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RADIOBAHIA: racconti per canzoni [008]

1

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Moondance”
di Van Morrison

8.
Il primo a scendere fu Z. con una smorfia di soddisfazione, non pensava di farcela con quella vecchia carcassa a raggiungere ancora una volta quel posto lontano, evitando ogni tipo di controllo e senza nessuna guida. Erano stati molto fortunati. Il viaggio lungo e pericoloso.

Teoria critica della razza e libertà di espressione: alcuni punti problematici

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(Si conclude qui una serie di interventi sul razzismo curati da S. Morgagni – 1, 2, 3, a. i.)

di Giorgio Pino

1. Un rapporto ambiguo

In questo contributo mi occuperò del trattamento che le teorie critiche della razza (Critical Race Theory, CRT) riservano alla libertà di espressione. Si tratta di un trattamento controverso e ambiguo, perché per un verso la libertà di espressione rappresenta una delle tradizionali libertà civili, vessillo del movimento dei civil rights negli Stati Uniti degli anni Sessanta del Novecento, e come tale rappresenta uno strumento prezioso per gli appartenenti alle minoranze per far sentire la propria voce e far conoscere la propria storia di oppressione e discriminazione. Per altro verso, tuttavia, la libertà di espressione sembra poter giocare a sfavore degli appartenenti a minoranze connotate in senso razziale, in tutte quelle occasioni in cui le parole, le opinioni, sono funzionali a veicolare e rimarcare la distanza, la differenza, tra la presunta maggioranza e la presunta minoranza, o anche sono direttamente veicolo di offesa e stigmatizzazione razziale (1).

A gamba tesa: sotto il grembiule niente!

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mercoledì 02 luglio 2008
In sede di Commissione cultura viene proposta la reintroduzione del grembiule nelle scuole. Per il ministro Mariastella Gelmini è una soluzione da prendere seriamente in considerazione.

di
Francesco Forlani

L’ho cercato dappertutto stamattina. In ogni angolo della casa, della mente, del palazzo, della città che non è la mia, ma poi che importa! Con lo scudetto sul braccio, no, solo coi tre bottoncini argentei, maschi, che hanno visto solo per pochi attimi quelli femmine del distintivo tricolore. Azzurro, celestino, squadra Sant’Agostino, Francesco Keller, blu scuro, Suore Riparatrici, Alfonzo Valentino, nero della De Ámicis, Giampo Brancaccio. Ho perfino chiesto alla vicina se potevo dare un’occhiata da lei, visto che il mio monolocale non offriva una superficie, all’altezza della recherche. E così mi sono imbattuto in qualche Fiesta, un po’ ammaccata, una coccarda – ma la davano soltanto al capoclasse – una tuta operaia – ma era solo per la classe -, e quando sono andato via mi ha regalato un ovetto kinder. E allora l’ho scartocciato, ho strangolato con le mie mani uno della lega antiabortista che s’era nascosto lì dentro e ho provato ad aprire l’ovulo. Sorpresa!

lettera alla madre

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di Ingrid Betancourt

(resa pubblica il 1° dicembre 2007)

È un momento molto difficile per me. Chiedono le prove che sono viva e ti apro l’animo in questo scritto. Fisicamente sto male. Non mangio, non ho fame, mi cadono molti capelli. Non ho voglia di niente. Credo che sia la cosa migliore che possa capitare, non aver voglia di niente, perché qui, in questa giungla, l’unica risposta a qualunque richiesta è “no”. Dunque, è meglio non avere voglia di nulla ed essere almeno libera dai desideri.
Sono ormai tre anni che chiedo un dizionario enciclopedico per poter leggere qualcosa, per imparare qualcosa, per mantenere viva la curiosità intellettuale. Continuo a sperare che, almeno per compassione, me ne procurino uno, ma è meglio non pensarci. Ogni cosa è un miracolo, anche ascoltarti ogni mattina, dato che la radio che ho è vecchia e mal funzionante. Voglio chiederti, mamma cara, di dire ai ragazzi di mandarmi tre messaggi alla settimana. Niente di speciale, se questo è anche il loro desiderio e se avranno voglia di farlo. Non ho bisogno d’altro se non di essere in contatto con loro. È la sola informazione vitale, essenziale, indispensabile, il resto non mi interessa più.

