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La fame

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di Nina Maroccolo

Rinnovamento della colpa: il nemico guerrafondaio.
Un continuo scoscendere per riproporre padri e madri divoratori. La temuta necessarietà di promulgare i massimi sistemi endocrini, endogeni ed egoici, nei quali il castigo ascende verso la tanto sospirata redenzione: a seguire i giorni del perdono.
E c’è un capro fra noi. Tra noi, una creatura disabitata. Rea per dovere inconsapevole, avvilita nelle stazioni d’un deserto animale. Un capro abbandonato, costretto a vagolare tra dune epiteliali sino allo sfinimento. Ad espiare qualcosa che è nostro: non suo.
Un povero Cristo alienato, di cui l’astrazione –o distrazione– darwiniana.

Lettera agli amici italiani

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di Karl Betz

Cari amici: Giovanni cattivo (quello di Porto Torres), Giovanni buono (quello di Alghero), Nicola, Lia, Laura, Guido, Adda, Maria-Antonietta, Giancarlo (fiero pastore), Daniel,

posso raccontarvi qualcosa della mia famiglia?

50 anni fa una sorella di mio padre, zia Rosl, è emigrata in Australia. Là vive, sposata con un greco, John Anagnostou. Sono sempre stato orgoglioso di avere uno zio greco, anche se acquisito, perché il greco, al liceo, è sempre stata la mia materia preferita. Quei due zii però, non li ho mai conosciuti personalmente. Parlando al telefono con zia Rosl si sente ancora chiaramente lo spiccato dialetto francone (della zona di Würzburg), frammisto all’accento inglese.

Tra vecchie carte, pagelle scolastiche ecc, zia Rosl ha scoperto un documento che per me possiede un alto valore sentimentale. Ora me lo ha spedito per raccomandata dalla Tasmania:

Si tratta dell’Entlassungsschein (foglio di scarcerazione) di mio padre Alphons Betz, dal campo di concentramento di Dachau, reparto prigionieri politici.

Da “L’uomo avanzato”

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di Mariano Bàino

(…)
Ho anche la percezione della mia inermità. Ma non è solo questo. Oltre che vulnerabile, sento il corpo come trasparente, formato davvero in prevalenza da acqua. È netta la sensazione che messaggi animali passino attraverso il mio corpo. Da principio la cosa è troppo snervante per permettere la concentrazione; ma dopo un po’, quando nulla è successo di minaccioso per la vita, il ritmo della discesa e della risalita per respirare diventa tranquillizzante. Il mare è calmo, le ondate che si rompono sulla scogliera non fanno più rumore che il pulsare del sangue. Se proprio dovesse assalirmi l’inquietudine, immaginerò la scogliera come la vedo di giorno, il suo circondare l’isola da più di un lato, alla distanza forse di un chilometro; la sua corsa parallela alla spiaggia e alle rocce. Sembra uno scarabocchio fatto nel mare da un gigante che avesse voluto ricalcare la forma dell’isola con un tratto continuo di gesso, ma si fosse poi stancato prima di finire. All’interno, l’acqua, se la penso com’è di giorno, consiste in un azzurro chiaro come la coda di un pavone, e vi si vedono le rocce e le alghe come in un acquario; al di fuori il mare è di un blu scuro. Quando la marea sale lascia lunghe strisce di schiuma sugli scogli.

La pornocrisi

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di Franz Krauspenhaar

1. L’eroe in disarmo del piacere palliativo

Il porno, questo conosciuto. Iniziazione per taluni, calmante quasi benzodiazepinico per altri, vizio assurdo per coloro che ne sono schiavi, vedi alla voce dipendenza.
Quasi nessuno ammette di averne visto uno, perlomeno in Italia, paese bello e impossibile. Le donne lo detestano in maggioranza, evidenziandone giustamente gli aspetti mercantili, di meccanica corporale, di svalutazione estrema della mente e del corpo delle donne. Il porno, come genere letterario e cinematografico, esiste da sempre. Ma naturalmente l’evoluzione della specie pornografica ha reso il genere stesso più fluido, variegato, diversificandolo in settori ovviamente molto “particolari”. Anni, decenni di sterminata produzione cinematografica, migliaia e migliaia di attrici e di attori, storie confessate e inconfessabili, tragedie: suicidi, omicidi, morti per droga e per AIDS, come negli anni Ottanta accadde a John Holmes, l’uomo più ” ben dotato” del grande schermo.

