Il racconto dell’oggetto
di
Eugenio Tescione
Note scritte a proposito di una realizzazione dell’architetto Beniamino Servino
«Che io sia un oggetto della memoria è falso, almeno quanto è vero che la memoria sia fallace. Non sono neanche un oggetto di natura, sebbene alle sue implacabili leggi io sia sottoposto: essa infatti, implacabile e sospinta dal suo implacabile e lento connaturare, mi ha assorbito, mi ha trasformato.
Io sono un oggetto del pensiero che ha avuto la sorte di varcare la soglia dell’invisibilità e, diventato visibile e sensibile, è nato alle trasformazioni prodotte dall’area del vivente, quell’area che congiunge l’estremo della bassa probabilità a quello dell’assoluta certezza. In questa area della vita, ora, vedo rallentare il declinare verso l’estremo assoluto, poiché si sono presi cura di me.»
Che l’oggetto abbia parola è un fatto inscritto in quella categoria ampliata degli accadimenti che include la capacità d’ascolto del soggetto. La lingua dell’oggetto ha una grammatica e una costruzione sintattica legate da una fissità costituita, cioè interiore, nel soggetto che istituzionalizza, cioè rende esteriore, la certezza del legame significante-significato. L’oggetto ha parola poiché è e diventa contenitore di contenuti liberamente in esso riversati: i contenuti del soggetto che lo ha creato e del soggetto che lo ha usato, di quelli che lo vivono, lo riempiono immettendo in esso la loro vita individuale.






di 

di Sergio Pasquandrea





