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sette quattordici ventotto

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di Chiara Valerio

Non ho niente in mano. Fossi un illusionista sarebbero cinque parole sorprendenti, di più, sarebbero un sipario, avrei addosso gli occhi di tutti, lucidi e pronti a stupirsi per la comparsa di un coniglio o di un mazzo di fiori, magari di una colomba. Io preferirei i fiori. Rossi gialli e bianchi, grandi e callosi, niente rose, niente verde. Le rose si sciupano e il verde imbrunisce. Nei mazzi degli illusionisti le rose non ci sono mai, neanche in quelli dei maghi da fiera. Perché si sciupano. Gli innamorati regalano rose perché l’amore si sciupa. Lo sanno, mentono e sempiterni regalano rose.

Grido di dolore

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Franco Buffoni

 

In un incontro pubblico con Adonis – il maggior poeta vivente di lingua araba – avvenuto a Roma la scorsa primavera, convenimmo che l’ostacolo maggiore allo scatto antropologico di cui necessita oggi la Sapiens-sapiens di cultura abramitica è proprio il monoteismo.

Che si tratti – come in questi giorni – di E vs M, o come spesso accade di M vs C o di C vs M o di M vs E (ma l’attacco più ferino venne scatenato 70 anni fa da C vs E), ciascun “gruppo” – prima di attaccare fa sempre riferimento al proprio dio unico e indivisibile. E’ il monoteismo in sé che – secondo Adonis e secondo me – dovremmo imparare a leggere come un retaggio mitico, con la sua coda di credenze babbonatalistiche: ordine del creato, diritto naturale, disegno intelligente…

Ebrei, Cristiani e Musulmani condividono lo stesso aeroporto, da dove nell’ordine per E decollò Elia sul carro di fuoco, per C Cristo con propellente autonomo, per M Maometto sul bianco cavallo alato. Potrebbero i loro saggi, grazie alla filologia, cominciare a pensare di avere a che fare con testi epici e non con testi sacri?

Potrebbero essi cominciare a insegnare agli innocenti che poi si massacreranno che non esistono popoli eletti, né vergini che partoriscono né profeti che decollano?

Lo stato delle cose in Occidente II

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di Massimo Rizzante

«All’inizio il dono dell’arte si manifesta attraverso la malattia. A volte mi sento una creatura in cui coesistono innumerevoli spiriti: l’artista 1, l’artista 2, l’artista 3…»
Di ritorno dal Sud Tirolo, trovo queste parole registrate da una voce umana nella mia segreteria telefonica.
La riconosco: è quella di Nedko Serbajenov, un «essere scelto», un «eletto», un «veggente», un «pittore» sintonizzato con ’universo. Ogni sua opera possiede un suo stile. Non ho dubbi: Serbajenov rappresenta a mio avviso l’ultima frontiera dell’arte visiva: nessuno, neppure Serbajenov, è in grado di stabilire quando il suo essere sarà sequestrato da uno dei suoi innumerevoli spiriti. Chi sarà l’autore del suo prossimo quadro? L’artista numero 1? L’artista numero 2? O l’artista numero 3, 4, 5…?

In difesa di Vittorio, un bersaglio facile

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[Si riprende l’editoriale del manifesto apparso ieri, 13.01.09]

di Maurizio Matteuzzi

Vittorio Arrigoni è il pacifista italiano dell’International solidarity movement (Ism) che racconta in diretta da Gaza per il manifesto il tragico giorno per giorno della «spedizione punitiva» (parole di Massimo D’Alema) che Israele sta infliggendo al milione e mezzo di palestinesi intrappolati nella striscia. Basta leggere i giornali, a cominciare dal Corriere della Sera – il numero uno – o guardare il Tg1 – la portaerei dell’informazione «pubblica» -, per capire che Vittorio Arrigoni, e quelli come lui (sfortunatamente troppo pochi), è un testimone scomodo di fronte ai silenzi e alla (clamorosa) disinformazione della stampa italiana e, in genere, internazionale. Per questo la notizia che un sito web americano ha messo in rete il nome e la foto di Arrigoni proclamandolo «il bersaglio N.1» dell’esercito israeliano provoca rabbia ma non meraviglia.

Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni

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[pubblichiamo un testo che riteniamo importante – Andrea Inglese, Mattia Paganelli, Domenico Pinto, Jan Reister, Marco Rovelli, Antonio Sparzani, Maria Luisa Venuta]
di Naomi Kleinthe Nation – via Megachip

È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all’apartheid in Sud Africa.

Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all’epoca dell’apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.

La rosa del Bengala

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di Marco Rovelli
La prima volta che ho incontrato i bengalesi romani c’era ancora il governo Prodi. Era il 28 ottobre 2007. Una manifestazione autoorganizzata, con migliaia di immigrati, la maggior parte dei quali irregolari e clandestini, per rivendicare il permesso di soggiorno per tutti. Per rivendicare il diritto al nome. C’era ancora quel governo che aveva suscitato illusioni negli immigrati, e che quelle illusioni stava rapidamente frantumando. “Noi vogliamo – permesso di soggiorno!” – era il grido che di tanto in tanto erompeva da quella folla, e trascinava immediatamente tutti quanti in un solo ritmo, in un solo volere.

L’invenzione di Palermo

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di Giuseppe Rizzo

Un cattivo odore che non è pupù o monezza vuol dire che qualcuno è morto o sta per morire. Al funerale di mamma c’era puzza di elefanti morti, anche se non so che odore fanno gli elefanti quando muoiono. Ne ho odorato uno da vicino quando è venuto il circo alla Fiera, ma era vivo e mamma mi ha proibito di sparargli col mio lanciarazzi. Comunque. Faceva puzza lo stesso, pure da vivo. Papà non parlava da un anno. E aveva un odore strano.
La sera che sono venuti a darci le chiavi dell’appartamento di via Croci, il tizio col cappottone nero che parlava con papà faceva puzza di asini vecchi e gomma bruciata. Quando Maria ha raggiunto la mamma, invece, anche se aprivi bene il naso non riuscivi a sentire niente. Maria sapeva di gomito – l’ho leccata da piccola, quando è nata – e i gomiti non odorano. O almeno io non ho mai sentito dire a nessuno: «Puzzi come un gomito».

Poesia Presente 2009

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Poesia Contemporanea in Monza e Brianza
La Poesia nella Voce
Terza edizione

La Poesia nella Voce prende fiato per la terza volta con un respiro sempre più internazionale. Non solo “scrivere la voce” ma anche “dire ad alta voce” è un’esperienza cruciale per condividere la Poesia di un Autore e comprenderne totalmente la poetica.

Giovedì 15 gennaio h. 21.00, MONZA Teatro Binario 7
ORACOLI
Giuliano Mesa, reading + video intervista in anteprima di [A]live Poetry
Nicola Frangione, reading/performance intermediale con video -prima assoluta-
Dome Bulfaro & Ensemble Danno Compound, con Enrico Roveris, Marco Bin, Massimiliano Varotto e 12 batteristi

www.poesiapresente.it – info@poesiapresente.it – 347/0685951

Un mondo a parte

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di Helena Janeczek

Al cimitero di Orta Nova, in Puglia, c’è’ un piccolo mausoleo di marmo bianco simile a quelli dedicati al Milite Ignoto. Ma il ragazzo che vi è sepolto non è caduto in guerra. E’ morto nei tempi di pace che hanno generato l’Europa unita, è morto perché credeva che potessero circolarvi non solo merci e capitali, ma anche le persone come lui che vogliono scambiare la forza delle loro braccia con qualche soldo. E’ morto, in qualche modo, perché ignorava il legame antico che unisce guerre e lavoro.
Ne serba invece memoria una vedova che andando tutti i giorni al cimitero, una volta capita davanti a un rettangolo di terra segnato solo da una croce di ferro con scritto sopra SCONOSCIUTO.

