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Portami a ballare

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di Mirfet Piccolo

Anche la cataratta dovevi farti venire, sbuffa Irene. La madre, seduta sulla sponda del letto, con le gambe nude e secche che dondolano, su e giù, avanti e indietro, non ne vuole sapere di alzare le braccia. Dalla vita in su, il suo corpo è pesante, immobile nel vuoto. Irene si ferma, spazientita; la camicia da notte è una palla tra le sue mani magre, affaticate. Affonda le dita nella palla di stoffa, la guarda negli occhi: e se tu fossi morta, mamma. Sbrigati, la strattona, lo sai che non potevo lasciarti addosso il vestito bello. Irene le alza un braccio, e infila. Dai, forza. Poi le alza l’altro, e Irene infila ancora. Il pannolone lo ha già cambiato stamattina, prima di andare in ospedale per la visita. Adesso è ora di pranzo e il bar sarà pieno. Ci mancava solo la partita, pensa. Irene vuole andare a fare il suo dovere in fretta, preparare i caffé che deve e riempire i bicchieri senza fare domande. Perché l’unica cosa che desidera, che desidera veramente, è che arrivi sera. Per andare a cena con Salvatore. Speriamo si sia ricordato di prenotare il ristorante, pensa Irene, speriamo che non vada a finire come con il teatro al loro secondo appuntamento.

Ho perduto la memoria

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di Marco Mantello

Ho perduto la memoria

sopra un libro di storia

negli archivi di Stato,

tra le glosse, i manoscritti

e gli altri resti del passato.

da “Prati”

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di Andrea Inglese

Prato n° 147 (magnetofono e proiezione super otto)

Cerchiamo di farla noi, in tutta tranquillità, così ravvicinati, confidenti, un’infanzia, senza drammatizzare. In qualsiasi momento, è di grande utilità, rimbocchiamoci le maniche, un’infanzia nuova, con rigore. È ovvio che ci va di mezzo un bambino, soluzioni alternative non ne esistono, ci andrà di mezzo, anzi mettiamocelo subito, meglio un maschio allora, che le bambine sono più difficili, se si sdraiano sull’erba, e sollevano i loro vestiti leggeri, a fiori. Come quelle fotografate da Lewis Caroll, dai vestiti logori e le facce adulte, per via delle gonnelline quasi rovesciate, di quella pelle troppo dolce, ma le labbra gonfie, come disegnate sopra, del tutto false, da donna matura, nessuno sa come gestire le labbra adulte, sulle gambe dolci, con il gonnellino tirato su, che poi uno le fotografa, come Lewis Carroll, queste bambine, e non sa più perché va a fotografare tutta questa infanzia, proprio tra le bambine, sui loro corpi, appena si sdraiano, e sceglie le facce più adulte, le labbra mature.

La responsabilità dell’autore: Erri De Luca

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[Nell’ambito del dibattito sulla responsabilità dell’autore, dopo gli interventi di Helena Janeczek e Andrea Inglese, rispondendo a una nostra richiesta De Luca ci ha gentilmente mandato il pezzo che segue]

IL CALZOLAIO

di Erri De Luca

Un calzolaio è tenuto a fare bene le scarpe, questo è il suo compito istituzionale. Se poi vuole darsi un supplemento di responsabilità civile, allora deve stargli a cuore la buona causa di dare libertà di scarpa e di cammino a tutti, di più a chi ne è privo.
Lo stesso uno scrittore: è tenuto a scrivere bene le sue storie e se ha fatto questo in buona coscienza, ha meritato il rango e lo stipendio. Ma se ci tiene a darsi un impegno in più, allora gli spetta di promuovere la libertà di parola per chiunque, compresi i suoi avversari. Libertà di parola detta, scritta, letta, cantata: per tutti non solo per qualche collega ristretto da un regime.
In anni passati ho letto di qualche scrittore nostrano che esigeva il silenzio, l’ammutolimento civile per qualcuno a lui sgradito. Questo è rinnegamento puro dell’unico impegno e impiego utile di uno scrittore: garante del diritto di espressione di chiunque.

