Spazi urbani in Italia, culture e trasformazioni dal dopoguerra a oggi
[Le città visibili è una raccolta di saggi di studiosi inglesi (o italiani che hanno studiato e lavorano in Gran Bretagna), che parla dell’Italia da vari punti di vista – architettura, storia, letteratura, cinema, società. Uno sguadro che, data la distanza, pare mettere meglio a fuoco la nostra nazione. Il libro è molto bello, forse troppo sbilanciato sull’asse Milano-Torino, ma con intuizioni lucide di vero interesse per tutti noi.
Ho chiesto a John Foot (uno dei due curatori, insieme a Robert Lumley) il piacere di pubblicare qui su NI l’introduzione del volume da poco edito da Il Saggiatore. G.B.]
di Robert Lumley e John Foot
La gente che s’incontra, se gli chiedi: – Per Pentesilea? – fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire: «Qui», oppure: «Più in là», o: «Tutt’in giro», o ancora: «Dalla parte opposta».
– La città – insisti a chiedere.
– Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine – ti rispondono alcuni, e altri: – Noi torniamo qui a dormire.
– Ma la città dove si vive? – chiedi.
(Italo Calvino)
Prima di descrivere Pentesilea a Kublai Khan, Marco Polo prevede quello che il suo ascoltatore si aspetterà di trovare all’ingresso della città: una cinta di mura, una porta, gabellieri; «Fino a che non l’hai raggiunta ne sei fuori; […] il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c’è un disegno che ti si rivelerà se ne segui il tracciato tutto spigoli». Ma, continua, «se credi questo, sbagli». Pentesilea non ha né inizio né fine, non c’è distinzione tra dentro e fuori, e per questo non si sa quando ci si sta arrivando e quando invece la si sta lasciando.