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African Inferno

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pallavicini

di Marco Rovelli

Del romanzo “African inferno” di Piersandro Pallavicini (ed. Feltrinelli) alcuni giornali di destra hanno parlato bene, a fronte di un apparente silenzio di quelli di sinistra. Sul suo blog (a cui rimando per valutare l’ampiezza del dibattito), l’autore ribadisce la sua provenienza da sinistra. Ora, il libro di Pallavicini non è politically correct: ecco, è proprio questa la sua forza di sinistra (perciò a mio parere non c’è forzatura anti-ideologica in questo non esserlo).

ZAMEL II

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di Franco Buffoni

Casa di Aldo, seconda notte: processo

Devo cercare di togliermi dalla mente gli occhi di Nabil. Mentre ripete quella parola ZAMEL. ZAMEL ZAMEL la parola che ha condannato Aldo. Quando riesce finalmente a pronunciarla, però li tiene chiusi. E riesce a pronunciarla solo dopo che l’accusa esplicitamente dichiara che alla visita medica il suo ano è risultato “infundibolare, tipico dell’omosessuale passivo”, e che non vi sono dubbi sul fatto che “l’imputato abbia lungamente esercitato l’omosessualità passiva”. A me sono subito venuti in mente i processi agli “arrusi” della Città e l’isola di Giartosio e Goretti. Dove vengono trascritti dai verbali di polizia i resoconti delle visite mediche intime subite dai condannati al confino. Anche in quel libro, ambientato a Catania nel 1938, si parla di un assassinio.

La paura

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di Riccardo Held

È sempre quello torna sempre uguale
e sono già passati quarant’anni
ma torno sempre lì non serve a niente,
riesce sempre a farmi così male,

qualcuno o qualche cosa mi ha spezzato,
tolto di mezzo, rotto, fatto fuori,
e non ho mai capito ve lo giuro,
non lo capisco oggi cosa sia,

so solo che è così, precisamente,
mi basta per saperlo la paura
che non mi lascia mai, resta in silenzio,
nei luoghi dove sono, sta discreta

mi aspetta, mi precede, mi accompagna
discretamente, siamo in confidenza,
ci conosciamo ormai da tanto tempo,
e nessuno mi crede, un’altra cosa

strana a pensarci, mai nessuno
nemmeno lei, nemmeno i pochi
che mi tengono in cuore e che ho nel mio,
ma sono “bello, forte e intelligente”,

Elogio dell’ozio

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di Bertrand Russell

L'oisiveté - l'inerzia - l'otium
L'oisiveté - l'inerzia - l'otium

Come molti uomini della mia generazione, fui allevato secondo i precetti del proverbio che dice « l’ozio è il padre di tutti i vizi ». Poiché ero un ragazzino assai virtuoso, credevo a tutto ciò che mi dicevano e fu così che la mia coscienza prese l’abitudine di costringermi a lavorare sodo fino ad oggi. Ma sebbene la mia coscienza abbia controllato le mie azioni, le mie opinioni subirono un processo rivoluzionario. lo penso che in questo mondo si lavori troppo, e che mali incalcolabili siano derivati dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa; insomma, nei moderni paesi industriali bisogna predicare in modo ben diverso da come si è predicato sinora. Tutti conoscono la storiella di quel turista che a Napoli vide dodici mendicanti sdraiati al sole (ciò accadeva prima che Mussolini andasse al potere) e disse che avrebbe dato una lira al più pigro di loro. Undici balzarono in piedi vantando la loro pigrizia a gran voce, e naturalmente il turista diede la lira al dodicesimo, giacché il turista era un uomo che sapeva il fatto suo. Nei paesi che non godono del clima mediterraneo, tuttavia, oziare è una cosa molto più difficile e bisognerebbe iniziare a tale scopo una vasta campagna di propaganda. Spero che, dopo aver letto queste pagine, la YMCA si proponga di insegna¬re ai giovanotti a non fare nulla. Se ciò accadesse davvero, non sarei vissuto invano.

Printemps

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Musiche Maestre

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Lol Coxhill © 1990 Alessandro Achilli / Musiche Archives

Alla ricerca di Nomansland
Un ricordo di Musiche (1987/1997), una rivista di “altre musiche”

di
Gian Paolo Ragnoli

“Hello, hello, hello,
Is there anybody home?
I’ve only called to say I’m sorry
The drums are in the dawn
and all the voices gone
And it seems that there are no more songs”

Phil Ochs, No More Songs

Quando Ochs scrisse questi versi sconsolati, alla fine del sogno degli anni sessanta, sembrava che non ci sarebbero state più canzoni, nel senso, ovviamente, di canzoni che importasse veramente cantare, che significassero qualcosa al di sopra (o al di sotto) del brusio ammiccante della musica di consumo.
Periodicamente torna questo stato d’animo, ma altrettanto periodicamente, anche nei periodi più bui, c’è sempre una No man’s land da scoprire, da attraversare, da decifrare, dove ancora, o di nuovo, esistono suoni e parole che hanno il desiderio di rinominare il mondo.
Gli anni ottanta sono stati una di queste stagioni.

