di Giancarlo Consonni

Acasadidio di Giorgio Morale (Manni) è un romanzo tagliente. Sulle cose. Con la determinazione di chi bracca la realtà dappresso senza mai essere invasivo: descrizioni contenute all’essenziale; le persone e gli accadimenti che vengono fatti agire sulla scena.
Efficace, per cominciare, la restituzione della scena primaria: gli squallidi uffici del Centro affiliato a una Associazione di volontariato che si occupa di collocamento della forza lavoro e di assistenza alle prostitute che si vogliono liberare dal racket: «Angustia dell’ingresso, oscurità delle scale, lunghezza dei corridoi, locali tutti uguali»: luoghi non curati volutamente: per lanciare un messaggio a chi vi approda per avere un lavoro o per effettuare controlli: lì si fa solo del bene: si è dalla parte dei diseredati, per lo più immigrati irregolari. Molto ben delineato anche il contesto. Vengono in mente certi paesaggi della periferia milanese dipinti da Tino Vaglieri: «case fuggiasche» a ridosso della tangenziale: «Alcune già dismesse, altre in disarmo, altre con la vita artificiale dei posti abitati in orari d’ufficio»: gregge di edifici che lo stesso campanile tiene a distanza di sicurezza.






di Vanni Santoni



