“Se ne va mamma gatta che ci tiene tutti al caldo nel suo ventre e arriva la bestia a sputare freddo e pioggia”, mi rivela Frank Barbery la sera del trentuno agosto, mentre cominciamo una partita a scacchi. Muoviamo pezzi fatti in Cina, usando come tavolino la sua panchina-letto. Siamo al binario ventiquattro della stazione ed è quasi sera: lui è l’uomo del ventiquattro, io sono il ragazzo della libreria della stazione. Frank ha il suo binario, io i miei libri. I binari diventano caldi, ma non danno calore. I libri si fanno leggere ma non leggono te stesso.
Aveva una famiglia, ma l’ha persa quando il suo lavoro è andato male. Pure io avevo una famiglia: l’ho persa quando qualcuno ha deciso di affidarmi al signore.
Lì sul momento non capisco la profezia che parla di una gatta. Poi lui alza la testa per guardare il cielo, io lancio una occhiata veloce al suo borsone e vedo le felpe con il cappuccio, i pantaloni lunghi e un ombrello dal telo bucato infilato fra abiti, pentolini, libri, giornali. Una borsa che usa come contenitore di ogni suo effetto personale, un guscio con cui si protegge dalle intemperie, dai ladri notturni e dai topi che circolano lungo i binari. Topi affamati in cerca di cibo e scarti di rifiuti alimentari che i passeggeri abbandonano nei cestini della spazzatura.
Train de vie
UNIONI CIVILI
di Sergio Rovasio
Due coppie gay di Trento, una composta da due donne e l’altra da due uomini, che avevano aderito alla campagna di Affermazione Civile promossa dall’Associazione Radicale Certi Diritti e da Avvocatura lgbt Rete Lenford, si erano viste negare dal Comune di Trento le pubblicazioni matrimoniali e per questo avevano fatto ricorso al Tribunale. Il Giudice di primo grado aveva dato alle due coppie un parere negativo e per questo l’avvocato Alexander Schuster aveva presentato ricorso, il 9 luglio scorso, davanti alla Corte d’Appello di Trento. La memoria difensiva era incentrata sul fatto che il matrimonio civile deve essere un diritto garantito a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. Dopo il Tribunale di Venezia anche quello di Trento considera fondate le ragioni delle coppie gay che chiedono di accedere all’istituto del matrimonio e per questo ha deciso il rinvio alla Corte Costiuzionale. Consideriamo questo passo una grande vittoria per tutto il movimento lgbt italiano. La campagna di Affermazione Civile continua. In Italia sono quasi 30 le coppie gay che hanno aderito a questa battaglia di civiltà che persegue le via legali vista la totale indifferenza e paralisi di quasi tutta la classe politica sul tema delle unioni civili, del matrimonio gay, dei diritti civili e umani delle persone”. Di seguito alcuni estratti dell’ordinanza dei giudici di Trento: Il Collegio dei giudici della Corte d’Appello di Trento, il 2 agosto scorso, hanno rimesso alla Corte Costituzionale la decisione in quanto “si tratta di questione rilevante e non manifestamente infondata. Non vi è dubbio infatti – continua il documento – che rispetto all’epoca in cui sono state incardinate le norme disciplinanti il matrimonio si è verificata un’inarrestabile trasformazione della società e dei costumi che ha portato al superamento del monopolio del modello di famiglia tradizionale ed al contestuale sorgere di forme diverse di convivenza che chiedono (talora a gran voce) di essere tutelate e disciplinate”.
Loca I: Poschinger Strasse, 1
di Giorgio Zampa
“Per favore, può dirmi dov’era la villa di Thomas Mann?”, chiedo a una donna anziana che sta liberando dal ghiaccio un tratto di marciapiede, sul fronte della casa d’angolo fra la Poschinger Strasse e la Thomas Mann-Allee. La donna mi guarda con stupore. Rimane in silenzio, senza avere l’aria di capire, le mani coperte da guantoni di lana, sul manico del badile. Ripeto la domanda. Lo stupore diventa diffidenza. Si stringe nelle spalle, scuote la testa, riprende a frantumare il ghiaccio con la punta del badile a piccoli colpi.
Pizzuto découpage
di Domenico Pinto
«Erice, odoranti di salvia i suoi paradisi, ingiù dallo scosceso il mare cresputo immobile, terse come stoviglie le strade spirali, ingressi ed imposte chiusi, laddentro cortili dove minuscole lune l’acqua nei profondissimi pozzi in echi, ben scarsa entro cisterna simmetrica, framezzo qualche albero, mura mura convolvoli, secondari usci su candida viuzza tra verdi persiane opposti a quelli maestri».