do you remember Eternit? – Tryptiqe

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Ho conosciuto Rosalba Altopiedi qualche tempo fa, a Torino. E’ una “femmina tosta” che lavora nel campo della sicurezza sul lavoro. Sei anni fa ha discusso la sua tesi in Sociologia della Devianza . Titolo: Né colpevoli, né vittime.Crimini d’impresa, analisi di un caso: l’Eternit di Casale Monferrato.
In questi giorni ci sarà il processo relativo. Per NI le ho chiesto di rispondere ad alcune domande. Alla breve intervista segue un documento estratto dalla sua tesi dove a parlare era l’allora presidente dell’Associazione delle vittime di Casale Monferrato. In chiusura di Post ho pensato di proporre un passaggio del romanzo di Girolamo De Michele, Con la faccia di cera (Edizioni ambiente) che ruota intorno alle vicende della Solvay di Ferrara.

Diario Inverso

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di Lucianna Argentino

Mimetizzata nelle quattro sillabe del mio nome
– oscurata la luce, sospesa la grazia –
tento una strenua difesa dal suo sguardo manicheo
e imito me stessa, ma senza ironia
piuttosto come un insetto imita una foglia.

**

a Damiano

Ecco lo splendore del primo giorno
dopo il buio serrato nel grido
di tutta la mia vita radunata là per accoglierti.
Ecco l’attimo del “sia la luce”
nell’aprirsi dei tuoi occhi
nel dilatarsi dei polmoni al passaggio
dall’acqua all’aria e il pianto inconsolabile dello strappo
– dopo milioni di anni impreparati ancora al nascere
così come al morire.

**

La caduta del muro di Berlino, prima volta

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di Bozidar Stanišić

La caduta del muro di Berlino, prima volta
ovvero quanto ci confonde la storia contemporanea

a Ermes Dorigo

La casa del mio amore
è piena di colline e di pascoli di elicrisio
per tetto ha la cupola del cielo e per lampada la stella del Nord
ha le porte di vento e le finestre di scrosci di pioggia.
La casa del mio amore è piena di grandi montagne
e di isole su cui scendono in volo le cinciallegre.

(Kathleen Raine, La casa del mio amore)

mattino ancora mattino in un altro luogo
quel mattino ricordo facevo colazione con il pane
il pane sfornato da un amico (leggeva libri
ah libri gracili! compagni di viaggio
bizzarri e ombrosi veli avvolti dall’oblio
sognando sogni non di laggiù
in una città che laggiù ancor oggi porta il nome della nebbia
che attenua i contorni di tutto perfino di ciò che è scomparso)

Urbanità 10

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di Gianni Biondillo

Farò di tutto per essere in prima fila, nel giugno del 2010, al concerto milanese di Claudio Abbado. Sono di quella generazione che non ha mai avuto la possibilità di sentirlo dal vivo nella propria città e questo mi fa sentire come un orfano. Forse davvero è il simbolo che qualcosa sta cambiando a Milano. Forse stiamo prendendo coscienza di essere per davvero un centro culturale di respiro internazionale. Una metropoli. Anche se, lo confesso, la provocazione di Abbado – suonerà solo se verranno piantumati 90.000 alberi in città – a me mette un po’ tristezza. Nulla da dire sulla nobiltà del gesto, ma il tema della qualità ambientale non dovrebbe merce di contrattazione di un singolo privato, ma l’imperativo doveroso di ogni realtà pubblica. Abbado ci dà lezioni di civiltà, non possiamo che ringraziarlo, ma ciò dimostra il nostro generale ritardo civico.

Classifiche Pordenonelegge-Stephen Dedalus, aprile 2009

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[Si pubblicano le classifiche estese del Pordenonelegge-Stephen Dedalus]

Narrativa

1. Giorgio Vasta, Il tempo materiale (minimum fax) 54

2. Daniele Del Giudice, Orizzonte mobile (Einaudi) 27

3. Tommaso Pincio, Cinacittà (Einaudi) 26

4. Tiziano Scarpa, Stabat Mater (Einaudi) 24

5. Vitaliano Trevisan, Grotteschi e arabeschi (Einaudi) 21

6. Francesco Piccolo, La separazione del maschio (Einaudi) 19

7. Gabriele Frasca, Dai cancelli d’acciaio (Sossella) 16

8. Gabriele Pedullà, Lo spagnolo senza sforzo (Einaudi) 15

9. Antonio Moresco, Canti del Caos (Mondadori) 12

10. Eugenio Baroncelli, Libro di candele (Sellerio) 9

Davide Brullo, Il lupo (Marietti) 9

Ade Zeno, Argomenti per l’inferno (No Reply) 9

Post In Translation : Jacques Dutronc

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Sept cent millions de chinois
Et moi, et moi, et moi
Avec ma vie, mon petit chez-moi
Mon mal de tête, mon point au foie
J’y pense et puis j’oublie
C’est la vie, c’est la vie