Mariti di donne dagli occhi grandi

1

di Franz Krauspenhaar

Angeles Mastretta è una brava scrittrice messicana di quasi sessant’anni, nata a Puebla, una delle città più importanti del Messico, che a noi italiani ricorderà soprattutto le imprese calcistiche dei due campionati mondiali disputati nella grande nazione centroamericana. La Mastretta ha il curriculum tipico dello scrittore ispanico; è nel giornalismo, infatti, che molti scrittori sudamericani (e una volta questo avveniva molto di più anche in Italia) compiono i primi passi nella scrittura, imparando quindi la sintesi, che da noi, ormai, mancando una vera scuola di scrittura sul campo, è più che altro un dono, che sì ha o non si ha, e che difficilmente si apprende. Come mettere fatti rilevanti e commenti pregnanti in un piccolo spazio tipografico?

Il superfluo della vita

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[Si pubblica un frammento dal blog rospe in frantumi, camera di collaudo e taccuino di un editore. d.p.]

di Roberto Speziale

Cosa ci si aspetta dagli editori, soprattutto se giovani? Gli editori devono essere agguerriti, devono usare metafore agonistiche, preferibilmente calcistiche o rubate all’immaginario gladiatorio dei filmoni in sandali e perizoma. Non si concede volentieri fiducia a chi contravviene a queste pratiche consuetudinarie. Posso anche capirlo, in fondo, è tempo di slogan (e quando non lo è), è tempo di dimostrare che i libri non sono cartacce raccolte a prendere polvere sugli scaffali. È tempo che i libri siano qualcos’altro, anche se non vengono letti. Questo è il tempo dei giovani editori. Ci si aspetta che i giovani editori sappiano cosa fare. I libri sono sacrificabili, non si vendono libri, si vende il resto.

La prima è venuta così in sonno, poi l’ho sistemata da sveglio. La terza e la quinta erano fatte così. La quarta era così. Sì, era così.

16

di Adelelmo Ruggieri

Scala

Ormai quasi cieco la mia visione si fece crepuscolare, inevitabilmente.
Stacchi di scuro dividevano i momenti della mia vita, ma l’ascoltavo
meglio così la vita. Ero un carpentiere. Avevo costruito una scala,
e mentre la costruivo la salivo. Ora stavo in cima mezzo cieco,
ma un po’ ancora ci vedevo. Fu allora che iniziai a capire le cose
tutte quante su di uno sfondo azzurro, e l’azzurrità proteggeva
l’innocenza del bianco, elideva lo scuro e l’oscuro. La scala era fatta
per scendere fra i bagliori di tutti i balconi. Ero stato prudente a non
gettarla via da me. Mi aspettava una barca dove non stare più straniero

Azzurro

 

Ad esempio. La scoperta della poesia

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di Giuliano Mesa

Ad esempio

Ad esempio, dire di ciò che non sappiamo dire. Senza cercare teoria. Senza temere il conflitto, lo stridore, lo stridere delle parti. Se la poesia è relazione, mette in relazione, non finge sintesi.
(Tutto ciò, e ciò che segue, è detto facendo un passo indietro, incauto, di non-silenzio.)