Incontri letterari sulla riviera di Ulisse

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Libri sulla cresta dell’onda 2008

LAVORO DELL’ALBA (*)

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di Nadia Agustoni
 
Ugo Mulas, Milano 1953-54

Ugo Mulas [ 1928 – 1973 ]
da www.ugomulas.org

 

lavoro dell’alba

 

Lavoro dell’alba, shock mattutino
l’aspettare, tenere l’attesa che è acino maturo,
confondersi al quadrare dell’ora
far su le cose con gesto grezzo e grande
che t’impari quel che è creato
t’impari un sonetto di silenzi
prima del rumore delle ferramenta
che esplodono quando ti maciulla il costato l’ingranaggio
e tu sei arnese che pensa e non pensa ch’è presto ancora
e tardi farai anche alla tua veglia

che hai un sonno vivo
un sonno di redenzioni e d’innocenza
dove ti tocca nascere
ma nasci appena un po’ e bambina
che avrà neanche parola neanche l’asciugarsi del pianto
né un angelo infermo che si biasima.

Maschio adulto solitario

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[Cosimo Argentina ha da poco pubblicato questo libro. Se andate sul link avrete maggiori delucidazioni. Qui di seguito uno stralcio che ci regala l’autore. G.B.]

di Cosimo Argentina

Alle otto di sera tornai a casa mia e lì trovai l’allegra brigata seduta a tavola.
«Lui è Paride Vorca, Dànilo, te lo ricordi vero? Ha un appartamento sopra di noi.»
Come no. Me lo ricordavo sì, il moscone. Come non ricordarsi di un uomo alto un metro e sessantacinque che pesava cento chili,f accia da mastino napoletano e occhi da bue muschiato: questo era, il signor Vorca. Un incrocio tra un cane e un bue muschiato con un alito da fuga nei campi e occhiali con la montatura in osso che cercava di usare il meno possibile ma che gli erano necessari, al bighino 88.
Lui mi strinse la mano e me la stritolò per farmi capire un po’ di cose. Quella stretta era: “Bello, qui le cose sono cambiate, come vedi… ormai ci sono nuovi equilibri… come vedi… qui la situazione è sotto controllo e anche quella rompicoglioni di tua sorella s’è adeguata… come potrai intuire… perciò se sei venuto a rompere questo idillio è giusto che tu sappia…” ecco cos’era quella stretta di mano.

Genealogia del male – 1

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Bambini

di
Matteo De Simone

“Quanti anni hai?”
Lei fa quattro con le dita.
“Sei piccola”.
Il bambino la prende per mano, attraversano il corridoio della casa vuota. Fuori arrivano i colpi dei sassi contro il muro dei grilli, ma i colpi si attutiscono mentre i due affondano nella semioscurità del corridoio, fino al bagno. Hanno corso molto. In montagna d’estate certi giorni può fare caldo.
Chiude la porta a chiave. Solo lui e lei, nel bagno. L’appartamento si interra proprio in quel punto. Dalla finestra entra poca luce. Sa che mamma è uscita a fare la spesa e non ci metterà meno di mezzora. I fratellini sono fuori. Continuano coi grilli contro il muro. Gli altri li stanno ancora cercando, ma non entreranno mai dentro una casa che non è loro. Si stuferanno. Torneranno indietro a far vedere ai pidocchi dell’asilo là fuori cosa vuol dire ammazzare una grande quantità di grilli. O sezionare i ragni.
Eccoli, solo lui e lei.

È l’amore la bestia più calda

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di Francesca Genti

I.

Sono a Milano. In via Farini. In bicicletta.
Davanti a me un cielo soprannaturale:
gommoso, grigio, gioiarespingente.
La Settanta che cerca di bucarlo,
che arranca verso un sole inesistente.
Sale il cavalcavia, sprofonda,
svolta in direzione Porta Volta,
porta le persone a lavorare.

È una visione molto futurista.

Sono in bicicletta e, come loro,
sto dirigendomi sul posto di lavoro.