Settecento milioni di cinesi
e a me, a me, a me
che ho la mia vita, il mio da me
male alla testa e fegato a pezzi
Ci penso certo sì
Ma è così, è così

Saramago. Appunti di lettura

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di Massimo Rizzante

Le voci
Su Cecità di José Saramago

La storia di Cecità.
Un’epidemia sconosciuta rende ciechi tutti gli abitanti di una città sconosciuta. Un piccolo gruppo di uomini e donne viene posto in quarantena. Poi fugge ed erra attraverso un paesaggio di rovine e di morte. Guidato dalla moglie del medico – il solo personaggio del romanzo che non ha perso la vista –, il piccolo gruppo cercherà di ricostituire una comunità fondata sulla ragione e sull’amore.
Si tratta di una storia edificante? O dell’ennesima allegoria della notte etica nella quale homo videns sta precipitando?

After dark

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murakami
di Gianni Biondillo

Murakami Haruki, After dark, 178 pag., Einaudi, 2009, trad. Antonietta Pastore

È mezzanotte, Mari è una giovane studentessa universitaria, ha deciso – come forse da troppo tempo – di non tornare a casa e di passare la nottata leggendo un libro, in una anonima caffetteria di Tokio. La metropoli infinita non dorme, il battito del suo cuore pare rallentare ma non fermarsi.

Quale «qualità»?

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Classifica provvisoria Premio Dedalus (clicca per ingrandire)
Classifica provvisoria Premio Dedalus (clicca per ingrandire)

[Oggi pomeriggio Fahrenheit dedicherà al premio una diretta radiofonica]

di Paolo Di Stefano

Alberghi e ristoranti si misurano a stelle, a forchette e a cappelli: il loro valore viene definito dalla competenza di specialisti che ne giudicano la qualità complessiva, il confort, il servizio eccetera. Se l’unico criterio di valutazione dei ristoranti fosse l’afflusso del pubblico, ne dovremmo dedurre che McDonald’s è il meglio del meglio. Ma tutti sanno che non è così. Perché allora per un prodotto non meno nobile come il libro contano solo i dati di mercato? Era più o meno questa la domanda che si poneva, tempo fa, Alberto Arbasino. Del resto, anche per i film i risultati del botteghino vengono affiancati dai voti della critica e non si spiega perché il trattamento dei romanzi e dei saggi dovrebbe essere diverso, tanto più che le classifiche di vendita non soltanto registrano il gradimento dei lettori ma contribuiscono a loro volta a orientare le preferenze e i gusti. Raccogliendo la provocazione di Arbasino, il festival Pordenonelegge [dove dal 15 di questo mese sarà disponibile la classifica estesa N.d.I.] e il gruppo che ruota attorno al Premio Dedalus si sono mobilitati. E hanno avviato un nuovo tipo di graduatoria mensile delle uscite librarie mettendo insieme una giuria di cento Grandi Lettori. Che non sono solo critici e scrittori ma anche traduttori, giornalisti, storici, filosofi, consulenti editoriali, autori registi e attori di teatro e di cinema. Esclusi, in odore di conflitto di interessi (o di inevitabile imbarazzo), i dirigenti editoriali e i responsabili di pagine cultuali. Con un criterio di età, che comprende la fascia tra i trentenni e i cinquantenni. Da segnalare che altrove, per esempio in Germania, una simile esperienza non è certo nuova.

ZAMEL

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David Dalla Venezia, olio su tela, n 495, senza titolo
David Dalla Venezia, olio su tela, n 495, senza titolo

 