La città che sale

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[lo so dico sempre le stesse cose, ma in certi casi è proprio vero che repetita juvant. G.B.]

di Gianni Biondillo

Poi all’improvviso Milano scomparve. Nell’immaginario collettivo nazionale continuava a vivere solo nei suoi luoghi comuni: la nebbia, le fabbriche, il panettone. Qualcuno la immaginava ancora una città rampante, da bere. Si smise di rappresentarla, nel cinema, nella fiction televisiva, divenne un buco nero della memoria. Menomale che alcuni scrittori, spesso quelli più artigianali, di “genere”, continuavano a raccontare le sue trasformazioni antropologiche, i suoi panorami mutevoli. La classe operaia che non andava in paradiso ma in pensione, la romantica ligera che diventava criminalità internazionale… era da farsi: la Milano di Scerbanenco finiva a Piazzale Loreto, da lì, ai suoi tempi, iniziava ancora, e per davvero, l’aperta campagna. In fondo Peck, all’inizio del secolo scorso, stagionava i suoi salumi nell’aria salubre della Brianza. A Precotto. Oggi invece Milano è una città rete, una città territorio, che più che portare la sua nobile tradizione edile nella territorio extraurbano ha visto tracimare dentro di sé la Brianza velenosa di battistiana memoria. Milano s’è pastrufaziata, per dirla con l’ingegnere, che oggi non saprebbe più riconoscerlo il territorio. E forse anche la sua borghesia.

A ritroso, viola assoluto

8

di Esther Grotti

Piccole donne crescono. Dentro una Panda. Senza conoscersi simili. Quando il dolore arriva camminiamo. Partiamo da Genova come colombe. Verso nuove terre in cui arare il destino. Qui le prostitute si offrono alle finestre. Hanno le carni chiare e aperte come le pagine mistiche del mattino. In fronte a Palazzo San Giorgio vorrei qualcuno cui dettare la mia vita. Prima che mi scivoli via sconosciuta. Partiamo gettando dal finestrino il passato. Gridando. Ridendo. Senza alcuna musica. Non esiste una colonna sonora per tutti i nostri giorni. Banali e unici. Dispersi. L’autostrada è ridicola di mezzi affannati verso le vacanze. Il gruppo in diaspora si riunirà tra i dirupi francesi. E il viola assoluto della lavanda. Hai fatto bene a non innamorarti di me.

Intersezioni

2

di Giovanni Fazzini

La pietra

Tutto avvenne un giorno di cui non v’è memoria, un giorno in cui non v’era occhio per vedere né orecchio per udire. Cadde la pietra all’acqua e salì dal fondo al cielo mentre il rombo si frangeva in un riverbero ubiquo. Mai furono uno, Specchio ed Eco, in quella notte dei sensi; ma solo due e molti nell’invisibile inascoltato.

La lentezza

9

null

di Mariella Bettarini

avevo dodic’anni quando la lentezza
m’inoculò il dubbio che fosse lentezza (e lenta vita)
quella mia vita di bambina vecchia
quella non-vita
attaccata a una secchia
di sale- salendo scale lentamente affannata
balbettante
cucciolo d’animale con già tropp’anima
e già troppo male

Double face. Note a cura dell’autore

3

di Ingo Schulze

Nell’aprile 1997, poco meno di un anno prima dell’apparizione di Semplici storie, dovetti tenere in qualità di ex-borsista un discorso per il conferimento del premio Alfred Döblin. Alla vigilia della conferenza trovai nell’opera omnia di Döblin la frase alla quale il mio discorso finì per approdare. Nell’Epilogo del 1948 egli scrive: «Inoltre ogni libro aveva il suo stile, che non veniva gettato dall’esterno sul tema in questione. Non avevo un mio ‘proprio’ stile, da portarmi in giro una volta per tutte come il ‘mio’ (“Lo stile è l’uomo”), bensì lasciavo che lo stile sortisse dalla materia». Nel manoscritto si legge anche: «[…] ero attento a far sì che lo stile sortisse dalla materia».
Avevo trovato in Alfred Döblin un patrono letterario. Grazie a lui compresi meglio la mia stessa scrittura. Anche per me si tratta di trovare di volta in volta lo stile adeguato.

