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Autismi 4 – La mia città (2a parte)

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giovanni_segantini_004 di Giacomo Sartori

L’unica soluzione sarebbe spianare le montagne, in modo da permettere finalmente allo sguardo di spaziare, all’aria di circolare, al sole di tramontare sulla linea dell’orizzonte, alle idee di maturare serenamente. Il grigio svanirebbe, al suo posto farebbe capolino la gaiezza. Anche il consumo di etanolici distillati locali diminuirebbe drasticamente, una volta reintrodotte la luce e la gaiezza. Certo costerebbe parecchi soldi, certo ci sarebbero dei grossissimi problemi tecnici per lo smaltimento dei detriti – montagne di detriti, letteralmente – ma credo che ne varrebbe senz’altro la pena. Anche la magnifica Venezia non esisterebbe, se non avessero piantato milioni di pali di quercia – ottenuti radendo intere foreste – nell’acqua della laguna. È inutile tirarsi indietro alla minima difficoltà, quando è questione di assicurare un avvenire alle generazioni future. Si potrebbe più pragmaticamente mirare a dei risultati provvisori: spianare tanto per cominciare le montagne più alte e scoscese, quelle con più neve sopra, con più infrastrutture turistiche.

Ma non è detto che anche rasando le montagne tutti i problemi sarebbero risolti.

A gamba tesa: Trash Prop

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il …ehm…video, cioè la cosa.

(…) «Napoli aveva un problema, non stiamo a riparlarne, noi sappiamo quale – dice una voce in sottofondo – il governo è intervenuto. E quando il governo, lo Stato, fa qualcosa, è come se lo facessero tutti gli italiani. Ma ora ci vuole l’impegno di tutti, chi ci vive e chi ci viene. Facciamo in modo che resti così, è più bella, no?».
Alla fine la protagonista, l’attrice Elena Russo, in abito azzurro ringrazia e, sorridendo, chiosa: «Napoli. Bella ieri, bella oggi, bella domani».
Girato prima di Natale a Milano (e poi sottoposto a una serie di ritocchi), lo spot è firmato dall’agenzia Life Longari & Loman (direzione creativa di Andrea Concato), mentre la casa di produzione è Mercurio Cinematografica (regia di Fabrizio Ferri).

dal Mattino di oggi 3 febbraio .

Girato prima di Natale a Milano, leggiamo. Bene. Ma la monnezza era quella di Napoli o no?

Pagella
Concept: tra due e tre
Recitazione: che temperatura c’era a Torino oggi? O a Milano ieri…
Scrittura: NP

E voi che voto gli dareste?

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Malcolm Holcombe, i movimenti della solitudine

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di Marco Rovelli

I movimenti della solitudine. Un canto di stanza. Il dondolio al buio. Malcolm Holcombe, sul piccolo palco del Pegaso di Arcola, si muove avanti e indietro sulla sedia con la sua chitarra, il tronco che dondola, e il tronco trascina la sedia, le punte in bilico, un equilibrio di bilico, sta per cadere e non cade, perché è il ritmo che lo porta, il racconto del suo canto, il suo tale-telling senza fine, che coincide con l’ampiezza stessa del suo corpo che traccia forme nella penombra del piccolo palco. Digrigna i denti – e quando incrocia occhi sprofondati e acquisiti alla sua corporeità ride come giubilo di guerriero.

Scuote la testa, come se la musica fosse acqua che schizza dalla pelle del suo cranio.

QUEL BRUTTOCATTIVO DI PAPÀ CACCIARI!

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di Lucio Angelini

Della sua infanzia fanese Luchino ricordava solo qualche frammento: un treno che partiva, la testa del suo babbo che sporgeva da un finestrino e rimpiccioliva sempre più in lontananza, e soprattutto una filastrocca: ‘Staccia minaccia’. Gliela cantava sempre sua nonna Celerina, scuotendolo avanti e indietro, dopo averlo preso a cavalluccio sulle ginocchia.

