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La ventesima email

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di Piero Sorrentino

ANABOLIZZANTI ALLA FIDANZATA MORTA: 6 ANNI DI CARCERE A CULTURISTA
21/01/2010 – Sei anni di reclusione per aver dato alla fidanzata anabolizzanti che ne provocarono la morte. E’ la condanna inflitta oggi a Roma al culturista Federico Focherini, accusato di aver provocato la morte (avvenuta l’ 8 marzo 2004), della fidanzata, campionessa di body building. I reati contestati: esercizio abusivo della professione medica, somministrazione di sostanze pericolose per la salute pubblica e morte conseguente ad altro delitto. Focherini ha sempre negato di aver procurato alla vittima anabolizzanti.

Ci siamo spediti email dal 31 agosto 2006 al 21 maggio 2007. Nella prima, gli chiedevo un numero di telefono per chiamarlo. Stavo lavorando a quella che sarebbe diventata Il corpo che siamo, una delle inchieste raccolte da Christian Raimo nell’antologia Il corpo e il sangue d’Italia. Un lavoro sul doping nelle palestre italiane. Federico Focherini mi aveva risposto pochi minuti dopo con una impressionante rapidità

Ciao Piero,

io ora sto lavorando vicino a Roma. Quindi ti do il numero di tel. della palestra in cui lavoro. 06-972*****. chiedi di me dalle 13.30 alle 22.00

grazie

federico

Il mio motorino si chiamava Geronimo. Una lunga premessa personale e un nuovo libro sugli Indiani d’America

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di Francesca Matteoni

Era un verde scuro, pieno di adesivi di capi indiani e di semi-sconosciuti gruppi ska. Con i freni scassati e la catena rotta – ecco perché poi me lo rubarono. Era il motorino dei diciannove anni – prima e dopo sempre avuto solo biciclette – un improbabile pulmino su due ruote, dove riuscivamo a viaggiare perfino in tre + cane. E poiché era l’unica cosa motorizzata che abbia mai avuto, e che abbia saputo grossomodo guidare, dovevo dargli gli un nome importante – dritto, dritto da una delle mie grandi passioni: gli Indiani d’America.

Terezia Mora, Tutti i giorni

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di Stefano Zangrando

In un intervento apparso di recente sul blog Nazione indiana, Dubravka Ugrešić, scrittrice croata di stanza ad Amsterdam, si esprime in modo pressoché definitivo sul vizio molto euro-occidentale di affibbiare etichette in difesa delle «minoranze»: «la ricezione delle opere letterarie ha mostrato che il fardello dell’identità finisce per impantanare l’opera. Perché è stato dimostrato chiaramente che le etichette alterano la sostanza di un’opera e il suo significato. Perché l’etichetta è, in effetti, un’interpretazione testuale semplificatrice, quasi sempre fuorviante. Perché un’etichetta fa sì che si legga in un’opera qualcosa che non c’è. E infine perché l’etichetta discrimina l’opera».

Train de Vie

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di
Azra Nuhefendic

La linea ferroviaria tra Belgrado e Sarajevo venne interrotta all’inizio della guerra in Bosnia. Dopo diciotto anni è partito di nuovo il treno che collegava le due città. La locomotiva ha trainato tre vagoni con solo quindici passeggeri. La breve composizione del convoglio rispecchia la situazione politica attuale, cioè la divisione in atto in quel Paese: un vagone delle ferrovie della Republika Srpska, uno di quelle della Federazione della Bosnia Herzegovina e il terzo appartenete alle ferrovie della Serbia.
Mi ritenevo una persona adulta, una donna emancipata. Eppure, come l’ultima deficiente, portavo i miei vestiti sporchi una volta al mese a Sarajevo, perché la mia mammina me li lavasse. Da maggio all’inizio d’ottobre viaggiavo con l’aereo, poi con il treno perché la nebbia o la neve in Bosnia rendevano incerto il viaggio aereo.
All’epoca, tra Sarajevo e Belgrado circolavano tre treni al giorno più uno notturno. Mi sono imbarcata, come al solito, su quello notturno che partiva da Belgrado intorno a mezzanotte. Quella volta, a parte il solito bagaglio sporco, portavo una grande valigia piena dei libri in russo che mia sorella mandava da Mosca a Sarajevo per metterli al sicuro.

