Quando tre anni fa visitai il castello di Duino ‒ la prima apertura per chi arriva da occidente su l’amato golfo di Trieste ‒ trovai un piccolo angolo dedicato a Rilke, che vi fu ospitato, a cavallo tra il 1911 e il 1912, dalla principessa Maria von Thurn und Taxis (née Marie von Hohenlohe-Waldenburg-Schillingsfürst); appeso a una parete di questo angolo lessi un breve stralcio di una lettera del poeta a Lou Andreas-Salomè. È di questo stralcio, che non riesce a uscirmi di mente, che vi voglio dire.
Auguste Rodin era nato a Parigi il 14 novembre 1840. Nel 1900, a sessant’anni, era all’apice della carriera, come dire “ricco e famoso”: una vita turbinosa di viaggi, vari atelier con giovani artisti che lavoravano per le numerose opere che gli venivano ormai commissionate ‒ a caro prezzo ‒ e non poche donne che gli giravano intorno. Rodin era un tombeur de femmes. Isadora Duncan, conosciuta nel 1901, danzò per lui nei boschi di Vélizy, nel 1903.
Clara Westhoff, giovane scultrice di Brema, era stata nel 1899, ventunenne, allieva di Rodin. L’anno successivo iniziò a frequentare lo studio del pittore e architetto tedesco Heinrich Vogeler, a Worpswede, due passi da Brema, dove conobbe Rainer Maria Rilke (René, alla nascita — poi cambiato in Rainer per volere di Lou, Praga 1875 ‒ Valmont 1926), col quale si sposò nella primavera del 1901.















