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Personaggi Precari 2009: Millennium Edition

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1774_lynching di Vanni Santoni

Renzo

– Babbo, perché ti tieni il cuore?
– Perché mi immagino gli infarti.

Sara

A sedici anni è mezza sfatta. Con quegli occhietti cilestrini tiene testa a certi fidanzati che sono ognuno il terrore del suo quartiere.

Rambaldo

– Arriva un momento nella vita, se hai avuto abbastanza donne e abbastanza belle, in cui cominci a considerarle per il loro cervello, più che per il loro corpo: è lì che devi stare attento, in quanto mai ti eri abituato a scegliere in questo modo, e non hai quindi sviluppato gli strumenti per una corretta valutazione.
– O’ che dici, nonno? Ma se sei sempre stato buco… Lo sanno tutti che la mamma è figliola del Verniani!
– Eh, dai, facevo per dire.

Teti

Ci sono famiglie che hanno scritto nel proprio destino un giorno fatale nel quale qualcuno alzerà il coperchio, il drappo, la maschera, e scoprirà l’orrendo verminaio; e ci sono famiglie in cui di queste belle giornate ce n’è più o meno una ogni tre anni.

Roberta

Si è andata a infilare in una setta che le spilla i soldi e la mette contro i suoi familiari. Non è mai stata così felice.

Claudio

Ventisei anni più tardi, dire “um banbino” lo diverte ancora moltissimo.

Mon Tag Poèmes

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You phonio saxo?

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Quello che vedi è quello che ottieni

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peroncino lavinia

di Chiara Valerio

Avevo una missione, e sorridevo talmente forte che la sera avevo i denti piantati nelle gengive. Sono io che me ne vado (Mondadori, 2009) di Violetta Bellocchio è un romanzo di lucciole e lanterne. Balugina curioso e, in certe parti, impone di indossare gli occhiali da sole. Capita che le lanterne accechino. Allora, lei chi è? «Mi chiamo Layla Nistri» dico. Non so perché sto usando il mio vero nome. Potevo dire che mi chiamo Evangelina Tortora de Falco, e avrei comunque avuto il nome meno improbabile della giornata.

Iniziative Uaar

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UNIONE degli ATEI e degli AGNOSTICI RAZIONALISTI
www.uaar.it

NEWSLETTER
Numero 79 (30 aprile 2009)

In questo numero:

1. AGGIORNAMENTO SULLA CAMPAGNA ATEOBUS
2. INAUGURATA LA SEDE NAZIONALE UAAR
3. CAMPI ESTIVI UAAR
4. IL CINQUE PER MILLE ALL’UAAR
5. OTTO PER MILLE: LA CAMPAGNA INFORMATIVA UAAR
6. PREMIO DI LAUREA UAAR 2009
7. FLASH: DUE MESI DI ATTIVITÀ UAAR
8. FLASH: DUE MESI DI AGGIORNAMENTI SUL SITO

Una dolce preghiera

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Dio è con noi
di
Franco Arminio

quello che conta per chi scrive
è solo la furia
la commozione lo smarrimento,
la vita è vera quando è spezzata
quando la testa brucia.
dio non c’è quando siamo gentili
quando siamo pazienti
quando crediamo agli altri
quando aspettiamo.
dio crede in noi quando siamo in croce
quando buttiamo fuori l’inferno
che abbiamo dentro
quando non misuriamo niente
ma vaghiamo fuori dai nostri nidi
nell’aria appestata di questo cimitero
incapaci di prendere e di dare
incapaci di commerciare
con il visibile e il mistero

* * * di sassi e cristalli

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* hiberno pulvere ** da cenere oro

L’uomo è come un soffio,
i suoi giorni come ombra che passa.

Salmo 143

W. A. Mozart [ 1756 -1791 ]
Adagio in Do minore per Glass Armonica K. 617

di Orsola Puecher

nata in un giorno di rose e bandiere
Primo Maggio di speranze e futuro
[ e ] strida di rondini che ritornano

scrivo di quel che s’è perduto: ancòra [ et àncora ]

Il cuore rivelatore: Piero Bargellini

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di Rinaldo Censi

Renverser les expériences et exposer une plaque ou un papier chloruré, ioduré et dans une solution d’un sel d’argent pour obtenir l’effet in statu nascendi.