Invito a cena

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di Mauro Baldrati

Io e Luigi camminiamo sempre veloci, passo di marcia, ma oggi dobbiamo avanzare come lumaconi, andatura frenata da passeggio, perché abbiamo al traino lo zio.
Ci caracolla dietro lo zio, fa del suo meglio, muove le braccia senza coordinazione, ciondola la testa.
Luigi ogni tanto si gira e lo guarda preoccupato.
“Tutto bene?” chiede.
Lo zio borbotta. Non si capisce se risponda a Luigi o parli da solo. E’ così lo zio, vive in un mondo suo.
“Sarà meglio che rallentiamo” fa Luigi, “se no arriviamo al ristorante che lo zio sembra uno fuso.”
“Ma lo zio non sembra, lo zio è fuso” faccio io.
“E va be’, ci capiamo, no?”

LENIN ON-LINE

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di Antonio Sparzani

Nel 1924, a quest’ora e in questo giorno 21 gennaio, moriva Vladimir Ilyich Ulyanov, in arte Lenin, dopo una lunga malattia, il primo attacco della quale si manifestò nel maggio 1922, anche come conseguenza della pallottola che gli era rimasta nel collo dopo l’attentato del 1918.
Io qui non tento neppure di parlarne (ho linkato la voce di wikipedia che mi pare piuttosto informativa, come pure la sua versione francese), limitandomi ad affermare che, per quel che pare a me, la sua prematura morte fu una vera sciagura per le future sorti del comunismo.
Invito se mai, a rileggere qui, dato che in tempi calamitosi come i nostri rinfrescarsi qualche memoria fa bene alla salute, il documento noto come testamento di Lenin, su cui riporto qualche notizia e di cui trascrivo due brevissimi stralci.

Venezia e la paesologia

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una prosa di Franco Arminio

L’altro ieri camminavo per Venezia. La città era un fuoco morto, a parte la scintilla ferma del commercio. Dalla stazione a San Marco, in tanti fanno questa via aspettando che la spenta meraviglia si ravvivi. Intanto è tutto un negozietto da cui entrare e uscire fino a quando la piazza ti accoglie come una camera ardente dove i piccioni beccano la carne del turista nel suo inutile vagare in questo tempo maciullato.
Io mi chiedevo mentre camminavo se è ancora qui che si deve venire oppure c’è da andare altrove. Penso a Mastralessio, alla prua della desolazione conficcata tra le zolle della Daunia, penso al luogo indenne dalla peste degli sguardi fatui, luogo edificato da chi vive altrove e ha lasciato a sentinelle i vecchi, gli zoppi, i cani. Non so spiegare come sia lì la mia Venezia, come ogni città sia sprofondata, sciolta nel niente del suo voler sembrare attiva, divertente.
I luoghi di cui scrivo non hanno ragioni né torti, sono come una refurtiva abbandonata, un referto sintetico della vasta malattia allegata alla terra tonda. Allora io non giro per svagarmi e forse neppure per vedere. Quello che faccio è leggere la carne non morsa dai cannibali, la terra scampata alla tabula rasa del progresso che rende in apparenza Mastralessio scorza o guscio vuoto.

CARTADITALIA, i primi due numeri

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Dal 2009 l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma pubblica il semestrale bilingue Cartaditalia, dedicato alla cultura italiana contemporanea. Durante l’anno appena trascorso sono usciti i primi due numeri, incentrati rispettivamente sul romanzo e sulla poesia. I pdf con copertina, indice, editoriale e un breve estratto dei contenuti, sono scaricabili in fondo a questo post. I prossimi due numeri, previsti per la primavera e l’autunno 2010, riguarderanno il cinema e il teatro.

