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I padri ingannevoli

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di Christian Raimo

Piccolo quiz di inizio anno: di chi sono queste parole?
“Giovani, combattete sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile, che per alcuni si risolve semplicemente nella libertà di morire di fame. Libertà e giustizia sociale sono un binomio inscindibile. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, e lo dico senza presunzione, ma come un compagno di strada, tanto mi sta a cuore la vostra sorte. Io starò sempre al vostro fianco”. La soluzione completa la trovate a quest’indirizzo. È il discorso di Capodanno del Presidente della Repubblica. Del 1983, era Pertini. Fa impressione, eh?
Ma perché citarlo? Nelle ultime settimane, qui sulle pagine delmanifesto, si è molto parlato, a partire dalle analisi di Recalcati e del suo Uomo senza inconscio, del declino di un modello paterno che rappresentasse la Legge o la Responsabilità, sostituito da un modello che invece incita al godimento compulsivo. Il rapporto tra padri e figli dovrebbe essere un tema politico forte in qualsiasi democrazia sana, e in un paese con un tasso di disoccupazione giovanile al 28,9% la questione generazionale dovrebbe porsi addirittura come un’urgenza. E invece di fatto questo non accade, non c’è vero conflitto tra giovani e adulti, e anzi la stessa area semantica del “conflitto” si vuole espulsa dal discorso politico. Se Pertini nel 1983 usava, come parole pubbliche da destinare alle famiglie che si apprestavano al cenone di fine anno, lotta,combatteregiustizia sociale; oggi questa stessa terminologia è praticamente tabù – al suo posto troviamo confrontocondivisione,opportunità. Un sintomo di maquillage linguistico che non è semplicemente una retorica di facciata, ma quello che si potrebbe definire un nuovo discorso paterno.

puntocritico.eu

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punto critico

Parte oggi il blog/sito di critica puntocritico.eu, una nuova realtà on line che nasce come luogo di discussione critica sul contemporaneo, essenzialmente in letteratura.

È un blog e allo stesso tempo un vero e proprio archivio digitale, indicizzato per temi e autori (che in ogni caso ospiterà anche i contenuti inseriti nel blog).

L’intento che lo muove è quello di creare un luogo online di analisi critica e di proposta, ma anche di “ristampa” e di archiviazione, di interventi, saggi e materiali; e aprire così – di fatto – un’area di discussione seria sul contemporaneo, quale ancora non esiste in Italia. Uno spazio nel quale possano dialogare, interagire e confrontarsi schiettamente – ma sempre in modo rigoroso – alcuni dei principali critici e scrittori italiani.

Nuovo cinema paraculo/Hereafter

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di Piero Sorrentino

Va bene, la scena di apertura è bella. Il risveglio nella stanza d’albergo, il sole, le biciclette per le strade, la passeggiata indolente per il mercatino, i mucchietti di collanine e pietre colorate esposte sui banchi. E poi, di colpo, incomprensibile, immotivata, la Tragedia, lo tsunami, l’acqua risucchiata da una forza invisibile e poi scagliata contro i palazzi, le persone travolte e annegate, le macchine che si trasformano in proiettili impazziti, la distruzione, la morte. Ma, insomma, per il nuovo film di Clint Eastwood ci dobbiamo stracciare le vesti – ancora una volta – soltanto per questo?

BIzArt and foot! – Rafael Spregelburd

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Bizarra: teatro e telenovela. Intervista a Rafael Spregelburd
di
Graziano Graziani

Rafael Spregelburd è tra i drammaturghi argentini più interessanti della sua generazione, quella dei quarantenni che hanno vissuto la dittatura solo durante l’infanzia, affacciandosi nell’età adulta quando l’Argentina cominciava a fare i conti con quel suo doloroso recente passato. La sua opera, per altro piuttosto prolifica, è ben conosciuta in paesi come l’Inghilterra e la Germania, mentre solo da qualche anno viene rappresentata in Italia, grazie anche all’opera di traduzione e regia di Manuela Cherubini, che nell’ultima edizione del Napoli Teatro Festival ha realizzato la versione “napoletana” di «Bizarra», una delle opere più particolari di Spregelburd, che verrà riproposta a in versione “romana” tra ottobre e dicembre all’Angelo Mai (produttore dello spettacolo assieme alla regista e a Giorgio Barberio Corsetti). «Bizarra» è una teatronovela in dieci puntate, un lavoro smisurato che si confronta con le regole assurde – ma accettate senza alcuna difficoltà dal pubblico – che caratterizzano il racconto della fiction televisiva, ed è proprio quest’opera il centro di questa conversazione con Rafael Spregelburd. Perché la scrittura di Spregelburd, oltre a mettere in risalto l’assurdità del linguaggio televisivo, con un sicuro effetto comico, coglie i nodi più profondi dove questo influenza e modella il linguaggio della politica e dell’informazione. D’altronde la genesi stessa di «Bizarra» ha un peso importante: il drammaturgo argenti ha scritto la prima teatronovela della storia del teatro all’indomani della crisi economica del 2001, quando non c’erano più soldi per lavorare e tutti pensavano ad andarsene dal paese. Una situazione che, pur con le dovute differenze, ricorda l’Italia dei nostri giorni.
Come è nata Bizarra?

