di Gianni Biondillo
Alle battute ho pensato. Appena ho saputo della tua morte, Brenda, della tua morte crudele, della tua fine meschina, ho pensato con vergogna alle mille e mille battute fatte su di te in queste settimane. Al darsi di gomito sull’autobus, agli ammiccamenti al bar, all’invasione truce delle email ironiche, alla grevità sguaiata, al sarcasmo feroce. Un personaggio farsesco, stilizzato, banalizzato, capro ideale delle nostre ansie benpensanti. Non sei mai stata una persona, Brenda, solo un pupazzo dove infilare gli aghi della nostra macumba autoassolutoria. E mi vergogno, oggi, a pensarci. Alle trivialità, ai sottintesi, alla satira becera. Disonesti. Perché la tua morte è una morte nuda. È la morte che trionfa, che fa schifo. È la morte della solitudine assoluta. Si muore soli, lo abbiamo sempre saputo, ma morire scippati pure della propria dignità è disumano. E oggi sei il centro dell’attenzione morbosa dei nostri sguardi al sicuro, nel chiuso delle nostre case climatizzate. Tu, vaso di coccio, paghi la tua sconfitta sul tuo corpo diverso. Diverso. Perché fuori dalla norma, fuori dalle regole, corpo fantastico, mostruoso, meraviglioso. Esistevi, autentica, proprio nel tuo prostituirti. Perché eri senza scampo qui, in questo tardo impero allo sfacelo, in questo regno bizantino, non potevi essere quello che volevi fuori dal ghetto dove il nostro ciglioso sguardo sessita, misogino, omofobo, transfobico, ti ha cacciata.