(August Strindberg, Extrait de notes scientifiques et philosophiques, 1896)

Non ho mai visto un’ape morire. Ho dovuto aspettare la seconda parte di Morte all’orecchio di Van Gogh (1968) per accorgermi dello strazio concentrato in un battito d’ali. Come se un grido impossibile trovasse la sua forma di emersione nel movimento convulso di questo imenottero moribondo, nella vibrazione incontrollata di due sottili membrane diafane. Ma a chi può interessare la morte di un’ape? E se in questa via crucis per entomologi si nascondesse qualcosa di profondo, e insieme sfuggente? La morte di un’ape può forse tracciare i bordi di un universo a noi precluso, rendendo evidente – nella sua violenza – un aspetto cruciale della nostra vita. Noi siamo i detentori di un sapere sfuggente, i gradi di realtà sono molteplici. Proprio per questo di un’ape possiamo comprendere solo in parte l’agonia. Sarebbero necessari gli ultrasuoni per cogliere il suo lamento, la cui frequenza resta a noi sconosciuta. Ed è possibile che il nostro olfatto sia così poco sviluppato da non riconoscere la scia di morte che ha lasciato sulle foglie?

Rete rospo

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In questi giorni la mia lettura di ‘Persi in un buon libro’ di Jasper Fforde si è incrociata con gli eventi recenti in RAI. Nel primo capitolo la protagonista Thursday Next, in forza presso le Operazioni Speciali (OPS) come agente letterario, deve partecipare all’Adrian Lush Show, il talk show più visto della rete televisiva più vista dell’Inghilterra, in un ucronico 1985 in cui ancora si combatte la guerra di Crimea e la letteratura è importantissima e seguitissima.
Thursday è lì in quanto ha compiuto una serie di atti eroici tra cui salvare Jane Eyre, e varie altre amenità che, oltre che renderla famosa tra il pubblico, le hanno inimicato una serie di potenti. Mentre registrano l’intervista, gli emissari dei potenti (incluso il suo superiore Flanker) sono tutti in prima fila. Quello che segue è un estratto di ciò che succede (chi non conosce Fforde sorvoli pure sui dettagli).
Ah, Thursday Next è anche proprietaria di un dodo.
Vincenzo Della Mea

Ruggine

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di Marilena Renda

E quando la terra si apre nessuno si stupisce;
la terra si apre continuamente quando
il Dio del roveto e della parasia viene di notte
a donare il suo dono di zolfo, a visitare
il suo soffio di anidride carbonica e cenere.

La faglia è un’interruzione dell’ordine del cosmo.
Significa una rottura dei fili che legavano
tra sé e sé le zolle, le erbe, i capillari del suolo.
Una trasfusione di forze da un centro a un margine,
un nido di sangue che si scuote dal cuore.

***

Tryptique récitatif: Giuseppe Schillaci, Paolo Grassi, Linda Calvino

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I tre racconti che seguono sono stati letti dagli autori in occasione del primo incontro della serie 8×8, ideato da Leonardo Luccone e che si svolge presso il Caffè Fandango, piazza di Pietra 32, Roma, a partire dalle ore 21. Le date previste e le case editrici madrine sono state e saranno: martedì 21 aprile (minimum fax); martedì 5 maggio (Playground); martedì 25 maggio (Fanucci); martedì 9 giugno (Nutrimenti); martedì 16 giugno (Fandango). effeffe
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Baglio della Magnolia
di
Giuseppe Schillaci
Fuori l’aria era ferma. La luce del tramonto iniziava a scivolare sulle creature dell’Orto Botanico, quando Saverio uscì dal laboratorio e prese a vagare per i sentieri odorosi. E come ogni sera, prima di tornare a casa, Saverio provò a svuotare la mente: si fermava, respirava forte e immaginava di essere albero, solitario e solido, legno tra i legni.