“Staccia minaccia

il babbo è andato a caccia”

Disfare massa – Jacopo Galimberti

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fusibile-con-polveri

Una massa che non conosce futuro diventa qualcosa.
Qualcosa che fa paura.

Nello stato presente solo tentare si puo’
una costruzione
in un punto.
Erigere, in uno spazio inesteso, un progetto
in cui proiettarsi con tutto il proprio passato, accumulato, un getto
che è già un ponte verso
in un punto. Senza orizzonti,
stordirsi sul posto, dimenticare in tondo, torturare i gatti.
Uno spazio inesteso
in cui tra qualche mese, giorno, saremo noi
a essere sottratti,
a sottrarci.

E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare

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di Antonio Sparzani
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La traditio lampadis, cara agli scrittori dell’antichità, suggeri- sce che la fiaccola della poesia passi da un poeta all’altro in occasione di qualche avve- nimento importante nella vita di entrambi. Una tradizione, peraltro ben lungi dall’esser sicura, vuole che la morte di Tito Lucrezio Caro, il 15 ottobre del 55 a. C., sia coincisa con l’assunzione della toga virile da parte di Virgilio. L’ispirazione dell’uno, vuole la traditio, parola qui quanto mai ricca di significato, passò all’altro. Lucrezio, illustre poeta, celebrato in tutta la latinità, scrisse un lungo poema intitolato De rerum natura, la natura delle cose, e fu così, oltre che poeta, anche scienziato – allievo in questo di Epicuro – e studioso della natura di insospettato interesse. Quella che voglio farvi leggere è la fine del libro III di questa sua opera, nella quale si medita sulla morte e sull’inutilità di prolungare a tutti i costi la vita; forse un accenno ante litteram all’indesiderabilità dell’accanimento terapeutico, nel quale però si espone una peculiare argomentazione. Sarà bene riportare gli ultimi versi del libro, nella traduzione di Luca Canali, che sta nell’ottima edizione (Rizzoli 1990) a cura di Gian Biagio Conte, Luca Canali e Ivano Dionigi. Ecco qua: (qui, per chi volesse, il testo latino dell’intera opera,

Autismi 4 – La mia città (1a parte)

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giovanni_segantini_002 di Giacomo Sartori

La mia città è una città grigia infossata in una valle grigia costeggiata da minacciose montagne grigie. Il cielo è grigio, il fiume che si trascina stancamente è grigio, e anche gli stentati alberi sono grigi, con appena qualche moribondo riflesso verde marcio. Il dilagante cemento è paradigmaticamente grigio, così come i ridondanti asfaltamenti e le fumosità imprigionate dalla nefasta conformazione orografica. Persino i laghi sono stagnanti e grigi. Nulla da stupirsi che anche gli abitanti siano grigi. Il sole poveretto è costretto a tramontare altissimo nel cielo, come un disgraziato che venga impiccato in cima ad un funambolico patibolo. Ogni sera è lo stesso affliggente spettacolo. Per fortuna molto spesso piove, e quindi l’esecuzione avviene dietro una cortina grigia di nuvole.

La mia città è il posto tipico dove è impossibile essere felici.

Paradise Lost

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di Helena Janeczek

Al campus di Gerusalemme andava forte il wonder- pot, una pentola a forma di ciambella in cui si potevano cuocere dei dolci senza il forno. Andavano forte le torte al cioccolato- suppongo pure all’hashish, ma non ho avuto occasione di assaggiarle- la musica che anni dopo sarebbe diventata world, il tè a litri, succhi di frutta, birra. Dormivo nella stanza della mia amica che vi era approdata dopo la maturità e, finito il corso di ebraico intensivo, aveva cominciato i suoi studi alla Hebrew University. Era la vita libera, la vita adulta dalla quale mi divideva solo l’anno che mancava pure a me per lasciare la Germania, anche se non sarei tornata dalla terra dei carnefici alla terra dei miei avi.

