di Andrea Inglese
Una micro-riflessione sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo all’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche.
È indubbio che in Italia i temi che dovrebbero suscitare con urgenza passione e dibattito sono altri: l’incubo di Genova 2001 (piazza Alimonda, la scuola Diaz, la caserma di Bolzaneto) pare non finire mai, perché si muore nelle mani della polizia giovani o giovanissimi, come è successo a Federico Aldrovandi o a Stefano Cucchi; la criminalità organizzata gode di ottima salute sia nel Sud, al ritmo degli ammazzamenti in pieno giorno, sia al Nord, al ritmo delle infiltrazioni nei tessuti imprenditoriali e amministrativi delle regioni immaginate più laboriose ed efficienti; la libertà d’informazione è pesantemente condizionata da un uomo solo, intorno al cui destino politico ruota ogni energia cerebrale dei giornalisti e degli opinionisti italiani, sia per leccargli il culo sia per indebolirne l’immagine onnipresente; giovanissimi, giovani, meno giovani, uomini e donne di ogni età danno di matto per tenersi stretto il lavoro che hanno, anche quando è demenziale e umiliante, o danno di matto per trovarlo un lavoro, anche se demenziale e umiliante.
Tutto questo lo viviamo quotidianamente sulla nostra pelle.
Perché allora spendere ulteriori energie su una faccenda che a confronto con quelle sunnominate pare risibile?






Milano films 1896-2009. La città raccontata dal cinema, Fratelli Frilli Editori