Assedio
di
Paolo Barrella
Ha cominciato a tagliare l’erba alle otto, otto e un quarto. Sentivo il rombo del tagliaerba a motore, direttamente in testa come un martello. Mi sono alzato alle otto e venticinque ed ero già stanco morto.
Ogni volta che prendo un nuovo lavoro, non riesco a dormire. (continua)

L’ora è fuggita
di
Linda Calvino
Avevo quattro anni quando mio padre morì.
Me lo ricordo bene, perché ero certa che fosse successo per colpa mia. Eravamo in quella che i grandi chiamavano “la stanza dei giochi”. La casa era immensa: potevamo permetterci un’ala al piano superiore riservata alla zona notte, e un’altra al piano inferiore con un salone che sembrava una piazza d’armi, una cucina che pareva un refettorio, un bagno che ricordava il boudoir di Maria Antonietta di Francia, e la stanza dei giochi, appunto. (à suivre)

E alcuni audaci in tasca l’Unità

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Oggi 29 aprile sull’Unità Il dossier sulla scuola di italiano per rifugiati Asinitas con focus sulla diaspora somala in Italia. Il dossier, curato/scritto da Gabriele del Grande e Igiaba Scego, sarà corredato dai disegni e dalle poesie dei ragazzi rifugiati che frequentano la scuola.
Parole, quelle dei ragazzi e quelle dei giornalisti, che illuminano il dilemma italiano sull’asilo politico. Un dilemma che spesso si tramuta nella tragedia della non accoglienza e del razzismo.

GIOCARE LA VITA
di
Tedros e Teklu (Eritrea)

In Libia i dallala comprano e vendono le persone come noi, come animali in un mercato. I dallala dicono: se sbarchi a Lampedusa bene, se muori è uguale. Per i libici l’importante è il denaro.
Noi siamo stati fortunati, perché siamo stati in Libia solo otto giorni.

Tedros: Siamo partiti all’alba. Il mare era calmo. C’erano 304 persone di tutti i paesi. Tutti stavano in silenzio perché avevano paura di essere presi e riportati in Libia. Eravamo felici di lasciare la Libia, perché il mare è meglio della Libia. Durante il viaggio tutti pregavano. Io ero seduto al centro della barca, era la prima volta che vedevo il mare. Ci domandavamo quanto tempo ci voleva per arrivare a Lampedusa. Eravamo 304, ognuno ha pagato 1200 dollari, 364 mila dollari.

I POETI ITALIANI PER L’ABRUZZO E L’AQUILA LUOGHI D’ARTE E CULTURA

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[ricevo, via Nina Maroccolo / Franz Krauspenhaar, questo Comunicato Stampa che volentieri pubblico. a.s. ]

Sdrucciolo dei poeti
Sdrucciolo dei poeti

Le Edizioni Tracce stanno organizzando, in collaborazione con l’Associazione Poeti Abruzzesi, un movimento umanitario di adesione, da parte dei poeti italiani, all’Abruzzo terremotato.

Le ultime drammatiche vicissitudini che hanno colpito l’intero Abruzzo e in particolar modo la città dell’Aquila, distrutta nei monumenti più belli e storici dal terremoto, hanno scosso le coscienze degli Abruzzesi per le vite perdute sotto le macerie. Nella memoria collettiva si è aperta una profonda ferita ma il popolo dei poeti sente una viva energia che li spinge a non arrendersi agli eventi naturali e all’incuria degli uomini, attraverso la poesia e la creatività.

Il movimento umanitario intitolato I poeti italiani per l’Abruzzo e L’Aquila Luoghi d’Arte e CulturaLa Parola che ricostruisce, crede che la forte voce dei poeti debba unirsi nel promuovere idealmente la ricostruzione dell’Abruzzo e in particolar modo dell’Aquila: vuole che la città e il territorio rivivano nella loro memoria storica e artistica e nei loro importanti monumenti conosciuti e apprezzati in tutto il mondo, in modo da non dimenticare, quando i riflettori si saranno spenti, l’importanza della ricostruzione storico – artistica.

