di Antonio Sparzani
La storia di cui vorrei raccontarvi alcuni episodi corre su due rotaie, spesso parallele: l’una, quella della poesia e della letteratura, che continua a vedere l’etere come qualcosa di vago e misterioso, ma che in questa vaghezza trova la sua sottile bellezza, e l’altra, quella dei tentativi che ha messo in atto la scienza per cogliere finalmente, per serrare tra le tenaglie di una definizione precisa e quantitativa, questo inafferrabile elemento, che continuamente è stato congetturato esistere, ma che altrettanto continuamente è sfuggito ad ogni presa. Perché queste rotaie non sono poi soltanto due e non sono neppure tanto ben distinte: anche la filosofia e la medicina mescoleranno infatti i loro saperi nella trama, stranamente tenace, dell’etere.
Nei poemi omerici, punto cardine d’irradiazione della nostra cultura, l’etere è femminile, ή αιθήρ, (hē aithēr):

di Robert Lumley e John Foot


Neruda