Al di fuori di questo ambito a me è capitato nella vita di servire qualche buona causa. Ho fatto parte dell’ultima generazione rivoluzionaria di Europa, ho fatto l’autista di convogli di aiuti nella guerra di Bosnia, sono stato a Belgrado nella primavera del ’99 a stare dalla parte del bersaglio degli attacchi aerei della Nato. Queste e altre simili sono state mie mosse di cittadinanza. La scrittura non c’entra e se c’entra, segue come in una cordata su un ghiacciaio. A battere pista davanti ci pensa la vita.
Diffido di scrittori in politica.

Io non sogno mai

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Sapienza Università di Roma – Dipartimento di Italianistica e Spettacolo
IO NON SOGNO MAI
Scrittura e sguardo in Giorgio Messori
Giornate di studio
23-24 febbraio 2010
Facoltà di Lettere e Filosofia – Aula III (piano terra)

Radio Kapital : Alain Badiou

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Elogio dell’amore
di
Alain Badiou (intervistato da Nicolas Tuong)
traduzione di Roberto Bugliani

N.T. -: Perché non progettare una “politica dell’amore”, allo stesso modo in cui Jacques Derrida aveva abbozzato una “politica dell’amicizia”?

A.B. – Non penso che amore e politica si possano confondere. A mio parere, “politica dell’amore” è un’espressione priva di senso. Ritengo che quando si dice “Amatevi gli uni con gli altri” si faccia una morale, ma non una politica. Perché in primo luogo in politica vi sono persone che non si amano. E’ incontrovertibile. Non possono chiederci di amarle.

N.T. – Contrariamente al protocollo dell’amore, la politica sarebbe innanzitutto scontro tra nemici?

A.B.- Veda, in amore la differenza assoluta esistente tra due individui, che è anche una delle più grandi differenze rappresentabili perché è una differenza infinita, un incontro, una dichiarazione e una fedeltà possono dunque cambiarla in un’esistenza creatrice. In politica non si produce niente di tutto ciò per quel che concerne le contraddizioni fondamentali, il che permette l’effettiva esistenza di nemici designati. Una questione molto importante del pensiero politico, oggi difficilissima da affrontare – in parte a causa del particolare contesto democratico in cui ci troviamo – è quella dei nemici. Si tratta della domanda: ci sono dei nemici? Ma dei nemici per davvero. Colui che lei, triste e rassegnato, vede assumere con regolarità il potere, solo perché molte persone hanno votato per lui, non è un vero nemico.

Darsi all’ippica

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di Gianni Biondillo

La verità è che io non ci sono mai entrato. Mi ricordo quando, da bambino, mio padre mi portava allo stadio e si passava davanti all’ippodromo ed era tutto un racconto di cavalli, scommesse, gran dame, nobiltà. Una specie di mondo incantato, una favola, una realtà parallea a quella che frequentavo io, piccolo sottoproletario milanese. Come poteva mio padre conoscere quel mondo magico e misterioso, sapere di galoppo, trotto e alta società?

Nel segno della parola: Viton, Cepollaro, Bertasa a Monza

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[Giovedì 18, al Teatro Binario 7, un’occasione importante per ascoltare la poesia di Biagio Cepollaro, Mario Bertasa e Jean-Jacques Viton, uno dei maggiori poeti francesi. Di Viton, su NI, leggere qui.]

Giovedì 18 febbraio h. 21.00
MONZA Teatro Binario 7 (via Turati 8, di fianco alla stazione FS)
un’iniziativa di Poesiapresente

NEL SEGNO DELLA PAROLA

Jean-Jacques Viton (FRA), intervista e reading
Biagio Cepollaro (MI), reading con videoproiezioni
Mario Bertasa (MB), reading con videoproiezione

Viton (1933), uno dei poeti francesi contemporanei più significativi, leggerà il suo “commento definitivo” (traduzioni di Andrea Inglese). Inoltre, grazie all’intervista condotta dal poeta Andrea Raos, sarà possibile approfondire la poetica dell’autore, la cui ricerca presenta caratteristiche difficilmente rintracciabili negli autori Italiani.