Diventare uomo

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Teatro della Cooperativa Via Hermada 8, Milano – tel. 02.64749997
Da mercoledì 12 a domenica 16 gennaio 2011 –
ore 20.45 – domenica ore 16

DIVENTARE UOMO – Frammenti estremi di donne albanesi
da un’idea di Livia Grossi con la collaborazione di Maria Arena e Laura Facchi con Lucia Vasini, Emanuela Villagrossi
musica originale scritta ed eseguita da Gaetano Liguori

Tre linguaggi per raccontare la difficile scelta di alcune donne albanesi in bilico tra i due sessi, donne non più donne, uomini mai veramente diventati tali. Frammenti di un viaggio-inchiesta cinematografico e dei condizionamenti sociali che hanno determinato le loro esistenze.

Wikipedia e la cultura

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di Massimo Mantellini

Nella settimana in cui si festeggiano i primi dieci anni della versione italiana di Wikipedia, è circolato molto in rete il video di un servizio che il TG5 ha dedicato qualche settimana fa alla enciclopedia libera.

La tesi del TG5, già più volte sostenuta in passato, al netto delle imprecisioni contenute nel pezzo, è che Wikipedia sia uno strumento “sciatto” ed “ideologizzato” (??) e che la vecchia e gloriosa enciclopedia Treccani (che il TG5 usa come esempio di “bella cultura”, inquadrandone i prestigiosi tomi fino al limite del coinvolgimento pubblicitario) era senza dubbio molto meglio.

Il manicheismo del TG5 è solo la manifestazione più chiassosa e superficiale di un atteggiamento estremamente diffuso: nella critica, ragionata e non, a Internet, la dissertazione sulla autorevolezza dåi Wikipedia è del resto uno degli argomenti forti ormai da molti anni.

Fabio Franzin. Co’e man monche [Con le mani mozzate]

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di Nadia Agustoni
In un testo apparso a suo tempo in Nazione Indiana parlando della fabbrica scrivevo: “C’è una calma barbarica negli stabilimenti ed è dovuta al loro essere luoghi che non cambiano. Luoghi senza mutazione. La loro geografia è stabile. Un accumulo rimasto sul terreno, uguale a se stesso. Anche la corruzione del tempo non li cambia. Lascia intatto l’essenziale: quel senso di perdita e di pesantezza, una gravità diversa. Se qualcuno provasse a descrivere una fabbrica come un non-luogo, forse sbaglierebbe. Forse, e dico forse, questi sono i luoghi per eccellenza. Solidi e piantati nella mente prima che nel paesaggio. Una fabbrica costruisce i corpi che la abitano e rimane costruzione anche quando è in disuso. E’ costruita per precedere il tempo e crea una dissonanza che la lingua non può trovare e quindi di fatto pone la difficoltà di dire che cos’è la sua stessa materialità.” (1) Negli ultimi due anni alcuni poeti hanno ripreso a raccontare la “fabbrica” e la realtà del lavoro da punti di vista diversi, ma evidenziando che se esistono fabbrica e lavoro, da tempo non esiste più una classe operaia, ma solo degli operai. Fabio Franzin coglieva già in Fabrica aspetti di quella condizione che Simone Weil sintetizzava in una frase:”Non si può essere coscienti”. (2)

complesso immobiliare plurifamiliare

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di Marco Simonelli

[continua da qui]

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La figlia del costruttore annegò nella piscina. Quando vennero a saperlo erano al circolo del tennis. «Aveva appena imparato a camminare». Rimase tutto fermo. Passando dal cantiere l’anno dopo aveva notato l’erba alta.

