L’abbonamento per i tre numeri della collana costa 20 euro. Chi sottoscrive riceverà subito Stephen Rodefer, mentre Torga e Schulze verranno spediti nel corso del 2010 (probabili uscite a settembre e a novembre).
L’amore non c’entra niente. Con la vita ordinaria, con la vita giornaliera, l’amore c’entra pochissimo. In primo luogo per il fatto che l’amore non esiste, e nel caso esistesse, l’amore sarebbe una finzione, ovvero avrebbe scarsissima realtà, per cui non entrerebbe nelle vite, se non in forma irrilevante, con lo stesso peso dell’ombra gettata da un corpo sul muro.
Che l’amore esista poco, che venga male interpretato, malinteso, che sia qualcosa di inutile, un’invenzione senza scopo, che rimanga comunque a margine, buono per le immagini in movimento, che l’amore manchi, sia evocato in quanto pezzo mancante, grossa assenza, buco, lo si capisce bene a Parigi, la cui psicogeografia manca completamente di una plausibile insularità dell’amore, di una zona franca, di una coppia di passanti, in cui possa essere situato, e poi descritto un fenomeno dell’amore, un suo pezzo, una fase.
Nota
di Mario Capello
su “Imperfetto” di Alessandro Zannoni, Perdisapop editore, euro 14,00
Scorro le pagine di Imperfetto di Alessandro Zannoni e mi trovo davanti a un passo che mi fa riflettere. Il miglior amico del protagonista, Andrea (Andros, cioè maschio), davanti alle sue titubanze, gli spiattella la formula della felicità (o dell’infelicità senza desideri contemporanea, per citare Handke):
“Sei convinto di quello che fai?” […] “Pensaci bene, bello, perché una come Marta non è che la trovi dietro l’angolo” […] “Una che tiene bene la casa, che sa farti da mangiare, che non ti rompe il cazzo” […] “Finché si tratta di andare a troie e tornare a casa va tutto bene. […] Devi fare come tutti, fai un bambino, ti tieni la tua bella famiglia e scopi con tutte le troiette che vuoi senza fare tanti casini” (Imperfetto, pagine 61-62)
È un invito ad accettare la realtà in maniera pragmatica. La realtà, con la sua volgarità, la sua ipocrisia, la sua mancanza di senso, perché in essa, nulla ha davvero valore, neppure le nostre azioni più bieche, più basse, tanto meno le nostre bassezze ché queste, al contrario, sono forse le uniche palpitanti in quel magma indistinto che è, alla fine, la realtà. Rassegnarsi – a essere uguali a tutti gli altri, a mentire, a vivere da scissi – e chinare la testa.
Ma, poche pagine prima, nel libro, in questo che è un bell’esempio di romanzo di genere, una prova di alto artigianato, dalla scrittura tagliente e dai personaggi solidi, c’è un appello di ordine diverso.
Giovedì della scorsa settimana, Murat Altun ha attraversato con l’automobile del vescovo il viale tappezzato di bandiere rosse con la falce e la stella a cinque punte e poi ha raggiunto monsignor Padovese al numero 17 di Sultankoy site: una villetta bianca avvolta nella vite e affacciata sul mare dove il vescovo si ritirava a godersi la propria privacy. Un angolo incantevole distante solo venti minuti dalla frenetica vita cittadina, fitta di appuntamenti pastorali, di incontri interreligiosi, di contatti col Vaticano.
«Li ho visti insieme per tre anni, erano come padre e figlio. Murat preparava il caffè turco e lo bevevano dopo aver fatto una nuotata insieme», borbotta incredulo il vicino Mehmet Kolksal, piantando fiori rosa nel suo giardino.
Quando si parla di fibrillazioni interne alla destra italiana, è opportuno non confondere il piano politico con quello sociale. Sul piano politico il tentativo di smarcarsi di Fini, il suo mirare alla costruzione di una destra diversa, è solo l’ultimo atto di un processo iniziato un anno fa, quando intellettuali a lui vicini iniziarono ad assumere posizioni anti-berlusconiane. Prima delle dichiarazioni di Veronica Lario, fu Sofia Ventura (politologa del gruppo “Farefuturo”) a parlare di velinismo e di ciarpame. Per la prima volta, allora, il Capo fu messo in discussione. Furono messi in discussione la sua politica, le sue candidature, il suo rapporto con le donne quale architrave del rapporto con gli alleati e con la società italiana. Poi si sarebbe addirittura arrivati alla constatazione del sistematico utilizzo di donne-tangenti all’interno del suo entourage. Sulla questione femminile interna alla destra si è aperta allora una crepa che via via si è estesa ad altri fronti. In seguito critiche non molto diverse (tutte tese a costituire un laboratorio politico di destra non riconducibile al berlusconismo) sono state formulate a proposito della giustizia, della riforma dello Stato, del federalismo, dell’immigrazione e della cittadinanza.
[prosegue la pubblicazione delle recensioni ai libri “stregati”. G.B]
di Marco Belpoliti
Lorenzo Pavolini, Accanto alla tigre, Fandango, pp. 243, € 16,50
Due lampi di una memoria ancora da costruire: la foto dei gerarchi fascisti appesi a testa in giù a Piazzale Loreto e una voce ascoltata in un documentario sui 600 giorni della Repubblica di Salò. La prima accende nel ragazzino che la vede un’improvvisa curiosità destinata a crescere negli anni, fino a che l’uomo maturo non sente parlare il nonno-mai-conosciuto in un documento televisivo e prova seduta stante una “infinita dolcezza”.
Nota
di Carlotta Vissani
su Ho rubato la pioggia,Elisa Ruotolo, Nottetempo, 15 euro
Non saprei dire perché, ma continuo a imbattermi, felicemente, nei racconti di italiani al loro vero esordio. Voci peculiari che hanno qualcosa di importante da dire. Elisa Ruotolo, classe ’75, è una scoperta da fare perché sa bene dove andare a parare con la sua penna guizzante e colloquiale (senza mai mancare di raffinatezza linguistica), capace però di restare dentro i confini imposti dalla forma narrativa a lei più congeniale perché quando scrivi racconti “devi sempre sapere dove guardare, a quali dettagli dare la salvezza dell’inchiostro”. Tre storie “nate quando ho smesso di scegliere e ho deciso semplicemente di raccontare”, tre personaggi forti – Molto Leggenda, Maria e Cesare – legati a doppio filo alla loro patria di origine, la Campania, radici umane saldamente piantate in un terreno comune, frutto di “racconti tramandati, ma anche frammenti di conversazioni rubate ai discorsi distratti di una carrozza ferroviaria, geografia spaziale e mentale del perimetro in cui sono cresciuta”.
Non bruciarti di nuovo la vita
a violare le leggi marittime.
Quelli salgono, sparano, estraggono
le prove solite dell’innocenza
portate apposta per l’occasione.
Non risultano italiani fra le vittime
Tutto il resto è televisione.
Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
No, affatto. Canetti diceva che l’idea che la letteratura sia alla fine è meschina. Anche negli anni in cui non leggiamo libri che ci paiono significativi la letteratura è viva, magari i libri vengono scritti e non pubblicati, o pubblicati da editori difficili da reperire in libreria, o magari da grandi editori ma i nostri pregiudizi ci rendono difficile la lettura. Dire che la letteratura sia morta è come dire che è finita la civiltà. Se poi parliamo del romanzo trovo sempre con sorpresa un libro in cui questo genere straordinariamente vitale si è ridefinito. La poesia mi sembra ancora più profondamente duratura. Chi è che riesce a mettersi su un podio tale da poter dire signori e signore, dopo tremila anni di letteratura occidentale è accaduto che proprio in Italia, nel 2010, il genere è morto! Francamente credo ci vorrebbe un po’ più di sobrietà quando si danno giudizi di questo genere. Del resto sono sentenze che sono sempre stati parte della scena letteraria, facendo appunto la figura descritta da Canetti.
Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?
No, ogni epoca ha i suoi modi. La figura dell’impresario d’opera o del produttore cinematografico non sono migliori, ma fanno i film, hanno fatto le opere, spesso segnandone alcuni limiti.
Percorsi la Berggasse e svoltai nel famigliare ingresso; che era Berggasse 19, Wien IX. C’erano ampi gradini di pietra e una balaustra. A volte incontravo qualcun’altro che scendeva. La scala di pietra era curva. C’erano due porte sul pianerottolo. Quella a destra era la porta dello studio del Professore; quella a sinistra la porta della famiglia Freud. Effettivamente i due appartamenti erano disposti in modo che ci potesse essere un po’ di confusione fra famiglia e pazienti o allievi; di qua c’era il Professore che apparteneva a noi, di là c’era il Professore che apparteneva alla famiglia; era una grande famiglia con ramificazioni, suoceri, parenti lontani, amici di famiglia. C’erano altri appartamenti sopra, ma non ho incrociato molto spesso qualcuno sulle scale, tranne i pazienti in analisi dell’ora precedente alla mia. Le ore o sessioni stabilite per me erano 4 giorni alla settimana dalle cinque alle sei; un giorno dalle dodici alla una. Almeno, quello era l’ordine per la seconda serie di sessioni che, annotai, cominciarono alla fine di ottobre del 1934.
