di Giacomo Sartori
[Chiedo scusa all’autore e ai lettori per il ritardo nella pubblicazione della seconda parte di questo Autismo, ero in viaggio. a. r.]
Secondo mia moglie ero bravissimo a fare il santerellino durante le sedute e a intenerire la terapeuta raccontandole ogni volta una vagonata di inverosimili castronerie. Fingevo di essere una persona attenta e disponibile, ostentavo la mia buona volontà e la mia buona fede, fingevo di languire e soffrire, ero proprio un attore professionista. Meritavo un premio di recitazione. Dovevo lanciarmi nel teatro amatoriale, era la mia via. E quell’ingenua si lasciava ammaliare, nonostante tutti i suoi diplomi e la sua fama. Anche lei in preda agli ormoncini maschili, come una qualsiasi sprovveduta.
Io le ribattevo che quella che mostravo durante le sedute era la mia vera natura. Nelle studio dalla terapeuta veniva fuori la mia anima profonda, che lei a causa del risentimento accumulato nel corso della nostra lunga convivenza non sapeva più vedere. Lei rideva sforzatamente come quando si vuol far capire che l’altro l’ha sparata davvero troppo grossa. Se solo un decimo delle cose che mettevo lì il mercoledì pomeriggio fossero state vere sarebbe già andata bene, mi diceva.