Prosa in prosa all’ESC (Roma)

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Roma, martedì 16 febbraio 2010, alle ore 20:30

presso ESC Atelier Autogestito

via dei Volsci 159  [San Lorenzo]

nell’ambito del progetto EscArgot _ scrivere con lentezza

presentazione di

PROSA IN PROSA

(Le Lettere, 2009 – collana fuoriformato)

saranno presenti gli autori:

Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale,

Andrea Inglese, Andrea Raos, Michele Zaffarano

coordinamento e interventi critici di Andrea Cortellessa

Editoria indipendente – 2

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Foto (ingrandibile) di Andrea Raos.

Radio Kapital: Bernard de Mandeville

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La favola delle api
(Vizi privati pubbliche virtù)
di
Bernard de Mandeville
Un numeroso sciame di api abitava un alveare spazioso. Là, in una felice abbondanza, esse vivevano tranquille. Questi insetti, celebri per le loro leggi, non lo erano meno per il successo delle loro armi e per il modo in cui si moltiplicavano. La loro dimora era un perfetto seminario di scienza e d’industria. Mai api vissero sotto un governo piú saggio; tuttavia mai ve ne furono di piú incostanti e di meno soddisfatte. Esse non erano né schiave infelici di una dura tirannia, né erano esposte ai crudeli disordini della feroce democrazia. Esse erano condotte da re che non potevano errare, perché il loro potere era saggiamente vincolato dalle leggi.
Questi insetti, imitando ciò che si fa in città, nell’esercito e nel foro, vivevano perfettamente come gli uomini ed eseguivano, per quanto in piccolo, tutte le loro azioni. Le opere meravigliose compiute dall’abilità incomparabile delle loro piccole membra sfuggivano alla debole vista degli uomini; tuttavia non vi sono presso di noi né macchine, né operai, né mestieri, né navi, né cittadelle, né armate, né artigiani, né astuzie, né scienza, né negozi, né strumenti, insomma non v’è nulla di ciò che si vede presso gli uomini di cui questi operosi animali pure non si servissero. E siccome il loro linguaggio ci è sconosciuto, non possiamo parlare di ciò che le riguarda se non impiegando le nostre impressioni. Si ritiene generalmente che tra le cose degne d’esser notate, questi animali non conoscevano affatto l’uso né dei bossoli né dei dadi; ma, poiché avevano dei re, e conseguentemente delle guardie, si può naturalmente presumere che conoscessero qualche specie di giochi. Si vedono mai, infatti, degli ufficiali e dei soldati che si astengono da questo divertimento?

“Magnificat. Poesie 1969-2009.” di Cristina Annino.

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[ Cristina Annino Dopo c’è l’acqua acrilico su tela, cm 60×80, 2004 ]
www.anninocristina.it

di Nadia Agustoni

Un poeta è una voce. A volte, nella grande poesia, la voce è distanza e vicinanza insieme. Ci sono autori appartati che ci vengono incontro per un sorta di fortuna e aiutano chi non smette mai di cercare, interrogare le parole, perché proprio nella concretezza della parola un poeta dice qualcosa di sé e del mondo. Allora in tali autori più che in altri, noi stessi siamo messi nella condizione di comprendere ciò che realmente ci danno: la nostra libertà. Ed è moltissimo. In anni avari con i poeti Cristina Annino ha scritto versi che nella loro limpidezza hanno il segno faticoso dell’essere qui, in questa terra e in un tempo pervaso dall’insignificanza. In tale condanna all’insignificanza, per noi generazione di poeti giunta dopo gli anni ottanta, Annino ci arriva come un miracolo. Giacché il nostro è un pellegrinaggio interminabile alla ricerca di un significato che troppo spesso ci porta a parole che scavano il dolore senza salvare.