Hai una bocca di cartone

1

di Marina Torossi Tevini

Hai una bocca di cartone

in una pioggia notturna arrivasti.
dicevi La luna ha spiegazzato il mio nome
le unghie hanno scavato il mio ventre
e sono affondato in una nave carica di neve e di sogni

e siccome la ruota della vita gira e
l’orologio del tempo non si ferma
ti presi sulle mie ginocchia ti carezzai i capelli
annusai il tuo odore e mi sembrò amico

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [007]

1

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“One of These Things First”
di Nick Drake

7.
Ragionando in termini strettamente commerciali il montante “Esse” non aveva nessun mercato, e questo George Dempsey lo capì subito. Girando intorno al prototipo comprese l’inutilità dello sforzo. Più passava il tempo, più all’invendibilità dell’oggetto si aggiungevano numerosi errori che gli sembrò ridicolo non aver visto prima.

Elogio del risentimento

7
Ira_Giotto_ Cappella degli Scrovegni_Padova

di Linnio Accorroni

Ira_Giotto_Cappella degli Scrovegni_Padova“(…) Evitiamo l’oltraggio della cordialità; voilà! Un improperio e uno sputo per ciascuno, sì, questo è un addio serio, un’onesta partenza.(…)
da “All’ “ambiente” di Vittorio Gassman

Curo e coltivo i miei odi con l’accanimento e la devozione d’un giardiniere tenace ed appassionato. Ogni tanto, poi, me li ripasso scrupolosamente uno ad uno; li rimedito e li rivivo, scandendo al ralenti tutti i passaggi, indugiando su dettagli e frammenti. Tutti fondanti, tutti necessari. Il timore è che la damnatio memoriae possa cancellare, per distrazione o sciatteria, questo o quel frammento del passato, questo o quel particolare: se ciò avvenisse l’amara felicità dell’astio, che non sa né vuole dimenticare, e la gioia, ontologicamente postuma, del risentimento, sarebbero irrimediabilmente guastati. I miei odi ed i miei risentimenti, con il passare degli anni, invece di attenuarsi e stiepidirsi, diventano sempre più convulsi ed irredimibili. È una specie di ‘capitale morale’ che conservo gelosamente. Poi, per far aggallare tutto l’odio che cova dentro, mi basta rivedere o sfiorare chi m’ha offeso, anche se in un tempo lontano. Lontano per lui; non certo per me. Come in un racconto di Kafka, sono il malato che protegge e conserva la piaga e la ferita. Sono Filottete che custodisce con voluttà malsana il puzzo nauseabondo della sua piaga.
Mi dicono: dimentica e perdona, quel che è stato è stato. Farlo, per me, sarebbe come rinunciare ad ogni principio etico, sarebbe come abdicare ad una specie di ineludibile umanesimo radicale.

Che cosa avrebbe detto Hans Mayer di questo?

Etere 5. Newton e seguaci

11

di Antonio Sparzani
Isaac Newton, di William Blake, 1795.
Non è forse questo mezzo [etereo] molto più rarefatto all’interno dei corpi densi del Sole, delle stelle, dei pianeti e delle comete, che non negli spazi celesti e vuoti tra questi corpi? E allontanandosi a grande distanza da questi, non diventa forse sempre più denso e più denso, causando così la gravità di quei grandi corpi l’uno verso l’altro

Questa sorprendente citazione newtoniana merita qualche spiegazione, che potrebbe cominciare così.

Perché la fama e i meriti di Newton sono arrivati a noi con tale forza che il suo nome suona come quello del fondatore della fisica dell’età moderna, cioè di quella che ancora porta il nome di fisica classica? Perché un personaggio con ben radicate credenze alchemiche e magiche, arrogante e fondamentalmente misantropo come Newton si impose nella storiografia scientifica come un fondatore di un nuovo paradigma?

Jazz e xenoglossia

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di Sergio Pasquandrea

 Jazz is not dead, it just smells funny.

(Frank Zappa)

 

 

Strano come a volte le cose si catalizzino tutte d’un colpo.

Erano mesi che avevo in mente di scrivere qualcosa sul jazz. Le idee, tante, mi giravano in testa senza trovare un punto di sedimentazione.

