un poemetto di Fabio Franzin
Nuovi esodi
È che mi si sommuovono dentro
tutte le mie spine che mi commuovo
ogni volta fino alle lacrime, o forse è per
questa benedetta casa che vogliamo sentire
finalmente nostra a tutti i costi, amore,
qualsiasi sia il peso, i sacrifici necessari
per acquistarla, il mutuo, il tasso di sconto.
Ed è anche che quando la telecamera
szuma e nel video quel nuovo serpentone
umano si dipana in tutta la sua apocalittica
portata – magari proprio mentre placido sto
infilandomi le ciabatte dopo la doccia –
questa fiumana di storie che mi fa shangai
fra le viscere e passa lenta dentro il monitor
con la sua disperata carovana, con i suoi
improvvisati carretti carichi di dolore
di speranza e masserizie, aprendosi
un cupo sentiero qui fra le costole, che
nella sua fuga disordinata – come sempre
è scomposto ogni gesto dettato dal panico
dall’orrore – urta strappa e ingarbuglia
ogni argine, ogni parola, ripenso ancora
a quello là – quello dietro la donna col foulard
viola che si sbraccia e urla, forse, non so –
quello con la camicia gialla che si stacca
dalla massa e si volta, si ferma, si siede e stretto
si prende il capo fra le mani, quello cui forse
è sovvenuto solo ora della vecchia lettera d’amore
dimenticata dentro il cassetto in camera
e non sa se tornare indietro oppure continuare
continuare a dannarsi, poi, per sempre.





di Elena Varvello





