una lettera del poeta a Lou Andreas-Salomè. È di questo stralcio, che non riesce a uscirmi di mente, che vi voglio dire.

Auguste Rodin era nato a Parigi il 14 novembre 1840. Nel 1900, a sessant’anni, era all’apice della carriera, come dire “ricco e famoso”: una vita turbinosa di viaggi, vari atelier con giovani artisti che lavoravano per le numerose opere che gli venivano ormai commissionate ‒ a caro prezzo ‒ e non poche donne che gli giravano intorno. Rodin era un tombeur de femmes. Isadora Duncan, conosciuta nel 1901, danzò per lui nei boschi di Vélizy, nel 1903.

Clara Westhoff, giovane scultrice di Brema, era stata nel 1899, ventunenne, allieva di Rodin. L’anno successivo iniziò a frequentare lo studio del pittore e architetto tedesco Heinrich Vogeler, a Worpswede, due passi da Brema, dove conobbe Rainer Maria Rilke (René, alla nascita — poi cambiato in Rainer per volere di Lou, Praga 1875 ‒ Valmont 1926), col quale si sposò nella primavera del 1901.

Personaggi Precari 2011 – Il quinto elemento

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di Vanni Santoni

Lorena

– Signora, ma cosa fa, spia?
…
– Signora, dico a lei!
(Lorena trotterella via)

Bruno

Di tutti i trentenni passati bruscamente dalla convinzione di poter fare tutto all’evidenza di non poter fare nulla, Bruno è di gran lunga quello a cui sono cambiati i piani del viso nel modo più grottesco.

Valentina

Che gli può dire ancora, al mondo, questa “provincia ricca”, questi bassi capanni di aziende – per carità, internazionali – questi colli dai pochi cipressi e dalle moltissime ginestre che attraverso in Intercity, così disarmati (così spaventati), pensa Valentina, senza scarpe i piedi appoggiati sul sedile di fronte, la tendina dello scomparto tirata, la borsa floscia accanto, gli oggetti che la definiscono così visibili, e così pochi, lì dentro.

Diana

– Oh..! Antidolorifici! Ma grazie, era proprio quello che desideravo!

Aspetta primavera, Lucky

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[mercoledì prossimo, il 26 gennaio, verrà pubblicato per le Edizioni Socrates il nuovo romanzo di Flavio Santi. Ve ne anticipiamo qui il capitolo XXVI. G.B.]

Di notte c’è una pace meravigliosa

di Flavio Santi

A volte di notte faccio una pausa per lo spuntino di mezzanotte. E penso. Penso alle cose a cui non ho tempo di pensare di giorno. Stavolta penso alla trasmissione televisiva di Tano Dere, il Tano Show, e mi assalgono pensieri omicidi. Per fortuna durano poco, il tempo di spalmare lo stracchino su un pezzo di pane secco e di adagiarvi sopra qualche fetta di prosciutto scaduto.
Ecco, mi dico, la tivù non è mica questo grande circo sempre ubriaco di sé, come da bravo provinciale mi immaginavo: in fondo ci sono un palco, delle lampade, delle telecamere. È un po’ come stare nella sala d’aspetto di un dentista, tutto qui. Tutto qui? Un’immagine: le labbra di Tano Dere che leggono una pagina proprio di Luciano Bianciardi. Labbra pallide che scandiscono suoni vitali, essenziali: “Le domeniche più difficili direi che fossero quelle sotto fine mese, quando non ci restavano nemmeno sessanta lire per comprarci una coppia d’uova, e qualche volta ci toccò andare a letto senza cena”. Si parla della Vita agra.

se potessi avere

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di Maria Angela Spitella

L’ultima volta che Giovanna è andata a cena fuori, risale a molti anni fa. “Era vivo ancora mio padre, parliamo di più di sei anni fa. Allora era tutto più semplice avevamo un negozio di alimentari a Roma, in periferia, andava bene, ci campava tutta la mia famiglia, mio padre io e mio fratello, ma poi mio padre si è ammalato, le cose sono cominciate ad andare male e così siamo stati costretti a lasciare il negozio”.