Cox 18 is a space of hope.

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questions questions 2008

di Alfredo Jaar
Il divario tra la cultura italiana e la situazione attuale è scioccante e aumenta di giorno in giorno.

Introduzione alla cultura e alla degustazione del tè

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L’Associazione Italiana Cultura del Tè organizza a Bologna il corso:

Il mondo del tè – Introduzione alla cultura e alla degustazione del tè

Carlo Coccioli / Presenza dello scrittore assente

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[In occasione dell’uscita di Davide si riprende il pezzo pubblicato in vibrisse]

a cura di Giulio Mozzi

Parla una composita pattuglia di lettori di Carlo Coccioli: Franco Buffoni, Antonella Cilento, Giancarlo De Cataldo, Mario Fortunato, Bruno Gambarotta, Massimiliano Governi, Giuseppe Lupo, Marino Magliani, Sergio Pent, Alcide Pierantozzi, Giacomo Sartori, Giorgio Vasta.

“Quello con Carlo Coccioli è stato un esemplare incontro mancato. Non siamo mai riusciti a stringerci la mano, eppure non potrei dire di non averlo conosciuto”. Comincia con queste parole il capitolo che dedica a Coccioli, nel suo bel libro Quelli che ami non muoiono mai, Mario Fortunato (Bompiani 2008). Mi ha colpito sentirmi ripetere più volte queste o simili parole – quasi un ritornello – quando ho provato a domandare a un po’ di scrittrici e scrittori d’Italia chi sia per loro Carlo Coccioli. E, in effetti, non l’ho mai conosciuto, ma è come se l’avessi conosciuto, lo dico anch’io.

Richard Avedon, prima di tutto lo stile

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di Mauro Baldrati
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Forse è stato il fotografo più patinato della storia della fotografia. Tutto in lui era stile. Non solo i servizi di moda, le sterminate pubblicità per Versace o i redazionali per Vogue o Harper’s Bazaar dei primi anni ’50, fino alle soglie del 2000, anche i ritratti, i reportages. Persino il lungo racconto della lenta morte del padre, bianchi e neri crudeli, immagini di amore e sofferenza, era velato di stile.

Si può dire che Richard Avedon, fotografo del mito ultraglamour americano, abbia sempre cercato di filtrare la vita, in tutti i suoi aspetti duri, violenti, sporchi, con lo stile. Cercava i contrasti, l’eleganza e la bellezza contrapposta alla brutalità del reale, la rugosità di un asfalto che sembra grattare la schiena di una ragazza nuda, il volto delicato della donna in una oscurità ostile.

Photoshoperò #10 – detto anche dei due e più mondi

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immagine di copertina: Philippe Schlienger

Battisti-Englaro: se la magistratura è debole

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di Raffaele Cantone

All’attenzione dell’opinione pubblica in questi giorni vi sono due vicende La parte giudiziaria della triste storia di Eluana Englaro e la vicenda dell’estradizione di Cesare Battisti si possono leggere in chiave unitaria.
Parto dall’affaire Battisti; si tratta di una persona condannata all’ergastolo, dopo un regolare processo in contumacia. Si rifugia prima in Francia e poi in Brasile, dove, arrestato, non viene consegnato alla giustizia italiana perché considerato dal governo sudamericano un rifugiato politico.
E’ una decisione che lascia stupefatti perché nasconde (non molto in verità) un pregiudizio politico sul buon funzionamento della giustizia italiana.

Gradazioni di Viola

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(luxembourghiana)
bugger-purple

di
Viola Amarelli

Una rosa nel parco, l’allodola segnata
l’ala rotta come scontata la prevista fine,
la limpida fiducia nell’umano
la libertà danzata a passo zoppo, con quel cervello
oh, sì veloce e aperto e tutti quei capelli e il sorriso
di chi sapeva l’essenza del respiro
persino nelle notti da galera,
con la lealtà amorosa nell’errore che si rivela esatto
alla distanza – meglio morire che far morire gli altri,
segna l’affetto
oh, sì ci amava tutti, la piccina
tra i libri, gli scioperi e i comizi,
l’aquila ora ofelia nella sprea,
oh la piccina, grande
rosa polacca.

