di Stefanie Golisch
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Im andren Zimmer
kaut sich der Tod
Bissen um Bissen
altes Fleisch zurecht.
Hier kochen Würste und Polenta,
ein Kind macht Schularbeiten;
für einen Kuß noch
wäre Platz hinter der Tür.
di Stefanie Golisch
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Im andren Zimmer
kaut sich der Tod
Bissen um Bissen
altes Fleisch zurecht.
Hier kochen Würste und Polenta,
ein Kind macht Schularbeiten;
für einen Kuß noch
wäre Platz hinter der Tür.
Io e mio fratello Alberto frequentavamo il liceo di un paese vicino.
L’edificio era una vecchia casa riadattata e la nostra aula conservava ancora i rubinetti e le piastrelle di quello che una volta, era stato un bagno. Su ogni piano erano stipate, dopo l’ultimo terremoto e nonostante l’inagibilità, 5 classi per un totale di più di duecento persone e bastava pestare un piede per sentire che i pavimenti ballavano.
Lettera aperta ad Antonio Moresco
di Stefano Zangrando
Caro Antonio,
ho letto con affetto e perplessità i tuoi articoli sull’“emergenza di specie” apparsi recentemente su Il primo amore. [La sproporzione, Uomini o struzzi? ndr] Affetto, perché conosco e stimo il tuo slancio e lo sai. Perplessità, perché qualcosa del tuo discorso non mi torna. Non mi torna, in particolare, l’idea della sproporzione. Perché dovremmo smettere proprio adesso di guerreggiare e di ucciderci? L’emergenza di specie è una realtà e un’urgenza da molto tempo ormai; non ho riferimenti bibliografici d’annata, ma chi ti scrive, se non altri, un senso animale d’allarme lo ha avuto fin dai primi mesi di vita della sua comunissima coscienza.
di Francesco Longo
(Questo articolo è stato pubblicato sul Riformista il 25 ottobre 2006, ieri hanno replicato sullo stesso giornale Massimiliano Parente, Filippo La Porta e Dino Cofrancesco, oggi direttamente Bruno Vespa)
Durante la puntata di lunedì scorso di Porta a Porta si è assistito ad un triste spettacolo. La trasmissione è dedicata alle polemiche sul velo delle donne islamiche. Tra gli ospiti in studio (oltre la Santanché, la Pollastrini e Fouad Allam) c’è una ragazza con il velo. Ad un certo punto il tema del dibattito diventa la lapidazione, e Vespa chiede alla ragazza se per lei la lapidazione è «giusta o ingiusta». Sarah dice che è lì per parlare del velo e che preferisce non rispondere. Ma Vespa incalza: «Signorina, per lei è giusto o ingiusto che una donna che tradisce il marito sia uccisa con le pietre?». Sarah: «Preferisco non rispondere». E Vespa, con la faccia stupita, come se stesse chiedendo quanto fa due più due: «Le sto domandando se è giusto o ingiusto lapidare una donna». Sarah si rifiuta di rispondere. Vespa e tutti gli altri ospiti, e molti telespettatori, sono sbalorditi dalla elementarità della domanda e non riescono a credere che una risposta così facile come: «La lapidazione è sbagliata!», non esca da quella bocca.
di Alessandro Leogrande
Questo articolo è uscito su Lo Straniero n. 62/63, agosto/settembre 2005
Anna Politkovskaja, inviata speciale della moscovita “Novaja Gazeta”, ha scritto il suo ultimo libro, La Russia di Putin, per un pubblico occidentale. Il dettagliato resoconto del regime putiniano, che esce ora in edizione rivista e ampliata per Adelphi, è già stato pubblicato in Gran Bretagna nel 2004, ma l’originale russo è ancora inedito nel suo paese. Per un semplice motivo: così come ai tempi di Breznev, non sarebbe possibile mandarlo in libreria, dal momento che la libertà di stampa è seriamente compromessa in quello che è, come si diceva un tempo, il paese più esteso del pianeta, la settima parte del globo terrestre. Altro che democrazia: la Russia di Putin è retta da un’oligarchia militare-terroristico-mafiosa, da un reticolato di poteri che lega il centro alle province, le province al centro, in un rapporto di reciproco do ut des tra l’ex-tenente colonnello del Kgb insediatosi al Cremlino e i suoi molti emuli disseminati nel paese.
