di Mauro Baldrati

Da quel vecchio combattente della OAE (Old American Epic) che è, Clint Eastwood ha girato un film epico sulla solitudine, la vecchiaia, i padri, l’amicizia, il sacrificio. Walt Kowalski, il suo personaggio, riassume tutti i cow boys solitari che si sono avvicendati lungo le varie e transgenerazionali frontiere americane; porta con sé i generi, gli stili, l’azione, la violenza, la prepotenza del mondo, l’ingiustizia, contro cui i suoi eroi si sono ribellati, spesso in nome di valori mai dichiarati ma sottintesi di onestà, coraggio, difesa dei deboli. Li riassume in sé e li usa, li scambia. Per arrivare a una scelta finale che, forse, è il bilancio di una vita.
Walt, ex operaio della catena Ford, vive in una villetta dei sobborghi di Detroit. Un tempo questi erano i quartieri della piccola e media borghesia americana, gli operai specializzati, gli impiegati, col piccolo prato e la veranda. Ora tutto è in decadenza, le recinzioni sono sfondate, sull’asfalto cresce l’erba. Poche persone per le strade, bande perlopiù. La villetta vicino alla sua è abitata da una famiglia di asiatici, i “musi gialli” che lui, reduce dalla Corea, ha combattuto e ucciso.