Under Press
Ricevo Volentieri Pubblico (effeffe)

Considerazioni sul giornalismo politico e non solo
di
Alessandro Trocino
Quanto ti pagano per fare un’intervista? Ti senti libero? Scrivi davvero la verità? Domande comuni, quando sei un giornalista, per di più del settore politico, e chi te le fa è una persona che è al di fuori del circuito mediatico, non ne conosce bene i meccanismi, ma immagina di conoscerli o ha ipotesi generiche ma ben sedimentate. La prima reazione, direi quasi chimica, è di spossatezza, incredulità. Come se, dopo essere arrivato non dico in cima alla montagna, ma comunque a un buon livello, spingendo il tuo macigno come puoi, lo vedi precipitare a valle in un secondo. Ti cadono le braccia. Sconforto, per il baratro che c’è tra il cronista, che pure scrive per lui, e il lettore.
Ma credersi Sisifo è gratificante, troppo gratificante. La fatica inutile, lo spreco, la dissipazione voluttuosa, quale migliore sollievo intellettuale. Ma il macigno che credi imponente è un sassolino. Il senso delle proporzioni che ridesta l’autocoscienza, quella percezione di sé che è salvezza e insieme maledizione, provoca nel cronista un secondo choc, in senso diametralmente opposto. Ed eccoti giù dalla montagna, in dimensioni naturali, un onest’uomo che si ingegna per portare a casa la pagnotta ovvero, per restare in metafora, che si ostina a spingere pazientemente in alto il sassolino per il solo motivo che lo ritiene giusto. E lo fa, tentando fin dove è possibile di non macchiare troppo la coscienza.
New York, tornare a casa
di Giampaolo Graziano
Arrivo a New York imbottito di letture, di blues ascoltato male, e di nostalgia vera per un luogo che non ho ancora mai visto. Arrivo in un tardo pomeriggio d’agosto, viaggiando dietro a un tramonto che si stiracchia per ore e non ne vuol sapere di chiudere lo spettacolo. Si corrono questi rischi, volando verso Ovest: si crede di aver più tempo del dovuto, si diventa ottimisti.
L’infanzia delle cose: un estratto
[Alessio Arena ci dona alcune pagine estratte dal suo nuovo romanzo, L’infanzia delle cose, manni editore]

di Alessio Arena
Sopra al marciapiede della Piazza di Cascorro i gitani hanno sistemato una coperta a terra e si sono messi a vendere i meloni rossi.
È domenica pomeriggio, e il mercato finisce sempre qua dove è iniziato alle prime ore della mattina.
I gitani sono così: tengono i capelli lunghi.
I gitani tengono le catene d’oro con la Virgen del Rocío o altri santi che non si capiscono.
I gitani si vestono sempre poco: le femmine stanno con la canottiera pure se è il mese di gennaio.
Canzoniere brasiliano 2 – Il poeta e il giullare
di Sergio Pasquandrea
Ma come si fa a non amare il Brasile, quando si incontrano due personaggi come Cartola e Noel Rosa? Due figure non si sa se più tragiche o pittoresche, e insieme così piene di umanità e gioia di vivere. Entrambi sono considerati tra i padri fondatori del samba moderno, eppure ebbero vite e personalità contrastanti: uno visse a lungo, l’altro morì giovanissimo, uno era un poeta tenero e romantico, l’altro un comico irriverente e dissacratore.
Ma forse è meglio fare prima un passo indietro.
Perché Pecorella infanga don Peppe Diana?
di Roberto Saviano
MI è capitato nella vita di fare pochissimi giuramenti a me stesso. Uno di questi, che non riuscirei a tradire se non vergognandomi profondamente, è difendere la memoria di chi nella mia terra è morto per combattere i clan. Ho giurato a me stesso sulla tomba di Don Peppe Diana il giorno in cui alcuni cronisti locali, alcuni politici e diversa parte di quella che qualcuno chiama opinione pubblica iniziarono un lento e subdolo tentativo di delegittimarlo.
Il venticello classico di certe parti d’Italia che calunnia ogni cosa che la smaschera; il tentativo di salvare se stessi dalla scottante domanda “perché io non ho mai detto o fatto niente?”. Ho letto in questi giorni sulla rivista Antimafia Duemila che due ragazzi, Dario Parazzoli e Alessandro Didoni, hanno chiesto durante una trasmissione Tv a Gaetano Pecorella come mai, quando era presidente della commissione giustizia, difendeva al contempo il boss casalese egemone in Spagna Nunzio De Falco, poi condannato come mandante dell’omicidio di Don Peppe Diana.
La cerva cornuta [Eracle #3]

Eracle fu perciò un semidio: nessun tedio umano lo risparmiò.
Quelle di Perseo, di Teseo, furono imprese.
Le sue, fatiche.
di Ginevra Bompiani
È probabile che prima di mettersi a correre non l’avesse neppure vista. Gliela avevano descritta, naturalmente, come qualcosa di bello. Ha le corna. Al sole si vedono splendere. Ma poiché la sua caratteristica era la corsa veloce, è difficile che qualcuno l’abbia guardata da vicino. Di lei si sapeva che razziava nei campi. Ma chi non razziava nei campi? E che appetito poteva mai avere una cerva da rappresentare un flagello? Ma era quel baluginare delle corna, in una femmina, quel rutilio nella penombra del bosco a farne una preda degna di lui. Volevano che la prendesse per non essere tentati di inseguirla.
Un giullare scomodo
di Valerio Cuccaroni
Intervista a Paolo Rossi
Una delle tante prove concrete che l’Italia è ancora dominata, per molti aspetti, da un regime feudale e cortigiano, è rappresentata dal ruolo decisivo svolto dai giullari nella nostra società. Prendiamo, ad esempio, il movimento dei meet up. Nato dalle “predicazioni” satiriche di Beppe Grillo piano piano si è trasformato in un progetto politico, che durante le elezioni del 2008 ha intimorito non poco le tradizionali forze politiche, compreso il neonato Partito Democratico. Non è un caso che il fenomeno Grillo si sia affermato all’indomani della crisi del sistema partitico, tanto da essere additato come emblema dell’anti-politica. Il giullare infatti è tor¬nato protagonista della vita intellettuale come nel medioevo, riempiendo un vuoto di rappresentanza e assumendo il ruolo dialettico svolto, fino a qualche decennio fa, dai partiti e dai loro militanti, compresi gli intellettuali organici, capaci di coagulare l’attenzione delle masse attorno alle grandi problematiche del periodo: l’etica in politica ai tempi di Tangentopoli o l’antiberlusconismo ai tempi dell’Ulivo.
Il potere persuasivo acquisito dal giullare nel nostro paese è dimostrato dalla censura subita dai comici Daniele Luttazzi, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi e Dario Fo durante il secondo governo Berlusconi.
Ed è proprio all’attore e autore comico Paolo Rossi, che siamo andati a chiedere lumi sulla situazione italiana. Lo abbiamo incontrato al termine della serata finale di Cabaret Amoremio 2008, un concorso per cabaret¬tisti emergenti che da oltre vent’anni va in scena a Grottammare, piccolo paese in provincia di Ascoli Piceno, salito alla ribalta per gli esperimenti di democrazia partecipativa condotti nei primi del 2000 dall’allora sindaco Massimo Zamboni.
Note per una PhenomeNoilogy: II parte
”Permettetemi di essere il teppista che sono, signori vivi a sbafo, vivi inutilmente… e tu che ti permetti?… Vieni fuori dallo studio, vieni a dirmelo in faccia cosa hai detto”. ”Vieni fuori che facciamo un po’ di letteratura con le mani…”. ”La mia è un’invettiva, ossia l’unica letteratura che in questo momento io sento di fare”. ”Parlo al plurale a un singolare stronzo
perche’ se ne risentano in parecchi”. ”Con te ci vediamo fuori perche’ io sono un teppista e vado fiero della tua imbecillita”’.
Lettera di Pasquale Panella indirizzata a Gianni Boncompagni e pubblicata su Repubblica (11 Settembre 1998)
Replica di Boncompagni: ”Che antipatico!”.
Bueno Noy Bueno, ovvero per una teoria del double bind applicata al pop
Diciamo subito che la forza del Pop si esprime attraverso l’identificazione a un gruppo rispetto all’altro, con l’esplicitarsi di un’appartenenza a una visione del mondo, a un orizzonte che immediatamente si contrappone a un altro, suo alter Nos, in una dialettica che potremmo definire neo bizantina. Il riferimento storico va ovviamente al celebre Ippodromo di Costantinopoli in cui, per il prestigio che aveva- poteva ospitare dai 30.000 ai 50.000 spettatori- si acclamava l’Imperatore ma soprattutto dove il pubblico si divideva in demi (fazioni), inizialmente quattro poi diventate due, gli Azzurri (conservatori) e i Verdi (progressisti). Qualcosa di simile a quanto accaduto alle nostre città più importanti in cui si dividono stadio e pubblico due squadre, con un’attribuzione non sempre chiara seppure accertata da fatti storici incontrovertibili al punto che se la cosa appare semplice in alcuni casi (vd tifosi della Lazio di destra, quella della Roma di sinistra) in altri sembra più difficile l’attribuzione come nel caso della Juve e del Toro o delle stesse Milan e Inter i cui presidenti sembrano esprimere idee differenti dalle proprie tifoserie.