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Dettava il necrologio. Al dolore parteciparono le rispettive mogli. Lei era la sua compagna di banco, ogni anno stava lì almeno per una settimana. «Ma tu li conoscevi bene?», gli aveva chiesto vedendolo da solo sulle scale dell’ingresso. «No», rispose dopo singhiozzando.

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Non disse mai del Messico. Del cimitero colorato. C’era stato il terremoto, sembrava il Terzo Mondo. Non capiva la scelta di quel posto di vacanza. Erano in tre, avranno avuto la sua età. Uno indossava solamente una felpa sporca con su scritto Benetton. Era scalzo. Non aveva né costume né mutande.

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Il padre dichiarò: «Mi preoccupava. Tendeva ad isolarsi». Tuttavia, il giorno della diagnosi, lo videro di nuovo con una sigaretta in mano.

Il Rapimento

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di Marco Rovelli

Chissà come hanno passato queste feste nell’America profonda, quella dei fondamentalisti cristiani, milioni di persone che credono nell’imminenza della Fine dei Tempi e vorrebbero l’instaurazione della teocrazia sulla Terra. Ne scrive Joe Bageant in un bel libro edito da Bruno Mondadori: “La Bibbia e il fucile. Cronache dall’America profonda”. Joe Bageant ha un blog seguitissimo dai liberal americani. I quali da lui, che nell’America profonda vive (e la forza del libro sta proprio in questa sua capacità di raccontarla dall’interno), cercano di apprendere i fondamentali di un mondo che gli sfugge totalmente (così come succede anche da queste parti…). Cercano di recuperare notizie su un mondo di proletari in balia di un’egemonia culturale e religiosa di una destra fondamentalista e oscurantista (in questo senso, date le numerose affinità, il leghismo può essere letto anche come ulteriore tappa nell’americanizzazione dell’Italia).

Una Riga su Furio Jesi

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[è uscito il nuovo numero monografico di RIGA, Marcos y Marcos, dedicato a Furio Jesi, a cura di Marco Belpoliti e Enrico Manera. Vi allego editoriale e indice. G.B.]

Furio Jesi è uno studioso dall’impressionante varietà di interessi e dalla straordinaria capacità di scrittura, capace di far saltare i confini tra le discipline attirando su di sé un’attenzione proporzionale alla quantità di temi affrontati e alla complessità dei testi prodotti. Precoce egittologo e critico letterario, si è ritrovato, all’apice di un troppo breve itinerario intellettuale, germanista e mitologo di rilievo: non è facile circoscrivere gli interessi vasti e profondi di questo enfant prodige colto e geniale, di origine ebraica ma agnostico, militante radicale e poligrafo folgorante, che, pressoché autodidatta, seguendo percorsi intellettuali d’altri tempi diventa allievo di Kerényi per poi muoversi in modo originale, sotto l’influenza di Dumézil, Scholem e Lévi-Strauss, sul terreno della storia delle religioni e delle idee, dell’antropologia e della filosofia.

pop muzik (everybody talk about) #8

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Bluestocking / Momus. 1991

Alfa zeta per Alfa Beta: G come Jeunesse

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Nuova puntata per alfa beta 2 questa volta dedicata à la jeunesse ovvero infanzia adolescenza in cui ogni cosa sembra correre via oltre ogni tempo e consapevolezza. ci sono degli attraversamenti anche, come le note alla fisarmonica di Franck Lassalle, le filastrocche e i versi di Anna Costalonga, i versi cantati di Pier Paolo Pasolini, lo sguardo di Truffaut dei quatre cent coups, e quello dei ragazzi della via Paal…effeffe

ENZO MARI [ I fermacarte, solidi e stanziali, impediscono alle idee di volarsene via. ]

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    di Orsola Puecher
 
    I fermacarte sono per chi ha carte da fermare. E cose scritte o disegnate fermate sulle carte. Idee da fermare su carte. Ci possono essere anche idee senza carte, per carità. Idee volanti. Carte senza idee, invece, ne svolazzano molte.
    I 60 fermacarte eclettici di Enzo Mari trattengono e tratteggiano una percorso esistenziale di progetti. Nelle loro diverse estetiche apparentemente casuali, in materiali nobili e meno nobili, riciclati e rivisitati, raccontano una metodologia di lavoro e una filosofia di vita. Non sarebbero fermacarte senza carte, ma potrebbero essere nella loro concretezza di forme anche fermaporte, in caso, per dimore ventose con molte correnti d’aria. Oppure fermalenzuola stese ad asciugare sui prati, come si faceva ancora non molti anni fa in campagna.

pop muzik (everybody talk about) #7

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The Booklovers / The Divine Comedy. 1993

I cento padroni di Palermo

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[Da un’idea di Gianluca Cataldo, uno scritto di Pippo Fava e la sua ultima intervista, rilasciata a Enzo Biagi, nell’anniversario del suo omicidio. a. r.]