“Piove sempre sul bagnato” di Giorgio Mascitelli

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[Giorgio Mascitelli, Piove sempre sul bagnato, Coniglio Editore, 2008]

di Sergio La Chiusa

Nei pressi della Stazione Centrale di Milano, un senzatetto riceve da uno sconosciuto due banconote da cinquecento euro, come segno d’ammirazione per la sua vita libera.
A partire da questo evento inatteso, il barbone comincia il suo vagabondaggio per la città per comprarsi un cappotto nuovo per l’inverno, convinto com’è di essere finalmente “ammesso al popolo delle compere”. Passando attraverso una serie di peripezie tragicomiche, ripetutamente respinto, intercettato e cacciato dai negozi e dai centri commerciali, imparerà invece che “in alcuni casi, contrariamente alle leggi implacabili del profitto, il denaro puzza per una sorta di proprietà transitiva” e persino l’evento miracoloso deve inscriversi all’interno delle norme che regolano le relazioni sociali.
Riceverà un posto letto in un dormitorio, pasti caldi, elemosine, ma tutti i suoi tentativi di essere “ammesso al popolo delle compere” si riveleranno fallimentari.

Enciclopedia tascabile del jazz anni ’70

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 di Sergio Pasquandrea

Ma chi l’ha detto che il jazz è morto negli anni ’60?

A parte il fatto che secondo me il jazz è ancora vivo e vegeto (ne ho parlato qui), ci sono anche – ad esempio – gli anni ’70. Un decennio di grande creatività, in cui sono stati pubblicati moltissimi capolavori. 

Per questo ho sempre trovato strana la carenza di letteratura su questo periodo. Gli anni ’70, in effetti, sono una sorta di buco nero della critica e della storiografia jazzistica. Molte storie del jazz saltano il periodo a pie’ pari oppure gli dedicano poche veloci annotazioni, trattandolo come poco più che un’appendice degli anni ’60. Fra quelle che conosco, solo il datatissimo Libro del jazz di J. E. Berendt (fuori catalogo da almeno un quarto di secolo, a quanto ne so) vi dedica un’attenzione abbastanza approfondita. Esiste, ma non ho mai avuto modo di leggerlo, un vecchio libro della Gammalibri (Aa. Vv., Il jazz degli anni Settanta, Milano 1980); un paio di interessanti, e purtroppo brevi, saggi di Stefano Zenni e Adriano Mazzoletti si trovano in un volume di qualche anno fa (Dopo i Beatles. Musica e società negli anni Settanta, a cura di Umberto Bultrighini e Gianni Oliva, Carabba, Lanciano 2003).

Sarebbe bello se qualcuno di quelli che c’erano – musicisti, critici, semplici appassionati – cominciasse a tentare un bilancio, una sintesi, o perlomeno una panoramica. In attesa di tempi migliori, ci provo io, con i miei poveri mezzi e le mie conoscenze parziali. Accontentatevi.

Gradazioni di Viola

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À gauche il s’agit d’un violet saturé RVB composé de 100% de bleu et 75% de rouge. À droite c’est ce même violet séparé en quadrichromie, ce qui donne 51% de cyan et 65% de magenta. Comme on peut le voir, la séparation quadri ne parvient pas à restituer un violet pur.

( Una fra tante)
di
Viola Amarelli

Fard. Terra. Rimmel. Matita, per gli occhi e per le labbra. E stretti i capelli lucidi, cortina nera di arabie e medioriente. Maschera tribale, jeans improbabili su fianchi, pancia e cosce, chili di carne e grasso che strabordano, gonfiando un bomber arancio, lo stesso del rossetto. E nelle feste, parenti e capitoni, in motoretta, cacciarla la pistola, una fra tante a casa, premi il grilletto. Sparando, all’aria, al mondo, rumore di casino come un tamburo rituale a richiamare sorte, dire son io son qui venite, soldi e. Nessun ragazzo, nessun uomo da un pezzo. E ritrovarsi con uno morto ucciso. Sfortuna nera. Io non volevo, no, gesù, davvero.

Caro bimbo ti penso

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Molto di quel che c’è da sapere è nelle fotografie di Vittorio Arrigoni.

Forse il nostro pensiero è semplice e ci mancano le sfumature sempre così necessarie nelle analisi, ma per noi, zapatisti e zapatiste, a Gaza c’è un esercito professionista che sta assassinando una popolazione indifesa. (Subcomandante Insorgente Marcos. Messico, 4 gennaio 2009).

Un commentatore di Nazione Indiana ha tradotto l’intervento da cui sono prese queste parole.

Libertà di parola (un appello)

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[Ricevo e volentieri pubblico.]

