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Incontro a Castelporziano

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di Victor Cavallo

Mia cara fica

lucciola lanterna cicala stella nuvola sogno papavero orzata fica

ti scrivo dalla garbatella dove passeggiavo con una maglietta

gialla e il cielo era pieno di rondini. Ma era verso sera e

all’epoca della prospettiva Nevskji.More...

Mia adorata sono stanco e ho bisogno dei tuoi capelli

e delle canzoni dell’estate 1979 e di una campagna acquisti

che mi ridia speranze di coppa Uefa.

Com’era atroce l’inverno sull’orlo della serie B!

Mia cara fica

non credo a niente

i prezzi del pane e del latte sono troppo alti

e il campo di bocce del forlanini è pieno di d’immondizia

e i giardini di piazza S.Eurosia pieni di vetri rotti e cacche di volpini

E tutti quegli stronzi in giro

e lisa gastoni che m’ignora

e la rivoluzione che bestemmia sulla pista assolata del rock and roll.

ti amo. e se tu non me la darai mi ucciderò con una overdose.

I can get no satisfaction

e sono io nel merdoso cimitero degli specchi

a vegliare la fica in equilibrio tra le stronzate

io tra gli stanchi bagnanti notturni che recitano michelangelo

e le pompinare americane che mordono i gondolieri

e l’1 a 0 di trevor francis al bar della fenice e gli angeli

e questo angolo di piscio dove m’inculo il mondo.

Mia cara fica

spero d’incontrarti sulla spiaggia di castel porziano.

io ti incontrerò perché tu emani luce ultrarealistica

e tu mi riconoscerai perché indosserò profonde occhiaie

e una collanina azzurra. Fuggiremo lontano dal vietnam

verso la divina pietralata. verso la tuscolana pazza e disperata.

(Grazie a Linnio Accorroni per avermi ricordato Victor Cavallo, attore di cinema e televisione e poeta romano nato nel 1947 e  scomparso nel 2000. FK)
 

Sicuro? Sì, sì, sicuro, sicuro…

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di Paola Castagna

… Non è nulla il ritardo rispetto al mancato appuntamento. Mariangela Fantin

Ero al mare da alcuni giorni.
Un mare di riviera, tempestato d’ombrelloni colorati, disturbato da schiamazzi di bimbi troppo viziati e da urla di madri isteriche.

Juke-box / L’ultimo testimone

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di Paolo Archetti Maestri e Yo Yo Mundi

Ho scritto a mia madre,
mi pregava affinché scendessi a patti con i miei nemici,
tuo fratello vedrai ti aiuterà,
tu vuoi solo salvarmi io questo lo so e mi fa tenerezza,
ma nella nostra famiglia c’è un filo che si spezza,
però io penso che un giorno,
in un tempo non molto lontano,
in qualche parte del tuo sentire di madre,
magari con un fiore rosso in mano,
scoprirai quello che adesso fatico a farti capire:
meglio un figlio morto partigiano gappista
che uno ancora vivo traditore e fascista.

Nuovi ragazzi di vita (stralci d’orrore)

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di Franz Krauspenhaar

12.745 (Torre Spaccata)

Mi cuggino Bella Bella è uno propio stronzo, lega le zampe al cane, se fà il cane e poi siccome il cane al collo c’ha pure una corda attaccata a una specie de carucola, quando ha finito, insomma quella cosa là, li comodacci sua, tira la corda e il cane s’impicca propio regolare.

Undici settembre

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di Valter Binaghi

Il documentario s’intitolava 9/11 in Plane D. Impressionante.
La ridicola breccia nel muro del Pentagono, dove si sarebbe infilato un boeing 777, era un’offesa all’intelligenza di un bambino di terza elementare.

Genova senza poesia

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di Christian Raimo

Nel luglio 2001 stava morendo mio nonno. Non andai a Genova. Avevo altre ragioni per andare e altre per non andare. Paura, pigrizia, obblighi civili. Un mio amico scrittore quarantenne cercava di convincermi: “Andiamo, si rimorchierà che non hai idea”. La sera della Diaz ero nel retro di una macchina, alla radio parlavano confusamente di quello che succedeva. Mi venne una strana paura, e un principio di quel senso di improvvisa caduta dall’astrattezza di giorni noiosi alla preganza di un evento storico. Mi sentii, come poche altre volte, forse più di ogni altra volta, italiano.

20 luglio

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di Marco Rovelli

Oggi, 20 luglio 2007, sarò ancora una volta, come ogni anno, in piazza Alimonda. E stavolta ci tornerò da solo, senza la mia vecchia band (ma con il supporto del mio caro amico Paolo Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi), in attesa della nuova che sto costruendo. Ricordo. Il 20 luglio 2001, quando non ero lì per cantare, ma per fare, costruire, manifestare.