La scelta 


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di Alessandra Galetta
Il 23 maggio, alle otto e un minuto di mattina, un uomo chiuse a chiave una porta fradicia di umidità e si chinò su un water ancora puzzolente di disinfettante.
L’uomo ebbe un paio di conati e poi rimase immobile, a occhi chiusi, emettendo respiri lunghi e regolari, infine tirò lo sciacquone e uscì, schiarendosi la voce e armeggiando con la cerniera dei pantaloni. 
Dopo aver verificato che il locale fosse vuoto, l’uomo sollevò il viso verso l’alto, notò che la  telecamera era in funzione e si domandò se la sua immagine fosse andata in onda o fosse stata archiviata insieme alle centinaia di altre che erano state riprese in quei minuti. Alla fine concluse che se pure uno dei vigilanti l’avesse guardato non avrebbe avuto sospetti: era un impiegato qualunque che aveva appena pisciato e soprattutto era in orario. Il pavimento di plastica  grigia  era lucido d’acqua, ma c’era qualche tratto già asciutto su cui spiccavano impronte di diverse dimensioni.  
Poggiando i piedi su quelle, l’uomo – che si chiamava Tonino Pinna ed era  impiegato alla fabbrica Motori&Co, il luogo  da dove comincia questa storia – si avvicinò al lavandino con l’intenzione di sciacquarsi la bocca, ma la sua mano si fermò poco prima di arrivare al rubinetto: c’era un capello, lungo e nero sulla ceramica giallognola. 
Il capello aveva la forma di un  punto interrogativo.
A pochi centimetri di distanza ne individuò altri due, corti, spessi e di colore più chiaro, che parevano le setole di un il maiale. 
Tutti riescono a rubare qualcosa in questo luogo in putrefazione, persino nell’anticamera di un cesso, tranne io, sussurrò fissandoli come se potessero rivelargli a chi appartenessero e quali azioni avessero compiuto i loro proprietari poco prima.

A Gamba Tesa : la critica in Italia e la naftalina

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di
Francesco Forlani

Ieri, discutendo con un’amica del più e del meno, ci siamo interrogati, più o meno, su questa “scoperta” o riscoperta da parte della critica letteraria del favoloso mondo di Amélie de Blog. E mentre ne parlavamo, a un certo punto, lei mi ha detto : “ma cos’è questa puzza di naftalina?”
Hai proprio ragione, ma non saprei da dove provenga. Se dalla camera accanto, ma in un monolocale è difficile, o dall’armadio a muro, magari lasciata dal precedente locatario. ” – ho fatto io.
E ci siamo lasciati così, con quello strano odore, non più puzza e non ancora profumo, Successivamente, vuoi per capire cosa stesse accadendo, vuoi per la noia della pioggia incessante, ho aperto una dopo l’altra le stanze di Nazione Indiana, per trovare “la chose”.
E ho cominciato dal primo post di cui mi ricordavo, ovvero l’articolo di Emanuele Trevi

Il sindaco di Gela

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[pubblico questa intervista uscita sul Manifesto del 25 aprile a Rosario Crocetta, sindaco di Gela (Caltanissetta); un personaggio che sembra una perla purtroppo rara nel panorama dei sindaci, non solo siciliani. a.s.]

Palermo, Intervista di Alfredo Marsala al sindaco di Gela Rosario Crocetta

Titolo: “”Crocetta: «La mafia? Mi fa più paura la politica»””

Quando sei anni fa si insediò in municipio Rosario Crocetta come primo atto dichiarò guerra alla mafia. Gela, avvolta tra i fumi del Petrolchimico e martoriata da mafiosi e stiddari, non poteva immaginare che quel sindaco in poco tempo avrebbe davvero cambiato la storia di quella città fino ad allora maledetta. E col tempo chi non aveva capito voltandogli le spalle e chi lo dileggiava per la sua dichiarata omosessualità ha dovuto cambiare idea. Crocetta per molto tempo è stato quello che in Sicilia si dice un morto che cammina. Solo contro la mafia. Oggi il contesto è cambiato. Cosa nostra vuole ucciderlo. La Procura ha sventato il terzo progetto di attentato, arrestato due persone pronte ad agire con un arsenale. «L’ho saputo dalla radio – dice Crocetta – e la prima persona a cui ho pensato è stata mia madre, ho chiamato mio fratello e gli ho detto di raggiungerla, non volevo che lo sapesse dalla tv. Poi ho pensato alle madri dei poliziotti, in particolare a una donna che ho incontrato a Palermo davanti la Focacceria San Francesco di Vincenzo Conticello; mi si è avvicinata, mi ha abbracciato, dicendomi che i suoi due figli sono agenti della catturandi, aveva gli occhi rossi. Ho sentito il dolore di questa madre. Ecco, oggi quel dolore l’ho risentito.