Poi, qualche giorno fa, in un programma di file-sharing ho visto un messaggio che diceva “Esbjörn Svensson RIP”. Così ho scoperto che Esbjörn Svensson era morto il giorno prima, il 14 giugno, durante un’immersione subacquea. Svensson, per chi non lo conosce, era il leader dell’Esbjörn Svensson Trio, noto anche come E.S.T. Tra fine anni ’90 e i primi anni del nuovo decennio avevano avuto un notevole successo in tutta Europa e persino in America con una musica che fondeva la raffinatezza armonica e lo strumentario acustico del jazz con ritmiche rockeggianti e melodie di cantabilità quasi pop. Hanno avuto un’influenza decisiva sul jazz europeo, e oggi molti nuovi gruppi (ad esempio gli [em] di Michael Wollny in Germania o il trio di Neal Cowley in Inghilterra) si ispirano a loro.

Secondo me gli E.S.T. sono stati originali per due o tre dischi, poi si sono avvitati in una formuletta senza più uscirne. Ma comunque ci sono rimasto male. Svensson aveva appena quarantaquattro anni e al di là delle mie opinioni sulla sua musica era una persona onesta, ironica, una persona perbene.

Poi sono venuto qui su Nazione Indiana, ho visto il pezzo di Gianni Biondillo sui Radiohead e sul rock contemporaneo, ho letto i nomi di Coltrane, di John Zorn, dei Weather Report.

E allora qualcosa ha ingranato, e ho pensato di buttare giù qualcuna delle idee che da un po’ mi attraversavano la mente.

Nanoeditoria e i boemisti di Porto Valtravaglia

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di Claudio Canal

Nell’attuale panorama editoriale italiano, brutalmente appiattito da processi di crescente concentrazione in tutti i segmenti del settore, si assiste a un proliferare di case editrici piccole e piccolissime, sorte sulla base di scelte culturali precise più che su rigide analisi di mercato. Alcune sono nanoeditrici che, come le nanotecnologie, seguono le logiche della fisica quantistica intrufolandosi arditamente nelle pieghe inaspettate dei saperi e dell’immaginario del pubblico lettore. La Poldi Libri spiazza fin dal nome che, a una prima vaga assonanza, potrebbe suggerire paesaggi olandesi. (Né migliora la situazione la località dove ha sede la casa editrice, Porto Valtravaglia, che cuce insieme in un apparente ossimoro un porto e una valle.

Neuroni impazziti

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di Pasquale Vitagliano

Erano diretti ai laghi. Piero e la sua famiglia, dopo una settimana di lavoro. Non uscivano spesso nei week end, ma almeno una volta al mese un’uscita ai laghi era d’obbligo. Piero è un tipo normale e insegna musica in una scuola media di Milano. No, non è proprio un tipo normale. E’ un musicista, suona e insegna pianoforte. Certo, in passato aveva sognato di girare il mondo facendo concerti. Oggi di concerti, per la verità, ne tiene, ma non per il mondo. Insomma, per vivere fa il professore. E questo lo rende normale. Ma resta sempre un pianista, uno che da inerti tasti e da uno strumento di legno, che già come arredo basterebbe a se stesso, riesce a far uscire fuori dei suoni, delle melodie. La musica. Piero è un musicista e tutti i musicisti sono a loro modo dei maghi.

Via dalla pazza folla

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di Franz Krauspenhaar

Cristina Annino è una poetessa dalla lunga strada percorsa ma con tanti chilometri ancora da fare. Una donna-poeta che debutta nel ’68 con Non me lo dire, non posso crederci, già con una sua voce distinguibile. In breve, la sua poesia fuori da ogni “poetichese” viene molto apprezzata da Franco Fortini e da Vittorio Sgarbi, tra le varie pubblicazioni in poesia e prosa, appare nell’antologia Einaudi L’udito cronico, nei Nuovi poeti italiani n.3 (1984); ma la poetessa toscana non arriverà mai, nonostante la sua bravura e originalità a pubblicare con un grande editore. Troppo via dalla pazza folla dei questuanti, troppo indipendente, troppo stella solitaria.