Nico Stringa, due poesie

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di Nico Stringa

I

non si sa cosa fare
per un nome che avviene

dissimile a tutti
(è così precedente)

parole, inseguitelo!
non si sa come dire
un tempo da un altro

la continua esistenza
(sommare, sottrarre)

parole, fuggitelo!

II

io come io
dal Molto colpito dal Poco
avvinto
che unire non posso non voglio
dividere

(alla larga l’Immondo
il Decidere)

…………………

se nell’Incerto vedrò
me
all’amore arreso al lutto
mancare ai molteplici al Non

ricorda che era per essere
tu e tutto

Diorama dell’est#12

4

di Giovanni Catelli
Praga, stazione centrale
Verso Karlštejn

Vorrei partire, una sera della vita, verso Karlštejn.
Il locale mi aspetta, sempre, al primo binario di Hlavní Nádraží, alle diciassette e venticinque: entra in stazione, lentissimo, si arresta come in sogno, accanto al marciapiede basso degli anni lontani, apre le sue porte, ormai elettriche, sui neon fiochi, le plastiche usate, azzurrine, l’aria speciale dei vagoni deserti, concessi dal tempo a giorni remoti, e mai più ritornati al presente.
A volte passeggio, lungo il binario, aspetto viaggiatori che non giungono, impiegati, studenti che s’abbracciano prima del partire, controllori sospettosi, macchinisti che fumano all’ora perduta, guardo sul muro l’elenco dei ferrovieri caduti, contro il lavoro, contro l’invasore, arrivo alla fine della volta d’acciaio, già si respira un’aria di fuga, vedo i palazzi, la città che sale, forse la vita lontana, che guarda, tra i ferri e i binari, chi ancora la insegue, s’attarda, e non sa, quale via gli condoni l’attesa e la pena.

Le cose che ci circondano

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di Zachary Schomburg traduzione di Francesca Matteoni

Il mondo intero era là. Il magnetico polo nord era là. L’isola Prince Patrick fu presentata all’isola Prince of Wales e queste non furono le uniche isole ad essere presentate ad altre isole. Una stanza era completamente riempita dello spazio tutto attorno le isole.

Quando mi hai chiesto se ero un’isola, ti ho detto che non lo ero. Quando mi hai chiesto di raggiungerti nel salotto, ti ho detto che non potevo, che comunque io ero un’isola non potevo raggiungere nessuno da nessuna parte.

Triste, mi hai rivelato che tu non eri le due cose che si sporgono fuori nel mare come credevo, ma il piccolo spazio di mare grigio tra di loro.

Allora io ti ho detto che in effetti sono l’intero Oceano Artico, a volte.

Non aprite quella porta

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Il Mostro della Porta Accanto
di
Azra Nuhefendic

Se questo è un uomo
Primo Levi

Nel giugno del 1992 all’ispettore della polizia di Visegrad, Milan Josipovic, giunse una comunicazione dal direttore della diga sul fiume Drina, a Bajina Basta, con l’esplicita richiesta ai responsabili “ di rallentare il flusso dei cadaveri che galleggiavano lungo il fiume perché bloccavano le turbine della diga”.

Ai due, principali responsabili, di quella “seccatura”, i serbi bosniaci Milan Lukic e suo cugino e complice Sredoje Lukic, proprio in questi giorni è cominciato il processo davanti al Tribunale dell’Aja.

RADIOBAHIA: racconti per canzoni [010]

2

di Marco Ciriello

RADIOBAHIA: suona

“Chaser”
dei Bellini

10.
L’orfano occhi blu, seduto sul muro, conta i vagoni del treno che passa. Gli pare d’inghiottire la vita, rubando le facce dietro i finestrini. E quando il treno scompare si perde tra macchie di gasolio e traversine. A chi gli chiede perché bruci il tempo, risponde: «mica si può stare qui, sommersi sotto il peso definitivo. L’amore ha bisogno di conferme».