Raduno contro i crimini politici in Russia

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[Ricevo questo volantino da un’amica russa.]

No al silenzio sui crimini contro la giustizia in Russia!

Sapete qualcosa delle tragedie che avvengono nelle strade in Russia?

Pochi giorni fa, il 19 gennaio, un avvocato militante di sinistra ed intellettuale coraggioso, Stanislav Markelov, è stato ucciso a colpi di pistola, in pieno giorno, nel centro di Mosca. Aveva 34 anni. Una giovane giornalista militante, Anastasia Baburova, che camminava al suo fianco e ha cercato di fermare l’assassino, è stata anch’essa uccisa. Aveva 25 anni. La polizia russa ha già annunciato la mancanza di prove per trovare l’assassino ed i suoi committenti.

Licantropop

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di Alessandro Raveggi e Despairs!

Traccia Audio: Licantropop

Colapso Calypso

A Manuel Vázquez Montalbàn
Granada, già 2003

La missione si chiama:
POLVO ESTELAR
le autorità hanno aperto
un’indagine meschina
Disección de un alma errática
milioni di ecologisti hippie
richiedono di conseguenza
un poliziotto compromesso
malauguratamente
a guardia

salita al monte tauro

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di Massimo Bonifazio

quanta strada, si dice, e per ritrovare qui quanta lordura:
lattine dentro ai vicoli, cartacce, pozze di benzina,
i rivoli di sangue delle offerte che arrossano i solchi dei canali
scavati nel nero della pietra; li leccano i cani,
presi a calci dall’uomo che avanza con la palma
salmodiando un inno marinaro; all’altezza dell’arco
lo sorpassa, lo sfiora con l’orlo della veste,
intrisa di un presagio di riarso: residuo della festa, odore
dei cadaveri smembrati, gettati sul fuoco delle grate:
che i vivi presto mangeranno, all’ombra delle tende.

Lutto nel mondo del kebab

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[traduzione italiana: Lucca mon amour]

di Carole Boinet

L’informazione, che commuoverà molti, è passata inosservata. Il 22 gennaio 2009 è morto di cancro, a 87 anni, Mehmet Aygun.

Il tempo materiale

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di Gianni Biondillo

Giorgio Vasta, Il tempo materiale, 311 pag., minimum fax, 2008.

Nimbo, un ragazzino di undici anni, si muove, nel 1978, in una Palermo ferina e brutale, ragionando come un filosofo razionalista. Un “mitopoieta”, per dirla con l’appellativo affibiatogli dalla sua insegnante. Tutto è parola per Nimbo, tutto è metodica sperimentazione della assoluta diversità. La sua.

Voci fuori campo

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Campi di implosione
per suoni registrati e suoni elettronici, con video art
di
Luigi Esposito

(…) Sottrarsi, scomparire, nient’altro; trattenere dentro di sé ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo dell’anima i conflitti che l’agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi, cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso. (…) Assorbito dal vortice di questa galassia, riaffacciarsi su altri tempi e altri cieli? (…)
A che pro allora il ciclo tornerebbe a ripetersi?
Non so nulla, non voglio sapere, non voglio pensarci: ora, qui, la mia scelta è fatta:
io implodo.
(…)
Io implodo, crollo dentro l’abisso di me stesso, verso il mio centro sepolto, infinitamente.
Da quanto tempo nessuno di voi sa più immaginare la forza vitale se non sotto forma d’esplosione?
(…)
Sia lode alle stelle che implodono! (…)
È quello il mio polo, il mio specchio, la mia patria segreta. *
* Da «Esplodere o implodere – disse Qfwfq – questo è il problema»,
Cosmicomiche di Italo Calvino; Mondadori editore.