La collana inNumeri a Napoli

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giovedì 18 Febbraio ore 18.00

Feltrinelli di Ponte di Tappia all’angolo con via Toledo – Napoli

La poesia è numero, battere sul ritmo. Ma ogni poesia ha i suoi numeri, i suoi battiti.

Gli autori della collana inNumeri (Perrone editore) presentano i loro lavori.

Parteciperanno: Vito M. Bonito, Jolanda Insana, Matteo Lefèvre, Letizia Leone, Giulio Marzaioli.

Discute con loro Giancarlo Alfano, direttore della collana.

Info: www.giulioperroneditore.it
redazione@giulioperroneditore.it

carta st[r]amp[al]ata n.4

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di Fabrizio Tonello

Su bambini, da bravi, fate la reverenza

I giornali italiani hanno dei problemi con i felini. Due settimane fa su “Nazione Indiana” ho segnalato il caso dei ghepardi rimpinzati di frittelle di carnevale, oggi vorrei attirare l’attenzione degli amici degli animali sull’incipit di questo articolo di Maurizio Molinari da New York (La Stampa del 10 febbraio): Dopo falchi, tartarughe e orsetti lavatori Central Park vanta anche tre coyotes. I primi ad avvistarli sono stati alcuni studenti della Columbia University. I felini si aggiravano vicino a un edificio all’incrocio fra Broadway e la 119° Strada…. Felini? I coyotes, felini?

Lo scrittore solo (il Fatto Quotidiano – sabato 13 febbraio 2010)

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da il Fatto Quotidiano – sabato 13 febbraio 2010

LIBERTA’

Saviano può pubblicare per Mondadori? E si può

collaborare con giornali non allineati? La polemica

infuria sul web.

A novembre, Vincenzo Ostuni, direttore editoriale di Ponte alle Grazie fonda un gruppo su Facebook in cui lancia un Appello a Roberto Saviano perché smetta di pubblicare per Mondadori. nella speranza che il suo esempio venga seguito da altri scrittori. Helena Janeczek (scrittrice ed editor di Gomorra) il 20 gennaio scrive un articolo sul blog «Nazione Indiana» dal titolo «Pubblicare per Berlusconi?» in cui difende le ragioni di chi lavora e pubblica con il gruppo Mondadori, facendo una distinzione tra lavorare per un gruppo editoriale e collaborare con un organo di stampa che abbia una precisa linea editoriale, come il quotidiano «Libero», inserendosi così nella polemica tra il critico letterario Andrea Cortellessa e lo scrittore Paolo Nori riguardo alla scelta di Nori di collaborare con «Libero». Polemica che ha suscitato commenti molto duri su diverse testate («Libero», «il Giornale», «il Corriere della Sera»). Lo scrittore Vincenzo Consolo ha deciso di non partecipare a un’iniziativa einaudiana in favore di Roberto Saviano per via di un’intervista rilasciata dallo stesso Saviano a «Panorama», in cui dice di essersi formato su Jünger, Pound, Celine.


Evelina Santangelo

In una conferenza tenuta nel 1976 all’Amherst College Calvino, cercando di definire gli usi politici giusti e sbagliati della letteratura, avviava quel suo discorso dicendo che «la funzione pubblica più richiesta in Italia» in quegli anni sembrava essere «la provocazione», consacrata «dalla vita, dalla morte e dalla vita postuma di Pasolini». E non aveva alcuna remora nel sostenere di non essere d’accordo con quell’idea invalsa nel «vasto pubblico nazionale» di concepire lo scrittore come un «provocatore».

NO VAT – ROMA 13/02/10

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di Facciamo Breccia – Circolo Mieli

Manifestazione Nazionale NO VAT – Partenza alle 14.30 presso la Bocca della Verità – Arrivo a Piazza Navona.