Pippo Fava, nato 15 settembre 1925, ucciso il 5 gennaio 1984. Scrittore, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, giornalista.

I cento padroni di Palermo
da I Siciliani, giugno 1983

Camminare a Palermo. Il viale bianco di sole. Le grandi nuvole che arrivano da Punta Raisi, la loro ombra corre sul viale più veloce delle auto. Il cielo sul mare è abbagliante, il cielo sulle montagne a sud, è nero di tempesta. Il gelato da Roney. Tre signore di mezza età stanno sulle poltroncine verdi, con le sopracciglia alte e le boccucce delle signore di Tolouse Lautrec, sedute al divano rosso. Fumano con boccate avide, l’una racconta e continuamente ride, scuote la cenere in aria, l’altra sorride melliflua, la terza annuisce. Sorbiscono granita di mandorla. Tre boccucce eguali come fossero state dipinte dalla stessa mano.  Camminare a Palermo. Il cuore del vecchio mercato a mezzogiorno. Almeno cinquemila persone in un groviglio di vicoli che affondano tutti verso la piazzetta. Cento bancarelle sormontate dai giganteschi ombrelloni rossi, pesce, verdura, carne, mele, noci, aragoste, i quarti insanguinati di vitello, i capretti sventrati che pendono dagli uncini, i banditori urlano tutti insieme, lottano così l’uno contro l’altro, in mezzo alla folla.
Camminare a Palermo. Il circolo della stampa, con i soffitti bassi, il sentore e l’odore della catacomba, il buio, la luce verde del biliardo senza giocatori, tre bizzarri individui che ti vengono incontro da tre direzioni diverse, si rassomigliano incredibilmente tutti e tre, saluti gentilmente e nello stesso momento tutti e tre ti salutano con l’identico sorriso, sono gli specchi che dagli angoli bui riflettono la tua immagine. Silenzio. Un aroma di caffè, un cameriere vecchissimo, allampanato che appare vacillando, da un angolo d’ombra all’altro, e scompare. Su un divano tre vecchi signori impassibili dinnanzi a un televisore in bianconero che pispiglia qualcosa. Uno dei signori ha il bastone col manico d’argento, le ghette, il panama bianco. Si alza levando dolcemente il bastone a mo’ di saluto: “Ho fatto tardi!”. Se ne va adagio, si volge solo un attimo con un mormorio. Non si capisce se abbia detto: “Debbo morire!”.

Highway (Caserta Nord) Revisited

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Felicità. Tra venti metri ha inizio.

di

Giovanni di Benedetto

« Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un’uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d’esercitare qui tanto potere.»

(Marziale Lib. IV. Ep. 44)

Uscita. Uscita secondaria. Secondaria nel senso che c’è n’è una che la precede. Oppure. Meglio non prenderla. Vincere. Bisogna vincere. Dov’è il traguardo? No meglio non prenderla. Essere i primi. Dietro di me, please. Composti e ordinati. Le vedi le macchine? Come fossero vomitate. Immagina:  c’è una strada, sei in una macchina e la macchina è sulla strada. Ma è ferma immobile come una macchina. Respira? Defibrillatore, presto! Uno, due, tre, zzzzz. Così: fissi lo sguardo fuori dal finestrino: verdi colline d’Africa, profumo di ginestra riscaldata, mamma-guarda-ci-sono-le-mucche!, sterco n°5 eau de parfum. E invece no. Un lungo ampio denso conato di lamiera utilitaria. L’utilitaria è un particolare tipo di autovettura caratterizzata da dimensioni e dotazioni essenziali, progettato per assolvere le più correnti funzioni pratiche del trasporto promiscuo o alternato di persone e cose, a fronte di un prezzo di acquisto e di costi di gestione particolarmente contenuti (cit.). Cattiva digestione del cenone di capodanno. Ci sono