Autoritratto

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di Leonardo Palmisano

Io non ho un lavoro. Non ho i soldi per fare la spesa. Non ho i soldi per fare benzina, e quando ce li ho aspetto la sera per andare al distributore, perché dopo le otto la benzina costa meno.
Io non ho una casa mia, e non potrò mai averla. Non ho i soldi per comprarmi dei vestiti nuovi, nemmeno adesso che ci sono i saldi. Non posso più prendere il pesce in pescheria o la carne in macelleria perché costano troppo, e così guardo su internet le offerte dei supermercati e aspetto che le spigole scendano a cinque euro al chilo, oppure mangio pollo perché è meno caro.
Io non ho speranze di vivere in un paese migliore, e non sono d’accordo con nessuno. I miei amici stanno tutti meglio di me e sono felice per loro, ma a volte li invidio, e forse è anche per smettere di invidiarli che spero di avere anch’io, prima o poi, una vita decente.

BlogBabel e i libri: quello che c’è da sapere

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Oggi riapre BlogBabel dopo 4 mesi di pausa. Al suo interno c’è un motore di ricerca per i libri di cui parla la rete italiana: se sei tra i libri per passione o per lavoro, ecco cosa devi sapere:

di Jan Reister

Dalla Milano da bere a quella da vomitare #2

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di Franz Krauspenhaar

1. Milano e’ diventata più triste

Milano, qualcuno ha scritto recentemente, in fondo è una città qualsiasi di medie dimensioni, come ce ne sono migliaia nel mondo. Non è l’inferno in terra che qualcuno esageratamente rappresenta e nemmeno un porto ideale, mancando delle attrattive tipiche di ogni città del cuore che entra nel mito e nell’immaginario collettivo dalla porta (o Porta Romana) principale.
Io non sono d’accordo; conosco bene questa città, e penso che ogni luogo è figlio di una storia precisa, e le grandezze, come le cadute, sono direttamente proporzionali a tante di quelle cose, o variabili impazzite, che stabilire classifiche tra le città è come se si volesse far pagare un affitto diverso per ogni piano della Torre di Babele.

Miracolo a Milano (Roma)

2

Dalla neue Musik alla neue Literaturoper

di Cristoforo Prodan

Miracolo a Milano

Teatro musicale contemporaneo, questa è la definizione che ci suggerisce, con insolita e rassicurante premura definitoria, il programma di sala. Ma leggendo poi all’interno troviamo: Miracolo a Milano / Teatro di Musica in sei scene di Giorgio Battistelli / dal “Progetto Miracolo a Milano” / di Daniele Abbado e Giorgio Battistelli. Si noti la sottigliezza lessicale: non teatro “in” musica, né teatro “musicale”, ma teatro “di” musica. E in effetti è Battistelli stesso, nell’intervista contenuta nel programma, che parla di “teatro di musica”. Alla domanda «Cosa intende indicare con il sottotitolo “teatro di musica”, apposto al titolo Miracolo a Milano?», Battistelli risponde: «Una forma meno convenzionale, un “teatro di musica”, dove la musica è il veicolo privilegiato che mi ha permesso di entrare nel testo del Miracolo a Milano». Eppure Miracolo a Milano, lo spettacolo liberamente tratto dal soggetto/romanzo Totò il buono di Cesare Zavattini e dall’omonimo film di Vittorio De Sica, allestito e rappresentato alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma il 26 e 27 giugno scorsi, pur nascendo da un’idea originale del compositore contemporaneo Giorgio Battistelli e del regista teatrale Daniele Abbado, non è affatto classificabile in maniera così semplicistica.

La tirannia del bello

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di Gianni Biondillo

Sembra quasi che sessant’anni siano passati invano. L’urlo di dolore di Bruno Zevi, che nel 1948 – ben prima che venissero costruite le tanto vituperate periferie – si lamentava di quanto poco sapesse d’architettura l’italiano medio, e di media cultura, pare echeggi ancora fra di noi. Non sappiamo nulla dei maestri che l’hanno sognata la città del Novecento, ma ci sentiamo in diritto di criticarli come fossero dei principianti allo sbaraglio. In altre discipline non è così: chi si sognerebbe di dire che le poesie di Zanzotto sono parole al vento, o che Berio non faceva musica ma rumore? Eppure questo è il livello della relazione al Congresso internazionale degli architetti del nostro Ministro della Cultura.

Il problema indiano

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[Così si presenta, in versione semplificata, lo studio noto come problema indiano. Il bianco muove e dà matto in tre mosse. dp]