La partenza intelligente

di Davide Bignami
Un Ape Piaggio 50 Camper monoposto come mezzo di trasporto e cellula abitativa per affrontare gli spazi aperti dell’esistenza, nuova forma di nomadismo tragicomico, viaggio solitario senza speranza dove ciò che viene trasportato è l’intimità di uno spazio abitativo e ciò che resta sono lentezza e libertà. Metafora di un’esigenza, ossimoro concreto, adatto a sperimentare in prima persona la ostinata e coraggiosa radicalizzazione dei bisogni essenziali.
Storia di Marie e Julien (Jacques Rivette)
di Rinaldo Censi
Le prime sequenze del film scorrono lasciando emergere una strana sensazione, come se qualcosa sfuggisse, si muovesse autonomamente, fuori dai binari canonici di una diligente trama narrativa. I punti enigmatici e opachi vengono subito al pettine: chi è Madame X? E cosa la unisce a questo orso in cattività, fuggito di soppiatto da uno zoo? La struttura ipnagogica delle prime sequenze poi non aiuta. Dove siamo? In un sogno? E poi: chi è che sogna? Marie? Julien? No. L’impressione è che ci sia qualcosa di superiore: ci sia qualcosa insomma che muova i fili della storia, che si diverte ad attorcigliarli, farne risaltare i nodi imprevisti: insomma a creare incidenti. All’inizio del film ogni personaggio sembra muoversi per conto suo, come se stesse monologando con se stesso, emancipato dal resto della scena, impermeabile agli eventi che si susseguono, senza che nulla venga in fondo chiarito. Un po’ come un quartetto d’archi dove ogni esecutore si muove singolarmente, chiedendosi cosa stia suonando il musicista al suo fianco. Eppure questi quattro strumentisti conoscono alla perfezione la composizione musicale sul loro spartito, solo non desiderano essere disturbati. Si divertono restando evasivi, enigmatici: ci voltano la schiena, con semplicità e noncuranza.
Riscavi
di Giorgio Mascitelli
Perché come dice giustamente il prospetto allegato alla comunicazione di possibile visibilità del plastico sinottico e prospettico dell’edificando quartiere “il falansterio della bella gente” situato nel prospiciente comune di Cazzulonia e già dotato di tutti i permessi di legge previi i quali sono già cominciati i primi scavi per le fondamenta e anche degli allacciamenti a tutte le dorsali, e uno prenotando subito avrà i suoi bei vantaggi in termini di consegna e di prezzo, noi lavoriamo acciocché i nostri piccoli possano godere di tutti gli agi, di tutte le protezioni e di tutte le gioie che l’infanzia a buon diritto pretende per sé. E anche noi adulti dopo una vita di sacrifici in cui ci siamo spezzati la schiena, è giusto che possiamo riposarci la sera dal lungo e proficuo lavoro in un ambiente sano e nutriente e i nostri vecchi si possano ritemprare in un ambiente sereno e giovale in attesa della visita della signora a cui nessuno ha mai detto di no (ma questo il prospetto non lo dice).
Otto testi
di Fabio Teti
[da: Il buio che si vede (in progress)]
Penso con qualche gioia
che un giorno, e
F. Fortini
non lo sai dire non dirlo, va trovato altro, adesso, non se ne vendono di rondini, pardon, non se ne vedono, se il trave sta marcito ma nascosto da cartelli, opachi enormi, vessilli di sunglasses – e impalcature, anche, e ancora queste insegne di seni da lappare passo a passo come una canga per gli occhi silenziosa, perché ha già vinto
In fuga dalla scuola e verso il mondo
Leggere un libro sulla scuola, all’inizio, desta un minimo di scetticismo. Il tema ha un suo valore in termini di puro marketing editoriale, di libri sulla scuola ne vengono sfornati continuamente, più o meno tutti molto simile fra di loro. Un po’ di paternalismo nel raccontare il mondo dei giovani, un po’ di folklore, qualche aneddoto divertente; la ricetta è piuttosto semplice e ben sperimentata. Molto più difficile è invece incentrare un romanzo sulla figura di un adolescente cercando di non renderlo una caricatura o una macchietta o, peggio, l’epigono dei “giovani d’oggi”. Costruire un personaggio che, anche se è un adolescente e fa delle cose da adolescenti – andare male a scuola, innamorarsi, scappare di casa – sia anche qualche cosa di più; un personaggio unico, che ha qualcosa da dire e che racconta la sua storia, non il discorsetto sociologico su come cambiano le generazioni e su quanto fanno tenerezza gli adolescenti.
Il pregio del libro di Simone Consorti, In fuga dalla scuola e verso il mondo (Hacca, 2009), uscito recentemente per le edizioni Hacca è proprio questo; prendere la storia di un ragazzo che va male a scuola, si innamora e scappa di casa e scegliere di costruirci attorno un romanzo in cui il parlare di scuola e di adolescenza non è che l’ambientazione, il pretesto.