di Franco Buffoni

Casa di Aldo, prima notte: arrivo

So già che questa notte non riuscirò a dormire, meglio che cerchi subito qualcosa da leggere. Tra i libri illustrati qui spiccano: Sport e giochi nell’età classica di Giovanni Manetti, edito da Mondadori nel 1988, e un delizioso librino uscito da Interlinea nel 1995 – Il manuale dell’allenatore – compilato nel III secolo d.C. da Filostrato di Lemno: in copertina – sconvolgenti nella loro sensualità – i fanciulli pugilatori da un affresco di Thera del XVI secolo a.C., capaci con le loro treccine a punta di surclassare tutti i giovani Törless e persino la riproduzione lì accanto della tetra Scuola di pugilato di Max Slevogt, coi due giovani ignudi rimasti appesi in mostra in un castello di Ludwig. Ancora, tra i fuori formato, Querelle, edito da Ubulibri nel 1982, con i dialoghi del film e numerose foto a colori, intrecciato al relativo Oscar del 1981: Genet, Querelle de Brest, nella traduzione di Giorgio Caproni. Sfoglio e trovo sottolineato, con punto esclamativo accanto, un paragrafo: “L’uniforme da marinaio trasformava Gil. Si posò il berretto sui capelli, poi lo inclinò indietro con spavalda civetteria. L’anima affascinante e nervosa dell’arma era entrata in lui. Era diventato un membro di quella Marina da guerra destinata più a ornare la costa francese che a difenderla. Essa frastaglia e ricama un grazioso festone in riva al mare, da Dunkerque a Villefranche con, qua e là, alcuni nodi più fitti e più stretti che sono i porti militari. La Marina è un’organizzazione stupendamente congeniata, composta di giovanotti che attraverso tutto un tirocinio imparano come farsi desiderare”. Commento di Aldo in matita: “Oggi è così a Biserta”.

Francesca Genti: bimba urbana e ragazza kamikaze

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di Marco Simonelli

Persino tra noi quattro lettori di poesia contemporanea italiana persiste la convinzione che la lirica, intesa come genere poetico, sia esausta, esaurita, decisamente inadatta al nostro tempo se non addirittura dannosa: siamo abituati a bollare i brevi componimenti in versi a tematica amorosa con gli epiteti più spregevoli: “poeticume liricheggiante”, “sbrodolamento versificato”, “sentimentalismi adolescenziali”; ne stiamo alla larga e ne parliamo a bassa voce come mamme all’asilo preoccupate per un’epidemia di pidocchi. Ci piace l’epica poematica, l’impegno civile metapoetico, avanguardistico, neo-metrico o neo-orfico – il resto è raccolta differenziata.
A farci percepire la nostra imbecillità ci pensa questo piccolo capolavoro di Francesca Genti che porta il titolo di “Poesie d’amore per ragazze kamikaze”, liriche di quelle che “esprimono il sentimento più intimo del poeta”, come vuole la definizione canonica e non se ne vergognano affatto, anzi: la sfoggiano con una grazia sobria eppure compiaciuta, proprio come farebbe una giovane padrona di casa che indossa un semplice tubino nero capace d’esaltarne la bellezza e lascia alle matrone ingioiellate sue ospiti la tronfia convinzione che l’avvenenza sia strizzarsi in un Dolce&Gabbana leopardato.

Houellebecq. Appunti di lettura

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di Massimo Rizzante

L’al di là dell’amore
Su Piattaforma di Michel Houellebecq

È falso sostenere che gli esseri umani siano unici, che siano portatori di una loro singolarità insostituibile; per quello che mi riguarda, in ogni caso, io non percepivo nessuna traccia di questa singolarità.

Queste parole sono pronunciate in uno dei primi capitoli della seconda parte del terzo romanzo di Houellebecq, Piattaforma (2001), dal narratore e protagonista Michel, quarantenne funzionario contabile del Ministero della Cultura francese, prodotto di un sistema nel quale liberalismo economico e liberazione sessuale sono talmente sbandierati e oppressivi che chiunque osi, come fa l’autore, rappresentarli in tutta la loro cruda e grottesca realtà, è immediatamente tacciato di essere un reazionario o, peggio, uno spirito antimoderno.

Autismi 8 – Terapia di accoppiamento (2a parte)

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di Giacomo Sartori

[Chiedo scusa all’autore e ai lettori per il ritardo nella pubblicazione della seconda parte di questo Autismo, ero in viaggio. a. r.]

Secondo mia moglie ero bravissimo a fare il santerellino durante le sedute e a intenerire la terapeuta raccontandole ogni volta una vagonata di inverosimili castronerie. Fingevo di essere una persona attenta e disponibile, ostentavo la mia buona volontà e la mia buona fede, fingevo di languire e soffrire, ero proprio un attore professionista. Meritavo un premio di recitazione. Dovevo lanciarmi nel teatro amatoriale, era la mia via. E quell’ingenua si lasciava ammaliare, nonostante tutti i suoi diplomi e la sua fama. Anche lei in preda agli ormoncini maschili, come una qualsiasi sprovveduta.

Io le ribattevo che quella che mostravo durante le sedute era la mia vera natura. Nelle studio dalla terapeuta veniva fuori la mia anima profonda, che lei a causa del risentimento accumulato nel corso della nostra lunga convivenza non sapeva più vedere. Lei rideva sforzatamente come quando si vuol far capire che l’altro l’ha sparata davvero troppo grossa. Se solo un decimo delle cose che mettevo lì il mercoledì pomeriggio fossero state vere sarebbe già andata bene, mi diceva.