Sindaco, ha paura?
Non si ha paura quando si è in guerra. Io sono in guerra, qui a Gela. Il mio nemico è la mafia. Sono arrabbiato, mi chiedo ma che paese è l’Italia,

Da “La manutenzione delle maschere”

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di Arben Dedja

Galleria

Questa lunga galleria dove io – bambino
correvo contento con il treno
delle vacanze di luglio è la vagina
di mia madre mentre nascevo

e questo fischio dal buio della
galleria spaventato è il fischio
del mio lubrificato corpicino
scivolando fra le cosce di mia madre

mentre quella luce lontana in fondo
alla galleria quella luce che soffoca che
presto s’avvicina facendosi vortice di colori
è la morte la splendida morte che abbaglia.

L’immagine è una capra (o potrebbe esserlo). Racconto “in due tempi” per Manlio Sacco

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foto-mia di Vito Chiaramonte

La prima volta che vedo salita Sant’Antonio, chiusa dalla facciata del palazzo dei Marchesi di Arezzo che si allunga su via Roma, vedo un vicolo che finisce in un buco di parcheggio fra case antiche di Palermo. Palazzotti medievali, non ancora completamente in rovina, si aprono sullo spazio angusto di un basolato come un nastro sottile e sfilacciato. Un po’ di fresco (devo ambientare questa prima visita in agosto) esce dai portali carico di umido e di odori da soffitta. Ma quando i portali sono chiusi si sente un altro odore. Sono per strada e mi trovo proprio bene nei panni di uno studente che guarda la città in cui vivrà con gli occhi di chi non capisce perché, a due passi da quel degrado, possa innalzarsi la facciata di San Matteo: ma degrado e restauro sono poi così differenti? Quando ci torno (sarà stato lo scorso agosto) è per raggiungere Manlio nel suo studio, tre stanze (forse quattro) che si aprono, a destra, in un patio trasfigurato da un restauro, immerse in un silenzio insolito per Palermo, proprio lì a due passi dalla strada che chiamiamo cassero, come se la città fosse una nave pronta a prendere il mare. Le trifore trecentesche che avevo visto anni fa ci sono ancora, e respirano a fatica ormai chiuse in muri tirati a lucido.

Dalla parte degli infedeli

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qui IL RACCONTO DEL VENERDI’: LA RIMOZIONE di Leonardo Sciascia letto da GianMaria Volonte’

di
Pasquale Vitagliano

«Ci mancano la penna e la spada di Leonardo Sciascia», ha scritto Vincenzo Consolo nel 2004 in un articolo su «Liberazione». Eppure, c’è il sospetto che al salotto buono della cultura italiana non manchi affatto quel “politicamente scorretto” che denunciò i “professionisti dell’antimafia”; quello che ebbe il coraggio di indicare nella figura del giudice-legislatore il pericolo di un potere fondato sulla virtù ma senza possibilità di verifica. Non è possibile appropriarsi di Sciascia. «Di volta in volta sono stato accusato», diceva di se stesso, «di diffamare la Sicilia o di difenderla troppo; i fisici mi hanno accusato di vilipendere la scienza, i comunisti di avere scherzato su Stalin, i clericali di essere un senza Dio. (…) Il fatto è che i cretini, e ancor più i fanatici sono tanti; godono di una così buona salute non mentale che permette loro di passare da un fanatismo all’altro con perfetta coerenza».
La sua più tragica profezia è stata quella di intuire che il terreno sul quale si sarebbe realizzato il più grande incontro di questi fanatismi sarebbe stato la giustizia: la sua amministrazione, il ruolo dei magistrati, il loro inevitabile quanto pericoloso inserirsi nel vuoto della politica.

Non c’è modo d’essere bambini

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di Mohamed Altawil

Sono un palestinese la cui famiglia è vissuta per generazioni nel villaggio di Al-Maghar. Sessant’anni fa, durante la Nakbah (catastrofe), i miei nonni furono espulsi con tutta la loro famiglia da Al-Maghar, sradicati e mandati tra le capanne e le stradine di un campo profughi distante 100 miglia. A tutt’oggi assaporano l’amarezza di quella perdita e restano a guardare inermi mentre le fiamme di quella tragedia bruciano ancora. Quando ero molto piccolo ero abituato a vivere in una delle capanne del campo, ma non appena crebbi e compresi l’infelicità della mia famiglia iniziai a tempestare mio padre di domande: