di Linnio Accorroni
“Bonjour. Je voudrais préciser que je préfère les questions d’ordre personnel, indiscrètes même, aux questions techniques. Donc je commence” (Conferenza di Sophie Call, Università di Tokio, 1999).
Della storia di Narciso tutti ci ricordiamo il finale. Ma, in realtà, a leggere con attenzione Ovidio, scopriamo che Narciso si trovò di fronte alla pozza nella quale, per la prima volta, si autoriconosce e subito dopo muore perché, in maniera intransigente, si era sempre negato al mondo, preferendo la quiete algida di una vita intransitiva, separata dagli altri. Ovidio ci racconta infatti che, prima di (ri)trovarsi di fronte allo specchio d’acqua, Narciso aveva rifiutato fanciulli, giovinette, ninfe, compresa la sventurata Eco. Scrive a questo proposito Boatto nel suo Narciso infranto. L’autoritratto da Goya a Warhol: “La pozza d’acqua nella quale Narciso va a incappare non è un caso, ma è il frutto della vendetta di Afrodite e Nemesi, indispettite per l’insensibilità erotica dimostrata dal ragazzo”. A pensarci bene, c’è come una morale implicita in questo mito: solo la completa cecità di fronte al mondo, solo uno sdegnoso ritrarsi da esso può consentirci la conoscenza di noi stessi, la rivelazione di ciò che siamo.