Il 13 Febbraio 2010 per il quinto anno scendiamo in piazza contro il Vaticano per denunciarne l’invadenza nella politica italiana: è infatti uno degli attori che agiscono nelle complesse dinamiche di potere sottese a un sistema autoritario e repressivo.

L’11 febbraio 1929 i Patti Lateranensi sancirono la saldatura tra Vaticano e regime fascista; oggi le destre agitano il crocefisso per legittimare un ordine morale in linea con l’integralismo delle gerarchie vaticane: strumentalizzano quel simbolo per costruire un’identità nazionale razzista e una declinazione della cittadinanza eterosessista e familista.

Da una parte le destre criminalizzano immigrate ed immigrati, li/le rappresentano come la concorrenza nell’accesso alle risorse pubbliche, mentre nessuno affronta il problema di un welfare smantellato e comunque disegnato su un modello sociale che non esiste più. D’altra parte la chiesa cattolica legittima esclusivamente un modello di società basato sulla famiglia tradizionale, sulla divisione dei ruoli sessuali, dove un genere è subordinato all’altro, e lesbiche, gay e trans non hanno alcun diritto di cittadinanza.

Riaffermiamo le diversità e le differenze sociali, sessuali, culturali, contro l’identità nazionale clericale, razzista e eterosessista.

Prospettive depravate. Gli archivi di Carlos Casas

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di Rinaldo Censi

Straordinari, mi dice Carlos Casas. Parliamo dei film di James Benning che entrambi adoriamo. Dovresti vedere quelli di Peter Hutton, gli suggerisco io. Si annota il nome. Sono sicuro che Carlos impazzirebbe per At Sea o per  Skagafjordur, girato in Islanda. Peter Hutton è un vecchio marinaio girovago che ha studiato il paesaggio americano tenendo sottobraccio i testi di Thomas Cole, ha filmato il fiume Hudson, l’oriente indiano, l’est europeo. Carlos Casas un po’ gli somiglia. Ha realizzato documentari filmando gli estremi della terra: la Terra del Fuoco (Solitude at the End of the World, 2002-2005), i cacciatori di balene sulla costa di Bering, e la Siberia (Hunters since the Beginning of Time, 2008), o gli abitanti della zona di Aral, i pescatori uzbeki in Fishing in an Invisible Sea (2004). È un filmmaker globetrotter, Carlos Casas.

Il cinema era la mia casa

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Di seguito il secondo testo della manifestazione Sguardi a perdita d’occhio.I poeti leggono il cinema, già pubblicato sul numero 13 della rivista A+L. Gli altri interventi si possono leggere qui e qui.

di Vivian Lamarque

Oggi il cinema è per me cinema e nient’altro, ma nell’infanzia il cinema è stato la mia casa.
Ci entravo che era chiaro e ne uscivo che era buio. La gente stava a casa e ogni tanto andava al cinema, io stavo al cinema e ogni tanto andavo a casa (bè fate un po’ di tara, con i poeti conviene sempre).

UNA LINEA SOTTILE

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di Claudio Piersanti


Un pomeriggio d’estate, ormai di tanti anni fa, andai a trovare Romano. Ci andavo spesso in quel periodo, forse avevo anche qualche appuntamento di lavoro a Firenze. Quel che conta è che andai, annunciandomi con una telefonata anche se Romano non usciva mai, verso le quattro come tante altre volte. Non c’era alcun bisogno di un motivo per andarlo a trovare quindi non dissi niente e mi sedetti sulla solita poltrona davanti a lui. Naturalmente dopo averlo baciato sulle guance, di solito piacevolmente ispide di barba e profumate di tabacco. “Scusa se non mi alzo” era la frase con cui mi accoglieva, e allungava la mano verso di me perché mi avvicinassi. Quel giorno Romano mi guardò a lungo un po’ di traverso, e quasi gli veniva da ridere per quello che vedeva. “Non voglio sapere dove sei stato, prima di venire qui, ma stai attento perché non perdonano” mi disse dopo il rapido esame, considerando chiuso lì l’argomento. Io non feci nulla per riaprirlo.