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Di Englishman
Ho fatto un sogno: si trattava di un libro, un libro poderoso, selvaggio, dal costrutto asimmetrico e abnorme , come una chiesa gotica, piena di mostri e cartilagini, ossature e insediamenti alieni, bestiari e florilegi, era il libro dei Trolls, anzi, era l’impronta magmatica della letteratura Trolls che, giunta alla piena consapevolezza di sé, passava dall’aforisma di latrina, dal graffito insonne e suburbano, alla carnevalizzazione totale della lingua, dove i rutti e i peti, primo vagito linguistico del troll, andavano ad articolarsi in mostruose invettive, in bestemmie pantagrueliche, in parodie lancinanti.
di Helena Janeczek
Questa che per me è la lingua della pietà,
di parole che posso dimenticarmi o dire,
perché anche se mi passano di bocca,
come scivola di mano una bottiglia
e si spacca, che io raccatto e pulisco,
pulisco e perdo, qualcuno mi perdona
[Dopo che il governo italiano dichiarava il lutto nazionale per tre giorni alla morte di papa Wojtyla (3 aprile 2005), concludevo su NI un mio personale “mese dell’ateismo”, postando un brano (1 e 2) di un libro ancora inedito di Franco Buffoni. Più luce, padre è ora uscito (Sossella, 2006), e ne pubblico volentieri un passaggio ulteriore. (Il dialogo avviene tra il nipote e l’autore.) A. I.]
di Franco Buffoni
Nella Seconda lettera tu menzioni Gobineau, quando parli degli insegnamenti fascisti e specificamente razzisti al corso per allievi ufficiali. Ma chi è Gobineau?
Gobineau era stato ambasciatore francese in Persia, Grecia, Brasile e Svezia. Poi, nel 1853, scrisse il Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, dall’apparente connotazione scientifica. L’opera si diffuse in Germania e influenzò molto Hitler, che ne amplificò a suo uso un breve paragrafo dedicato alla funzione rigeneratrice dei popoli assegnata alla razza ariana. Ma attenzione, se poi Hitler esagerò, in Svezia…
In Svezia, cosa?
In Svezia tra il 1935 e il 1976 sessantamila donne furono sterilizzate in quanto portatrici di handicap, indigenti o di razza mista. L’operazione culminò nel 1946. Ovvio che le interessate dovessero firmare “volontariamente” la richiesta di sterilizzazione.
fulgido esempio di borghesissima mentalità mafiosa raccontato con trasporto e disprezzo da Nicolò La Rocca
Quel sabato d’agosto avevo un appuntamento con mio zio Masino. Masino Pirro, il ragioniere del comune.
Credevo che grazie a mio zio avrei potuto aiutare il mio amico Enrico.
Aiutare Enrico.
In fondo era l’unica cosa importante.
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Si le génie te fait défaut,
cultive ta bêtise.
(Georges Picard)
di Luigi Weber
Questo pezzo è stato scritto molto tempo fa, nella settimana seguente alla pubblicazione di Gomorra, e per ciò tace sul suo straordinario successo. A differenza di molti best-seller, che vendono ma spesso rimangono intonsi, il libro è stato un evento anche in quanto generato da – e generatore di – autentica lettura, un risultato che allora mi auguravo, sul quale però non avrei certo potuto scommettere. Varie ragioni avevano confinato il mio scritto in un cassetto. Le notizie degli ultimi giorni mi hanno spinto a recuperarlo.
1. Sono stanco di eroi. E sono stanco di martiri. L’eroe, che giornalmente ci viene propinato, è per definizione postumo, ed è in questo che si incontra con il martire.
di Jorge Santalmassi
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A metà degli anni sessanta mi capitò la grande fortuna di avere come professore di spagnolo il poeta René Pertusi, fuggito dall’Uruguay poco tempo prima a causa di un fatto di sangue, di cui egli fu soltanto vittima per così dire scampata al peggio, che era successo a Montevideo: da tempo Pertusi era coinvolto in una polemica interna alla cosiddetta “Linea Negra”, una piccola rivista di poesia e critica letteraria che dal 1958 al 1966 aveva raccolto in sé come in un cenacolo litigioso alcuni poeti uruguaiani considerati, a mio parere a torto, minori. Non v’era una linea direttiva ma una serie di nuclei ideativi, di monadi a volte arroccate su certe posizioni non sempre conciliabili con quelle degli altri, di cui Pertusi era forse il più vulcanico e attivo esponente, ma anche il più chiacchierato. Spesso in polemica con i compagni Francisco Gutierrez e Antonio Malendo, la rivista chiudeva e riapriva continuamente, tra scontri anche frontali molto forti e conseguenti riappacificazioni.
di Stefania Bufano
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Ah! Il piacere dell’assenza di volontà su una spiaggia! Lì ci si sottrae alla «vita» […].
E. M. CIORAN, Quaderni
Le dune della calda sabbia sotto la pelle erano una sublime cosa per la donna che vi si era distesa. Non aveva nemmeno voluto usare un asciugamano per proteggersi dai fastidiosi granelli che un poco la pungevano, volendo dare attenzione solo a ciò che più le dava piacere in quel momento.
Era passato molto tempo dacché non aveva più visto il mare: le era mancato così tanto da averla fatta decidere di cercare quel posto quasi deserto. L’acqua del mare era talmente limpida che pareva non essere mai stata toccata da alcuno.
un raccontorecensione di Marino Magliani che parla di TROOST di Ronald Giphart, ma non solo.