E poi è arrivata la crisi, una crisi feroce, che non si è dimenticata di nessuno, una crisi che dicono, sia cominciata con l’attentato alle Torri gemelle di New York, e che si è insinuata nelle vite di persone che prima di allora stavano bene. All’inizio nessuno si è accorto di nulla, ma poi lentamente si è cominciato a dover rinunciare a piccole cose e, senza rendersene conto, si è arrivati a rinunciare alle cose necessarie.

Sembra una contraddizione, ma come si fa a rinunciare alle cose che per noi erano essenziali?
Giovanna lo spiega con serenità, senza clamori e disperazione.

Notizie da Marziale

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Marco Valerio Marziale
traduzione di Daniele Ventre

I, 4

Contigeris nostros, Caesar, si forte libellos,
terrarum dominum pone supercilium.
Consuevere iocos vestri quoque ferre triumphi,
materiem dictis nec pudet esse ducem.
Qua Thymelen spectas derisoremque Latinum,
illa fronte, precor, carmine nostra legas.
Innocuos censura potest permittere lusus:
lasciva est nobis pagina, vita proba.

I, 4 [L’epigramma e Cesare]

Spiana le tue sopracciglia di dominatore del mondo,
Cesare, se di sfiorare i libri miei t’accadrà.
Sono assuefatti a soffrire gli scherzi anche i vostri trionfi,
dare materia ai motteggi onta al guerriero non è.
Con il sorriso che a Tímele ed all’irridente Latino
schiudi, suvvia, questi miei versi tu goditeli.
La potestà del censore sa ammettere i giochi innocenti:
scherza la pagina mia, proba è la vita però.

La fine della dittatura in Tunisia

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di Giacomo Sartori

Il giorno in cui Zine El-Abidine Ben Ali ha deposto Bourguiba, il 7 novembre 1987, ero a Tunisi. Assolutamente per caso. In quel periodo lavoravo nel sud del paese, e ero salito nella capitale per il fine settimana. Come spesso mi capitava avevo viaggiato tutta la notte in un taxi collettivo, cullato dalla musica egiziana che l’autista teneva accesa per tenersi compagnia, dai tiepidi odori di erba secca e carbonella che vorticavano dai finestrini della provata Peugeot familiare. Che l’anziano presidente non fosse più al potere l’ho saputo dal barbiere che mi stava tagliando i capelli. In città regnava una calma irreale, una sospensione che aveva qualcosa di solenne: niente grida, niente manifestazioni di gioia o vendetta. Una bonaccia in cui si intuiva la gioia di un lenimento, in puro e dolce stile tunisino. Mi è sempre rimasta impressa.

La fine della dittatura di Ben Ali, alla fine di una fulminea ma inarrestabile insurrezione che nessuno aveva previsto, nessuno ha pilotato e nessuno ha saputo contenere, è qualcosa però di diverso, e avrà conseguenze che ancora si fa fatica a concepire, tanto sono grandi. Per la Tunisia stessa,

Hai firmato l’appello per Battisti? Che si brucino i tuoi libri…

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Lello Voce

I fatti credo siano ormai conosciuti da tutti: dall’invito a escludere dalle biblioteche veneziane i libri degli autori firmatari – nel 2004 – di un appello per la liberazione di Cesare Battisti, scrittore ed ex membro della formazione terroristica PAC, partito da un Consigliere comunale del PDL di Martellago, sino all’entusiastica adesione dell’Assessore Provinciale veneziano, il Signor Speranzon, ex MSI confluito nel PDL, che ha rincarato la dose, dichiarandoci persone ‘non gradite’ in Provincia di Venezia e invitando, con fare minaccioso, tutti i Comuni a comportarsi così, o a prendersene la responsabilità ( e dunque ad accettarne le conseguenze… quali, viene da chiedersi…).
All’Indice siamo finiti in tanti, autori con posizioni letterarie e politiche molto diverse, accomunati dal solo fatto di avere osato dire una parola in difesa del diabolico terrorista rosso, di aver sollevato qualche dubbio sulla versione ufficiale dei fatti.