In merito all’annullamento dell’incontro tra Valerio Morucci e gli studenti di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma – incontro sul tema “Cultura violenza memoria” previsto per il prossimo 12 gennaio –, esprimiamo profondo disagio nel constatare che all’interno di una Università, luogo deputato al libero confronto delle opinioni e all’approfondimento della conoscenza, non vengono garantiti diritti basilari come quelli sanciti, nella nostra Costituzione, dall’articolo 3 (pari dignità sociale di tutti i cittadini) e 21 (libertà di parola). Nonostante il pesante giudizio storico e morale che è tuttora doveroso esprimere sull’operato delle organizzazioni di cui Valerio Morucci ha fatto parte negli anni Settanta, e sulle azioni di Morucci stesso, i principi espressi dagli articoli sopra citati sono indisponibili. Si aggiunga a questo che Morucci è stato fra i primi a rinnegare la lotta armata e a fornire contributi per la comprensione delle dinamiche eversive che hanno tragicamente segnato il Paese trent’anni or sono, che proprio in virtù di questa serrata autocritica e di questa disponibilità al confronto e all’esame ha potuto già in passato partecipare ad incontri pubblici e dialogare con alte cariche istituzionali e politiche.

Gaza, chi ha iniziato?

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[Ieri sul Corriere della Sera ho letto la risposta di Sergio Romano ad una lettera sulla guerra a Gaza. Ora, tutto possiamo dire dell’ex ambasciatore – autore, tra gli altri, di I falsi protocolli. Il “complotto ebraico” dalla Russia di Nicola II a oggi– tranne che sia un antisemita estremista di sinistra. Proprio per ciò vi allego domanda e risposta (scaricate dall’archivio del Corriere) pubblicate dal giornale della borghesia milanese e non certo dal solito circuito di controinformazione o di quotidiani che “noi” siamo abituati a leggere. G.B.]

Nel suo intervento intitolato «Gaza: le elezioni israeliane e il silenzio di Obama» pubblicato sul Corriere della Sera del 3 gennaio, lei attribuisce la scelta dei tempi dell’ attacco israeliano a svariati motivi tra i quali le imminenti elezioni in Israele e il cambio della guardia alla Casa Bianca. Ma non prende nemmeno in considerazione la vera ragione dell’ attacco: la necessità di sopprimere i lanci dei missili di Hamas dopo il rifiuto di questa organizzazione terroristica di estendere la tregua. La sua insistenza nel negare l’ evidenza e nel proporre una dietrologia fatta di luoghi comuni sottintende che lei ritiene che Israele non abbia il semplice diritto di difendersi in modo opportuno quando lo esige la congiuntura strategica.
Daniel Gold

Cari lettori,
Vi sono almeno due modi per giudicare un conflitto e pesare le responsabilità dei contendenti. Il primo è quello di ricostruire la dinamica delle vicende che hanno preceduto l’inizio delle ostilità. Chi ha sparato per primo? Chi ha assunto l’atteggiamento più provocatorio? La risposta a queste domande è indubbiamente: Hamas.

Insieme

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di Antonio Sparzani

I’ cominciai: “Poeta, volontieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri”
(Dante, Inferno, canto V, vv. 73-75)

Per accedere a un’idea bisogna cominciare a girarle attorno; si comincia scavando nelle parole che la rappresentano, che la dicono nella lingua che tutti conosciamo e che usiamo per parlare con i nostri simili anche, ma non solo, di quest’idea. Come la mettiamo con l’idea di insieme? Che, come certo saprete tutti, in matematica ha poi avuto grande fortuna, almeno a partire dalla fine dell’Ottocento. Lo saprete perché da anni ormai alle scuole medie si insegna una cosa che orribilmente chiamano insiemistica, ma che ufficialmente e in buon italiano si chiama teoria degli insiemi.

Quando fu messa insieme la parola insieme?

Trevisione, il mondo il Al

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di Gianluca Garrapa

Radicale solitudine

 

Avevo disorganizzato la vita per la radicale solitudine acquisita. Gualtieri non era sparito. Se ne era voluto andare, sparire come Majorana. Per non far pesare la sua scelta, per non farmi sentire in colpa. Per non farmi sentire inadeguato, anche lui. Leo era deluso. Preso in un gioco. Preso nel giro di vite dell’insignificanza. Non riusciva a scordare che quel passato c’era. Restava. Rimaneva conficcato come una fastidiosa scheggia di legno nell’epidermide. Come una segreta predestinazione. Occhi in fuga verso orizzonti simili a pareti di una grotta, i suoi occhi-pipistrelli. Quella violenza non voluta, subita, si era trasformata in autodistruzione. E il sogno, disegnato sull’ombra di una tenda leggermente mossa dal fresco delle sera d’estate, devastava gli angoli della sua coscienza tesa a non rischiare un’altra caduta.