IL BARISTA DI MALAGROTTA

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di Yari Selvetella

Malagrotta regno animale, Malagrotta regno di zanzare, di topi e di gabbiani, di esseri umani. Malagrotta Via degli oleodotti e Via degli idrocarburi, Malagrotta Bosco di Massimina, Malagrotta Testa di Cane, Malagrotta gassificatore, Malagrotta pecore e vacche, Malagrotta raffineria, Malagrotta Ponte Galeria, Boccea. Malagrotta 1 e Malagrotta 2, Malagrotta lavoro, malattia. Malagrotta gola, sapore, odore, un uomo che guida e intanto si distrae, osserva chilometri di recinti, le palme appena piantate sulle colline, un pastore slavo ai piedi di un noce, una prostituta con minigonna di lamé, le cosce nude e tozze, le scarpe di vernice che toccano l’asfalto e fanno un ritmo quando il traffico è fermo per il semaforo provvisorio dei lavori in corso.
Poi scatta il verde e i rumori sono altri, più solidi scarti di ridotte dei camion all’ingresso della discarica di Roma e macchine cavacantiere inerpicate sui tornanti.

NON RICONCILIATI OVVERO LE VITE IM-POSSIBILI DEL CINEMA ITALIANO

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È disponibile, con un rocambolesco doppio omaggio a Straub-Huillet e a Corso Salani, l’ultimo numero di “Filmcritica“, fascicolo monografico sulla dislocazione del cosiddetto cinema italiano. La presente uscita – che contiene conversazioni con Mario Martone, Franco Maresco, Giuseppe Gaudino, Isabella Sandri e Dario Argento – si apre con questa sorta di mappa, o meglio geografia impazzita, curata da Lorenzo Esposito e Bruno Roberti e scritta insieme agli autori che lavorano, per scelta e per istinto, a tracciarne o a celarne le coordinate – e i cui interventi contrappuntano in corsivo il testo centrale (scarica mappa). Il tema è chiaramente quello dell’identità: antropologica e politica – tanto più se invece è tante identità, come in fondo è sempre l’immagine. Da un lato dunque un discorso fatto di torsioni che si arrischiano a segnalare una nuova generazione di registi che hanno meno visibilità, dall’altro un discorso sulla lingua (poetica cinematografica antropologica politica italiana): à rebours.

ἐκϕράζω e Michel Houellebecq

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di
Francesco Forlani

« What leaf-fringed legend haunts about thy shape
Of deities or mortals, or of both,
In Tempe or the dales of Arcady?
What men or gods are these? What maidens loth?
What mad pursuit? What struggle to escape?
What pipes and timbrels? What wild ecstasy? »
(John Keats, Ode on a Grecian Urn, vv.5-10)

Ed è in quell’istante, dispiegando la cartina, a un passo dai tramezzini incellofanati, che venne a conoscenza della seconda grande rivelazione estetica. Quella cartina era sublime (…)

Jed, il protagonista di La carte et le territoire di Michel Houellebecq, quasi colto da una sindrome di Stendhal tutta contemporanea, fino ad allora come incatenato al principio di realtà, delle realtà prime del suo tempo e di quelle seconde dei media del suo tempo, vede aprirsi un interstizio nel muro che lo circonda. La rappresentazione di una realtà così complessa, bio-politica come una regione della Francia Profonda, gli rivela la dimensione unica e singolare delle vite che quella cartina evoca. In altri termini, come scriverà poco oltre, rivelandoci il titolo della mostra che lo consacrerà Artista Contemporaneo, “ La carta è più interessante del territorio”.

chapbooks! chapbooks!

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Dopo quasi due anni dall’ultima uscita, sono arrivati alla stampa altri quattro titoli della piccola collana Chapbook, che curo insieme a Michele Zaffarano. Con l’anno nuovo sono disponibili:

  • Il canto secolare per un nomarca di Emmanuel Hocquard
  • Plasma di Barrett Watten
  • I cani dello Chott el-Jerid di Andrea Raos
  • Voci di seconda fase di Giulio Marzaioli

Sono felice di segnalare la cosa su Nazione Indiana, perché considero i Chapbook un’iniziativa molto vicina, per spirito di servizio e gratuita follia, alle Murene, la collana al 100% indiana alla quale invito tutti ad abbonarsi.

Con l’anno nuovo, quindi, non fate i taccagni e sganciate la lira sia per le Murene che per i Chapbook.

PS: chi vuole vedere un prospetto riassuntivo dei titoli pubblicati ad oggi, e avere indicazioni sulle modalità di acquisto, può cliccare qui.