Settanta acrilico trenta lana. La crudeltà dei fiori

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di Francesca Matteoni

Camelia vive a Leeds, in una strada anonima, dove l’inverno non sa finire, anche se i giorni sul calendario si succedono, il sole smuove il ghiaccio. Ha il nome di un fiore appariscente, originario dell’Asia, bianco, rosa, rosso acceso. Ma per lei i fiori non hanno diritto di voce: li recide, ne fa scempio, li calpesta con gli anfibi. Stessa cosa con i vestiti – getta quelli nuovi nel cassonetto da cui ne recupera altri, tutti sconvolti, con file di bottoni nel punti più impensabili o maniche in sovrannumero, interviene sui suoi propri come una novella Dr Frankenstein,

Il Cavaliere e la morte

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di Franco Arminio

Berlusconi ha paura di morire. Questa paura è comune a tutti gli uomini, ma in Italia, cuore del cattolicesimo, che ha alimentato la sua potenza giocando tutto sul memento mori, il timore della morte è assai più potente.
Accumulare potere e ricchezze è un tentativo come un altro di esorcizzare la morte. Un tentativo penoso e vano, mano a mano che si invecchia, che ci si avvicina al traguardo finale L’accumulare ricchezza e potere altro non è se non un segno di questo pensiero costante che accompagna Berlusconi.

un’altra vita di Johnny Tossi (1977-2006) [1]

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di Davide Orecchio

Roma, 1977

Tra poco ne fa venti. Un mese e li compie, di settembre. Le pagine del suo diario sfogano dal cuore di uno che non diventerà mai adulto e s’accontenterà di un commento sbagliato per odiare e per sempre, o di sguardi gentili per il contrario, né dimenticherà e vorrà vendicarsi, e di ogni pensiero, fantasia o storia che caverà dal suo sacco attribuirà il leading role a un Io da titoli in grassetto e rulli di tamburo, protagonista, eroe, immortale. Meglio abituarsi in fretta a uno stile acerbo come un limone a gennaio, immaturo nell’opporsi al tempo per restare quello che è, ostile ai processi, nemico dei flussi, arrabbiato col divenire. Ama i fumetti di Quino, le storie di Oesterheld, il rugby, i film western e la birra Quilmes. Ecco un assaggio di Johnny: “Mi piacciono anche i camperos e i jeans attillati che esaltano le dimensioni del mio pisello, ogni giorno più grosso”. Chi direbbe che è il giornale intimo di un profugo?

Porta i capelli ricci e lunghi come Mario Kempes senz’averne spalle e magrezza. Anzi è già sovrappeso. Ama i jeans di un amore non ricambiato che i calzoni ripagano col conio del ridicolo, traducendogli le cosce in prosciutti e il sedere, beh, il sedere… Cammina molto per la città dov’è naufragato in sopralluoghi che non hanno inizio né fine, perché quando si ferma già progetta i prossimi o ricorda i passati.

L’uomo assorbente

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di Andrea Inglese

Per un attimo, leggendo in questi giorni i quotidiani, ho provato, tra tanta indignazione, anche un moto di sollievo: mi sembrava che finalmente tutti i mali dell’Italia potessero coagularsi in una figura ben delimitata, che funzionasse anche come spugna assorbente dei peccati generali. Se l’Italia è un paese di merda, o comunque parecchio incivile e scarsamente democratico, lo dobbiamo fortunatamente a lui, che riesce a concentrare in sé le peggiori, impensabili, nefandezze: tipo andare a puttane, possibilmente con minorenni, o comunque non troppo “professioniste”.

Leggendo questi fatidici “tabulati”, da cui emergono storie faticosamente sorprendenti, pare quasi di dimenticare che un numero assai alto di nostri concittadini fa quotidianamente ricorso alle puttane, con la stessa ampiezza di vedute etniche del signor Berlusconi, con la stessa noncuranza per le date sul passaporto, ma a differenza di Berlusconi è assai meno generoso nei loro confronti. Qualcuno più informato di me potrà aggiornarci sulle tariffe di una nigeriana nella strade provinciali della Sicilia o di una moldava nei vialoni di Milano. Quanto di bocca? E la scopata completa?