Yes, I Ken – prima parte

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Risulta ora estremamente chiaro ciò che si era venuto preparando già nel corso del secolo diciannovesimo; l’epoca si esprime assai più sensibilmente nella tecnica meccanica e nelle manifestazioni sportive che nell’architettura delle città e nelle opere d’arte.

Hermann Broch, Poesia e Conoscenza, Lerici editore, Milano 1965, trad. di Saverio Vertone.

C’è una breve sequenza sul sito dell’INA in cui si può vedere e ascoltare Albert Camus che commenta dal vivo una partita del Racing contro Monaco al Parc des Princes. C’è un passaggio che merita una particolare attenzione ed è quando alle critiche che il commentatore rivolge al portiere della squadra parigina, colpevole del primo gol della rimonta del Monaco, il filosofo, da poco insignito del Nobel, risponde che è solo quando si è tra i pali che ci si rende conto di quanto sia difficile!

Piovra Replay. Si intomba a cento passi da Palazzo Marino

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di Giuseppe Catozzella

La piovra sta avvinghiata sulla testa ben acconciata del Paese. Quella fashion, quella cool, quella impegnata, quella con il giornale sottobraccio e la valigetta, quella del cuore di Milano.
Tre cuori possiede il polpo, uno per ognuna delle tre casacche criminali: quella di cosa nostra, quella camorrista e quella sempre più forte qui in Lombardia delle ’ndrine calabresi. Tre cuori e una capacità di mimesi che le fa prediligere le camicie a collo dritto, ben stirato, bianco, le cravatte a nodo ampio. Per fare alcuni nomi di chi si spartisce la torta lombarda: gli Emanuello e i Rinzivillo di Gela, i Santapaola e i Madonia di Catania. Alcuni camorristi dalla periferia nord di Napoli, attivi soprattutto nel traffico di droga e nello spaccio. La ’ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, quella dei Valente e dei Piromalli.

Le ore d’aria

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di Alessandro Busi e Piero Bocchiaro

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L’azione crudele viene comunemente ricondotta a una personalità cattiva, una scorciatoia mentale, questa, che in alcuni casi si rivela del tutto infondata. Esistono infatti contesti estremi in cui persone comuni possono agire in maniera malvagia perché prese da un vortice di forze esterne al quale non riescono a ribellarsi. Il carcere è uno di questi contesti, un microcosmo rigido, basato su rapporti di potere impari e indiscutibili, in grado di ridefinire l’identità di chi vi agisce fino a farla aderire a quella del gruppo di appartenenza.

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Michele era alla sua prima ora d’aria. Sembrava triste, anche più dei detenuti che aveva accompagnato ai passeggi. E in effetti lo era, un po’ per la lontananza da Catanzaro e da Rita, un po’ per gli amici e per il volontariato alla Croce Rossa. Rinunce dure per un lavoro nuovo.

Scaffali nascosti (6) – Zandonai Editore

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«Scaffali nascosti», senza pretese di completezza, vuole disegnare una mappa dell’editoria indipendente dei nostri tempi. Medio-piccoli, piccoli, piccolissimi editori, spesso periferici, con idee e progetti ben precisi, che timidamente emergono, o forse emergeranno, o si spera che emergano, fra gli scaffali delle librerie. A cura di Andrea Gentile (andreagentilenazione_at_libero.it).

di Andrea Gentile

A Rovereto, 37000 abitanti nella Vallagarina, Emanuela Zandonai fonda nel 2007 la casa editrice Zandonai e di ritorno dalle vacanze agostane, dopo aver visto sulla spiaggia Mille splendidi soli e Scusa ma ti chiamo amore La casta e Gomorra, si presenta timidamente in libreria con due volumetti. Uno – più grande, ad aprire la collana «I fuochi» – s’intitola Umanesimo e romanticismo, ha un autore mai tradotto in Italia, oppure Hermann A. Korff, e una copertina con il primo Propylaion di Michael Franke; l’altro – più piccolo, ad aprire «I piccoli fuochi» – s’intitola Morte di una primadonna slovena, ha un’autrice mai tradotta in Italia (ma pubblicata già per esempio in Francia da Gallimard) e una protagonista che fa la cantante lirica. Così la Zandonai si presenta al lettore italiano e già da questo esordio si evidenziano alcune linee guida della casa editrice, tra cui la volontà di proporre autori mai tradotti nel nostro paese.

Scrittori precari anno 010

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[Ricevo e volentieri pubblico]Il collettivo Scrittori Precari comincia un nuovo ciclo di incontri e reading, dopo il tour italiano del 2009, partendo proprio dalla città che li ospita, Roma. Ospiti dei nuovi incontri: gli scrittori e sceneggiatori Pier Paolo e Massimiliano Di Mino e gli scrittori Peppe Fiore (La futura classe dirigente, Minimum Fax) e Vanni Santoni (Gli interessi in comune, Feltrinelli).

21 Gennaio ore 19.00 Libreria Rinascita, largo Agosta, Ospiti Pier Paolo e Massimiliano Di Mino
28 Gennaio ore 22.00 Ass. Cul. Simposio, via dei Latini 11, Ospiti Peppe Fiore e Vanni Santoni

Pubblicare per Berlusconi?

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di Helena Janeczek

Pubblicare per Mondadori, Einaudi o altre case editrici appartenenti al gruppo di cui Berlusconi detiene la maggioranza delle azioni, è sbagliato se un autore non simpatizza col presidente del consiglio? E’ una decisione equiparabile a quella di collaborare alle pagine culturali di quotidiani come “il Giornale” e “Libero” – quest’ultimo non di proprietà del premier- o si tratta di una scelta differente? Chi lavora dentro o per quelle case editrici è ancora più stigmatizzabile? Sarebbe il caso di boicottare la produzione di queste aziende per far valere economicamente il proprio dissenso?
Ho visto tornare con insistenza queste domande nelle discussioni che si sono svolte su questo blog, ma anche altrove- in rete soprattutto. Le ho viste rimbalzare sia da sinistra che da destra, lì soprattutto negli articoli apparsi sui sopranominati giornali, dove più volte Evelina Santangelo, membro di Nazione Indiana e insieme editor Einaudi, è stata bersagliata come chi sputa nel piatto dal quale mangia. Dato che faccio press’a poco lo stesso lavoro con posizione analoga – quella del collaboratore a progetto – e come Evelina ho pubblicato con l’editore per il quale presto servizio, mi è venuta spontanea la voglia di rispondere. Quel che avrei voluto ribattere di pancia è un concetto elementare: “ce lo dicano loro se non siamo più gradite per ragioni di dissenso, se siamo a questo punto ci sbattano fuori loro”. Cosa che nel mio caso e pure in quello di Evelina sarebbe, tra l’altro, molto semplice.

Autismi 17 – La mia patria fuggitiva

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di Giacomo Sartori

Nella mia vita adulta mi sono quasi sempre ritrovato a vivere all’estero. Prendevo un lavoro, e mi ritrovavo all’estero. Conoscevo una ragazza, e mi risvegliavo in un letto estero. Andavo al mare, e i cartelli segnaletici della spiaggia erano scritti in una lingua straniera. Mi sposavo, e manco a dirlo nessuno parlava l’italiano. Una vera persecuzione. Io per carattere, e anche per segno zodiacale, sarei una persona che se ne sta tranquilla in pantofole nella catalettica cittadina natia. Fin dall’infanzia gli spostamenti mi sono apparsi dispendiosi sia fisicamente che psichicamente, e soprattutto molto inutili. Fondamentalmente li detesto, i viaggi. E non sono nemmeno tanto portato per le lingue. No grazie, c’è qualcosa alla televisione che mi interessa, mi sarei volentieri schermito. E invece per un verso o per l’altro mi ritrovavo al centro di un deserto a perdita d’occhio, nell’aria lercia di una cacofonica metropoli, in una pampa disseminata di enigmatiche mucche. Sempre estero era.

La gente ha delle idee molto sbagliate sull’estero. Si immaginano che sia un posto dove tutto è sempre molto bello,

Volker Braun: L’Africa più interna

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di Massimo Bonifazio

L’Africa più interna, ma anche la più intima: è un’Africa come realtà organica, quasi corpo stesso dell’io, a fare da punto di partenza per questa lirica. Volker Braun l’ha scritta nel 1982, ma non ha perso smalto. Se allora si collocava perfettamente sulla scia del caso Wolf Biermann – il cantautore fedele all’utopia socialista ma critico nei confronti dell’apparato, a cui il regime impedisce di tornare da una tournée in Germania Ovest – oggi colpisce per la sua forza profetica,  per il dettato quasi affannoso e pure chiarissimo, per la capacità di mettere in luce le tensioni in cui è invischiato l’io che vi parla: i sentimenti, assurdamente slegati dalla ‘politica’, le speranze ancora oggi frustrate. L’orizzonte esotico si risolve in un viaggio interiore intorno al concetto di confine, drammaticamente attuale in un mondo ancora costellato di muri e di confini: alcuni concreti, altri interiori, tutti ugualmente complicati da attraversare.

STATO LAICO ?

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di Luigi Tosti, magistrato

Ricordo a tutti coloro che mi hanno sostenuto nella battaglia per la rimozione dei crocifissi dalle aule dei tribunali italiani che ho subito due condanne penali a un anno di reclusione (poi annullate dalla Corte di Cassazione) per essermi rifiutato di tenere le udienze in aule coi crocifisso. E che sto subendo, da quattro anni, la sospensione dallo stipendio e dalle funzioni.
Mi difenderò da solo venerdì 22 gennaio, alle ore 9,30, dinanzi al Consiglio superiore della Magistratura, in piazza Indipendenza 4 a Roma.
L’udienza sarà pubblica, anche se l’aula non è particolarmente capiente. La presenza di televisioni sarebbe oltremodo gradita, non avendo io alcunché da nascondere o di cui vergognarmi: credo, però, che il Vicepresidente Nicola Mancino negherà le autorizzazioni per impedire che questo processo – degno della migliore Santa Inquisizione della Chiesa cattolica – venga ripreso.
In ogni caso, presterò il consenso preventivo a quanti vogliano chiedere di riprendere il processo e divulgarlo. In caso di condanna e di conseguente rimozione dalla magistratura, ricorrerò alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. in caso di assoluzione e di reintegrazione in servizio, seguiterò a rifiutarmi di tenere le udienze sino a che il ministro della Giustizia Alfano non avrà fatto rimuovere i crocifissi dalle aule dei tribunali italiani.

carta st[r]amp[al]ata n.1

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di Fabrizio Tonello

Come non bastassero gli ossessionati dall’area 51 nel Nevada (vedi il film del 1997 Man in Black), quelli che credono che Kennedy sia stato rapito dagli alieni e i teorici del ruolo della base di Gakona, in Alaska, nello scatenare tusnami in Asia e terremoti ad Haiti, ora ci si mette anche il Daily Mirror. Poiché Nazione Indiana ha a cuore ciò che accade nelle grandi praterie, vorrei umilmente appellarmi ai direttori di Repubblica, Corriere, Sole-24 ore e altri Grandi Ciambellani del Giornalismo Moderno perché la smettano di sparare castronerie sugli Stati Uniti.

Wannsee

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