Scendo ad aprire la cassetta postale, esco dal palazzo, mi libero della pubblicità al primo cassonetto, vago per qualche strada alberata, passo davanti alle case dalle vetrate senza tendine, e mi ritrovo in biblioteca. Ci entro per il caffé che costa poco e per leggere la rivista di calcio. La biblioteca offre una collezione di libri di ogni genere e in ogni lingua possibile, francese turco arabo tedesco cinese, libri russi, portoghesi, finlandesi, spagnolo slavo, mancano solo libri in italiano. E’ una storia lunga, l’ avrò chiesto trenta volte all’ impiegata: ” Buondì, cerco la collezione di libri italiani.”
di Simone Ciaruffoli
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I testi che dicono della storia dell’architettura non cominciano con le palafitte, come quelli che ragionano sulla pittura non partono con le pitture delle caverne. Per questo Guido Oldrini, nelle sue 700 pagine intitolate Il cinema nella cultura del novecento. Mappa di una storia critica (Casa Editrice Le Lettere), scansa leggero i Lumière e Méliès, e a pagina 3 esordisce con Griffith. Lumière e Méliès attengono alla sfera del tecnico, e non a quella della forma, Griffith è il primo a scavare le fondamenta linguistiche del cinema. Per Oldrini quindi, la storia del cinema comincia non nel 1895 ma più o meno una quindicina di anni dopo.
[riceviamo da Paolo Esposito un’inchiesta parzialmente pubblicata su La Gazzetta di Caserta del 2 Ottobre. Questa è la seconda parte. Leggi anche la prima parte]
di Paolo Esposito
I problemi dell’agro aversano sono tipici di tutto il casertano e il napoletano, ma ad Aversa e dintorni appaiono con una più netta evidenza, soprattutto perché si vive come se tutto andasse bene, come se tutto fosse nella normalità. L’illegalità diventa la regola, ma c’è chi tenta di combatterla offrendo un’alternativa, tentando di far riemergere questa zona da una cappa di problemi ancestrali. Inesorabilmente però si trova a cozzare con gli interessi della stragrande maggioranza.
Per poter leggere tutti gli articoli di Anna Politkovskaya apparsi su Internazionale collegarsi qui.
Mirumir traduce oggi l’inedito “una condannata” della Politkovskaja apparso ieri sul Guardian.
[riceviamo da Paolo Esposito un’inchiesta parzialmente pubblicata su La Gazzetta di Caserta del 2 Ottobre. Questa è la prima parte, introduttiva, di Emiliana Cristiano e Paolo Esposito. Leggi anche la seconda parte.]
di Emiliana Cristiano
Nel decreto del Presidente della Repubblica del 7 luglio 2006 si legge: “Considerato che nel comune di Casaluce i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 26 maggio 2002, sussistono forme di ingerenza della criminalità organizzata, rilevate dai competenti organi investigativi; constatato che tali ingerenze espongono l’amministrazione stessa a pressanti condizionamenti, compromettendo la libera determinazione degli organi ed il buon andamento della gestione del comune di Casaluce; rilevato, altresì, che la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della organizzazione mafiosa arreca grave pregiudizio allo stato della sicurezza pubblica e determina lo svilimento delle istituzioni e la perdita di prestigio e di credibilità degli organi istituzionali; ritenuto che, al fine di rimuovere la causa del grave inquinamento e deterioramento dell’amministrazione comunale, si rende necessario far luogo allo scioglimento degli organi ordinari del comune di Casaluce”.
di Sergio Garufi
“Fatti, non parole” è l’eterna e disattesa promessa dei politici di ogni schieramento. Una conferma di questo luogo comune viene dal recente invito ad abolire dal dizionario del centro-sinistra termini quali socialdemocrazia ed egualitarismo, retaggio di un passato imbarazzante di cui ora ci si vuole disfare come di una prova a carico. Forse è solo questione di moda, in fondo anche il lessico si aggiorna e si adegua ai tempi che corrono, con nuovi innesti e mesti accantonamenti.
di Marta Bonetti
Ho 34 anni, lavoro da sei. Sono laureata in filosofia e vivo a Lucca. Sono una di quelle che per spiegare che lavoro fa, ha bisogno di un po’ di tempo. Se devo cavarmela con una definizione, mi definisco una “partita Iva”: La forma giuridica, in luogo dei contenuti del lavoro. Mi occupo di formazione. Sono in grado di seguire, in totale autonomia, dall’inizio alla fine un corso finanziato dal FSE (Fondo Sociale Europeo). Dal reperimento fondi al reperimento allievi, dal coordinamento docenti ai comunicati stampa, posso fare tutto. Mi occupo in particolare del back office, il lavoro che sta prima e durante, ma in ogni caso, dietro le quinte. Lavoro e vengo pagata “per progetti”. Lavoro con “l’immateriale”, con il linguaggio, le relazioni. Mi bastano un computer e un telefono. La scrivania è un optional.
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questi sono messaggi subliminali prego guardarli di sfuggita