[…]
C’è un dottore seduto dietro il divano su cui sono sdraiata. È un dottore molto famoso. Si chiama Sigmund Freud.
Intervista a Luca Camurri, autore di Le parole testuali, Festuca editore, Sesto San Giovanni 2007, € 8.00.
Antonio: caro Luca, ho letto il tuo Le parole testuali e ne ho riportato impressioni diverse, e in vari casi molto buone. Mi piacerebbe, se sei d’accordo, parlarne qui in pubblico per condividere con altri pareri e impressioni. Una delle prime cose che mi ha colpito è la tua capacità di cogliere l’attimo di un cambiamento, di una vertigine, di una comprensione improvvisa; l’eureka di una sensazione, di un sentimento. Cosa puoi dirmi di questo? Quando scrivi, è per l’impulso improvviso di fermare un’emozione o invece una meditata elaborazione?
Luca: nella mia scrittura poetica ‒ con l’eccezione di Il Libro dì Debora, la mia terza opera, che era veramente “monotematica” ‒ non c’è mai una “meditata elaborazione”. La stessa brevità dei testi penso riproduca abbastanza fedelmente l’illuminazione, la scheggia improvvisa, il tuffo a ritroso nel tempo.
In seguito, a distanza di giorni e di mesi, rivedo e modifico spesso i testi; ma lascio di proposito una parola più desueta o magari più “stonata” delle altre, che ai miei occhi è quella che più di altre “fa luce” sulle dinamiche dell’inconscio. Non nego l’importanza del labor limae, ma credo fermamente che i frutti dell’ispirazione vadano preservati, per evitare di ridurre la poesia a una fredda e sterile attività “a tavolino”, basata solo sul raziocinio e sull’esercizio stilistico e formale.
Una casa divorata da un incendio, un ragazzo si fa strada fra le stanze invase dal fuoco per salvare una donna ma, prima di uscire verso la salvezza, i due si amano con passione e frenesia tra le fiamme incombenti. Questo sogno d’amore, questa spora già annidata nelle oltre mille pagine di Canti del caos, è il primo nucleo seminale del nuovo romanzo di Antonio Moresco, storia di un uomo solo, disperato, separato da tutto e tutti, che abbandona la città in cui vive e si rifugia in un luogo di mare, dove però scoppia un incendio repentino. Mentre i bagnanti guardano da una collina il fronte del fuoco, una donna bellissima e misteriosa gli si accosta, parlandogli con confidenza vertiginosa. È un sogno? Un’apparizione?
alla Galleria Studio 44 – Vico Colalanza 12r, Genova
nell’ambito della seconda edizione di “Succursale mare” a cura di Luciano Neri
interverranno
Franco Buffoni – “Roma” (Guanda, 2009)
Italo Testa, Francesca Matteoni, Gilda Policastro, Andrea Breda Minello e Corrado Benigni – “Decimo quaderno italiano di poesia contemporanea” (Marcos y Marcos, 2010)
Nota
di Francesco Forlani
su L’anno delle ceneri, Giuseppe Schillaci, Nutrimenti, 15 euro
Ogni anno, più o meno prima dell’estate nella posta di Nazione Indiana ci arriva puntuale la richiesta da parte di un’organizzatrice di incontri letterari di “segnalare” un giovane scrittore, un esordiente, per un festival che vede coinvolte molte delle figure chiave del sistema editoriale italiano, diciamo dell’ambiente, dagli editor ai critici letterari, dagli scrittori affermati agli addetti stampa e talent scout delle piccole, medie e grandi case editrici. E puntualmente segnalo “il mio cavallo”, ogni volta con la speranza che possa non dico vincere la corsa, ma gareggiare, godere di quella opportunità in più. E puntualmente mi viene cassata la proposta. Sulle prime ci rimanevo un po’ male poi invece con il tempo, dopo aver capito l’andazzo e il sollazzo della telefonatissima cartografia fabbrica di talenti letterari in Italia, ogni volta che veniva “bocciato” il mio esordiente me ne rallegravo. Perché in quel rifiuto coglievo l’esattezza della mia intuizione, ovvero, che se l’autore che proponevo, in questo caso Giuseppe Schillaci, a “quelli” non piaceva era perché i miei autori facevano letteratura e a “quelli” la letteratura interessava poco.
Herling sosteneva che l’idea che abbiamo oggi del Male fosse fortemente condizionata da Dostoevskij che ne descrisse in modo superbo la grandezza. Per questo motivo siamo portati a non riconoscerlo nella mediocrità di molti assassini. Io sono un lettore vorace e mi piace anche molto camminare. Ed era da tanto che non leggevo un libro che mi portasse a passeggio per le opere, per le ossessioni libresche, per gli incontri e per le città di un altro. Vado a vedere se di là è meglio di Francesco M. Cataluccio (Sellerio, 2010) è una autobiografia letteraria scanzonata e adolescente che conserva, nonostante citazioni accurate, apparato note e indice dei nomi, la dimensione di un racconto orale narrato da un viaggiatore entusiasta e per il quale i libri sono stati la vera carta geografica dell’esistenza, fisica, emotiva e lavorativa. (…) il ceco invece suonava alle mie orecchie poco chiaro e con una accentazione come di chi ha ingoiato una patata bollente e cerca disperato di dare aria alla lingua.
Ricordo che l’abbonamento per i tre numeri della collana costa 20 euro. Chi sottoscrive riceverà subito Stephen Rodefer, Torga e Schulze.
Si può pagare tramite PayPal, carta di credito o carta prepagata.
Chi volesse pagare con bonifico bancario può inviare un bonifico di €20 direttamente a:
Associazione Culturale Mauta
IBAN: IT59R0103001632000010129548
Causale: Murene + Nome Cognome + indirizzo.email@dominio.it (Murene + il tuo nome e il tuo indirizzo email)
(dall’Europa basta l’IBAN, da altri paesi potrebbe servire lo SWIFT che è: PASCIMT1106 ed il CIN che è: R)
ed inviare poi la la ricevuta (o il CRO) insieme ai dati per la spedizione (indirizzo completo di CAP) ad abbonamenti@mauta.org
L’ordine verrà spedito appena sarà stato verificato.
Se incontrate difficoltà, se sorgono dubbi, proveremo a risolverli insieme.
1) Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?
Non capisco davvero come si possa onestamente affermare una cosa del genere. O questi signori leggono solo classici, e al massimo si fermano agli anni 60, o forse hanno perduto – o non hanno mai avuto – la capacità di leggere criticamente un testo letterario svincolandolo serenamente da un periodo storico. Svincolandolo, voglio dire, in maniera parziale ma allo stesso modo sana. Può anche darsi che la mole di romanzi e poesie presenti sul mercato, o sulle bancarelle del non-mercato (penso alla poesia) possa dare l’impressione orrorifica che sia inutile tentare l’assalto allo Yukon, alla ricerca delle pepite d’oro. Per cui, questa è la mia impressione, buona parte della critica assume lo stesso malcostume del pubblico, che non è mai innocente: va a fidarsi di ciò che già conosce e gli è piaciuto, alleva i suoi vitelli d’oro, o suoi polli ruspanti, bada a farli crescere; e poco o nulla si avvede degli altri, senza curiosità, senza slanci.
L’ho sentita morire
Soffocava
E non potevo intervenire…
Morta la moglie, soffocata
Da nastro adesivo e cellophane,
Rimane lui più anziano non vedente
A illuminarmi dal telegiornale
Sulle ragioni per cui in una pentola
Capovolta
Teneva i ventimila euro dei risparmi
Di una vita in missione.
[…] 1 Per quanto dolce possa risultare la sua musica alle nostre orecchie, l’ideologia della compassione è per se stessa, una delle influenze principali che sovvertono la vita civica, dal momento che questa si basa meno sulla compassione che non sul reciproco rispetto. Pour douce que soit sa musique à nos oreilles, l’idéologie de la compassion est en elle-même l’une des influences principales qui subvertissent la vie civique, car celle-ci dépend moins de la compassion que du respect mutuel.
Una compassione mal posta degrada tanto le vittime, ridotte ad essere solo oggetti di pietà, quanto coloro che vorrebbero farsene loro benefattori e che trovano più facile avere pietà dei loro concittadini che non applicare loro delle norme impersonali che darebbero il diritto al rispetto a coloro cui sono rivolte. Une compassion mal placée dégrade aussi bien les victimes, réduites à n’être que des objets de pitié, que ceux qui voudraient se faire leurs bienfaiteurs et qui trouvent plus facile d’avoir pitié de leurs concitoyens que de leur appliquer des normes impersonnelles qui donneraient droit au respect à ceux qui les atteignent.