Finestre e prospettive su Gaza

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Serve avere una finestra su Gaza, ora? Questo fatale divenire testimoni oculari dell’ingiustizia, ci rafforza? Guardando quel poco di ciò che si può o si riesce a guardare – corpi a brandelli di bambini, donne, vecchi, “miliziani” – diventeremo più efficaci, reattivi, o più intorpiditi? Leggere l’elenco delle bombe cadute sugli edifici di Gaza, elenco che troviamo nel blog del ventitreenne Sameh Habeeb, ci rende più consapevoli? Non lo so. Voglio solo inserire qui, su NI, delle finestre su Gaza, o forse solo delle feritoie… Ma anche delle prospettive, come l’articolo di Ilan Pappe Israele e la pace, apparso su “Lo straniero” nel 2005, e quello di Raya Cohen Israeliani, palestinesi. Guerra, politica fondiaria e identità, apparso nel 2007 sul sito “Jura Gentium”. E’ uno sguardo strabico che viene richiesto, ancora una volta, oggi: che sappia non sottrarsi all’orrore, ma che sappia anche porre a distanza, analizzare, definire il disegno politico che da così tanti anni legittima l’occupazione, da parte israeliana, dei territori palestinesi.
A. I.

[Ilan Pappe è docente di Storia mediorientale all´Università di Haifa; Raya Cohen è docente di Storia alle Università di Tel Aviv e “Federico II” di Napoli. Queste due “prospettive” riportano l’attenzione sulla dissidenza intellettuale israeliana, come già avvenuto in NI con L’altra faccia di Israele, un post elaborato da un gruppo di indiani e non.]

Gradazioni di Viola

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(doxa)
di
Viola Amarelli

Affogammo, tra cumuli di
plastica, allumini, tubi già innocenti
incuranti metastasi di merci
ingoiammo fossili refoli di vento, l’eccedenza di stock, i filamenti
brillavano inesausti prendi prendi
intossicammo la mielina coi midolli,incapsulati, polistirolo espanso
colorando di nero seppie ataviche,
pillole e polveri per tirare avanti.
Bruciammo terra, i polmoni, le radici
continuando a ripeterci bugie,
sopraffatti, sconfitti, aspettando ci regalassero
gli avanzi, mentre ci chiedevano insistenti
su cavi, satelliti, diapason impazziti
se fossimo – e perché no – felici.

Autismi 2 – Mio suocero (2a parte)

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di Giacomo Sartori

Tra un lavaggio di piatti e l’altro tornavo da quello che era stato per quattro giorni mio suocero. Quel mio suocero che non avevo frequentato da vivo, e che adesso aveva pensato bene di morire. Che era morto e faceva il morto rispettabile tra quella gente preoccupata di mostrarsi rispettabile. Gruppetti di parenti e di conoscenti stavano un tempo più o meno lungo in silenzio al suo capezzale, tenendo gli occhi compostamente rivolti verso il pavimento, o anche bisbigliando qualche frase compita ai loro vicini, come si parla in presenza dei morti. Poi uscivano sospirando dalla stanza, e affrontavano l’altra faccia del lutto, quella sociale. Nei loro occhi ricompariva il compiacimento di star facendo la cosa giusta al momento giusto. E erano sostituiti al capezzale da altri contegnosi gruppetti. Era una veglia funebre che non finiva mai.

La prima bugia

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di Luca Ricci

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– Che cosa stai facendo?
– Devo tagliare i gambi.
Rimanemmo così, io a tagliare e mia moglie a guardare. Fui costretto a tagliare molto più del previsto. Alla fine riuscii a infilare le rose nell’unico vasetto che avevo trovato.
– S’è staccato qualche petalo.
– Vorrà dire che non sono freschissime.
– Forse ha voluto risparmiare anche sulla qualità.