Esilio, Lingua, Resistenza
Ed è tutto quello a cui potevi arrivare, volendo.
Il bambino si stendeva per terra e la sua agonia si curvava
(F.G. Lorca)
Un bambino si stende a terra. Tende allo spasimo il corpo, piega gli arti per raggiungerla; vuole sentire con la faccia il caloroso dolore; la sua agonia (per metonimia) si curva.
In poesia l’atto mentale e l’atto fisico sono imprescindibilmente legati. Non si può pensare se non si sente. Non c’è dimensione più fisica, linguaggio più sensuale e tattile di quello poetico. Nasce da questo; dal contatto – faccia sulla terra – per assorbire la realtà e l’irrealtà. Le cose del mondo vanno, hanno percorsi precisi o imprecisi, traiettorie di afa, indifferentemente da questo contatto. Ma come può questa indifferenza del mondo sminuire la sua necessità?
L’uomo si stende sul dorso del mondo, come un navajo che ascolti l’arrivo della guerra. Mentre pensa che sta arrivando, la sua mente costruisce l’immagine. Ne nasce una dipendenza che lo isola dal contesto della guerra. Il suo sforzo è rompere quell’isolamento ma senza disperderlo: deve comunicare, spalancare gli occhi verso l’esterno, ma non aprirli completamente. Perderebbe il sogno. Eyes wide shut.
Ecco l’esilio. Necessario. E comunque inevitabile.

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