Scaffali nascosti (7) Melampo Editore

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«Scaffali nascosti», senza pretese di completezza, vuole disegnare una mappa dell’editoria indipendente dei nostri tempi. Medio-piccoli, piccoli, piccolissimi editori, spesso periferici, con idee e progetti ben precisi, che timidamente emergono, o forse emergeranno, o si spera che emergano, fra gli scaffali delle librerie. A cura di Andrea Gentile (andreagentilenazione_at_libero.it).

di Andrea Gentile

A due passi dal Padiglione d’arte contemporanea, a quattro passi da Piazza San Babila, sorge nel 2004 in via dei Cappuccini, a Milano, la Melampo. Si presenta in libreria con La fantastica storia di Silvio Berlusconi di Nando Dalla Chiesa, uno dei fondatori, tra l’altro, della casa editrice.  La copertina è bianca e al centro compare un Berlusconi «astratto» su un cavallo a dondolo rosa. Il nome dell’autore è in alto, in una bandella orizzontale che attraversa tutto il libro. Le tre parole che compongono il titolo e la veste grafica comunicano già molto. Si tratta di una storia, ma è una storia fantastica, quasi una favola grottesca; ma è la favola grottesca di un uomo che almeno da quel lontano 26 gennaio 1994, il giorno della discesa in campo, condiziona il nostro paese.

Radio Kapital- Slavoj Žižek

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Dopo la tragedia, la farsa!
Ovvero come la storia si ripete
di
Slavoj Žižek
Introduzione. Lezioni del primo decennio.
traduzione dal francese di Roberto Bugliani

Il titolo di questo libro dovrebbe costituire un test del quoziente intellettuale elementare: se la prima associazione che provoca nel lettore è il volgare cliché anticomunista: “Ha ragione – oggi dopo la tragedia del totalitarismo del XX secolo, tutta questa faccenda di un ritorno al comunismo non può essere che una farsa!”, ebbene, gli consiglio vivamente di fermarsi qui. Non solo, ma il libro gli dovrebbe venire confiscato, perché vi si tratta di una tragedia e di una farsa assolutamente diverse, ossia dei due avvenimenti che aprono e chiudono il primo decennio del XXI secolo: gli attacchi dell’11 settembre 2001 e la débacle finanziaria del 2008.
[…]
L’analisi proposta in questo libro non ha nulla di neutro; al contrario, è impegnata e “parziale” al massimo – perché la verità è di parte; essa è accessibile-vi si può accedere soltanto se si prende partito, e non per questo è meno universale. Il partito preso qui è naturalmente quello del comunismo. Adorno fa iniziare i suoi Tre studi su Hegel con un rifiuto della domanda tradizionale su ciò che egli esemplifica col titolo del libro di Benedetto Croce: Che cosa è vivo e che cosa è morto nella filosofia di Hegel? Una simile domanda suppone da parte del suo autore l’assunzione di una posizione arrogante di giudice del passato, ma quando abbiamo a che fare con un filosofo veramente grande, la vera domanda da formulare non riguarda quello che questo filosofo può ancora dirci, quello che ancora può significare per noi, ma piuttosto il contrario: a che punto siamo ai suoi occhi? Che cosa penserebbe della nostra situazione contemporanea, della nostra epoca? Allo stesso modo si dovrebbe procedere per il comunismo; anziché porre la solita domanda: “L’idea di comunismo oggi è ancora pertinente, si può ancora utilizzare come strumento di analisi e modello di pratica politica?”, bisognerebbe rovesciare la prospettiva: “Come si presenta il nostro marasma attuale nella prospettiva dell’Idea comunista?”