E’ giovedì sera, sotto il tendone della piazza. Fuori diluvia, sono lievemente e felicemente ubriaco, e in questa calca ci sto bene. E’ come se fossimo insieme davvero. E per esserlo davvero basta saperlo. Prima sono rotolato sugli scogli mentre pisciavo alla luna, scogli appuntiti sotto la mia carne liquida, e neanche un graffio, forse perché le mie ossa sono più appuntite delle rocce. Allora continuo a bere, e a cantare.

Fascista. [fa-scì-sta] Al di sopra di ogni sospetto.

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di Francesco Forlani

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Foto del Furlen “per gentile concessione virtual reality & multimedia park 2007”.

Quando Sandro Scippa, sceneggiatore e regista, mi ha chiesto, al telefono, di partecipare ad un corto metraggio da lui diretto mi sono detto: bene. C’eravamo rivisti per caso, a distanza di quindici anni , passeggiando in via Roma a Torino. All’epoca avevamo pure scritto e realizzato un’operetta multimediale- ma allora non si chiamavano così- contro la guerra nel golfo, la prima, titolo SIENNENNE. E così, quando mi ha chiesto di partecipare gratuitamente al cortometraggio ho subito pensato che a guidarlo fosse il ricordo di un mio qualche talento attoriale. E ci siamo incontrati per mettere a fuoco i dettagli.
Tu devi farmi la parte del fascista, del capo fascista, che interroga brutalmente una fiancheggiatrice dei partigiani.
– Cosa!!!

Juke-Box / Vademecum tango

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di Franco Nebbia 

Mutatis mutandis absit iniuria verbis
temporibus illis obtorto collo … tango!
Ubi maior minor cessat talis pater talis filius
motu proprio ad maiora
ahi, vademecum tango, ad usum Delphini.

Da: Catasto ed altre specie

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di Antonella Pizzo

Nel 1978 Sara portava la treccia
Luciana il kilt, io un maglione rosso

Sul tavolo da disegno un lucido e una lampada
righe trasparenti, un peso in ferro
nero l’inchiostro di china
rossa la penna
lenta    lenta  la mano 
rapidographos
                 rapidographos

Cani lebbrosi

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di Piero Sorrentino

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Di là dal muro, la voce si spargeva come il sangue. Avevo sei anni la prima volta che ho sentito i maiali che andavano a morire. Facevo le elementari, stavo a casa dei miei nonni. La nonna mi preparava piatti traboccanti di wurstel e patatine. In tv guardavo Bis e Il pranzo è servito. Passavo molto tempo affacciato alla finestra della sala da pranzo. Non so perché, visto che il panorama era brutto.
Di fronte, a nemmeno trenta metri, la vista si fermava sulla facciata grigia della palazzina gemella, un fabbricato lungo e basso che correva parallelo a quello dove stavo io. Sulla destra, la parete di tufo del macello di via Stadera. A una delle due estremità del muro, quella che andava verso la mia scuola, si allargava un piccolo orto di una manciata di metri quadri, protetto dall’intreccio metallico di una rete sfondata in più punti, dove i tossici, di notte, o nei pomeriggi bui d’inverno, passavano agilmente per andare a bucarsi sotto una fila di platani e piantare le siringhe nel fusto dell’albero.

Orisfincter d’l corp nient sa de

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Di Carmelo Bene

[corporis terror si potuisset]

Orisfincter d’l corp nient sa de
st’amor c’ha vu’ desfatt e fatt no avet
c’all’alter l’un à dett ah! Dett ridett
issimament dì e nott
e nott e di quest alter no volete
star l’sentir ‘n lueg de lengua ‘n bocc
e ‘n dentr al trou rovesc d’sfincter stess
‘n van del mette ellev ‘n sovr e sott
d’lamor fatt daver ieralter scors
tot d’ferr ‘n cercar carne et os
nudati e mmai trovar ultima pell
‘n quel tropp animat c’à dett no
a n’import quoi d’far o dir lamor

Juke-Box*/ Jacques Brel

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Amsterdam
Parole e Musica di Jacques Brel

trad. Francesco Forlani

Dans le port d’Amsterdam
y a des marins qui chantent
les rêves qui les hantent
au large d’Amsterdam
dans le port d’Amsterdam
y a des marins qui dorment
comme des oriflammes
le long des berges mornes

Nel porto di Amsterdam
Ci sono marinai che cantano
I sogni che li incantano
Al largo di Amsterdam
Nel porto di Amsterdam
Ci sono marinai che dormono
come rossi stendardi
Lungo gli argini stanchi

Re: n. 3 “Poetiche della precarietà”

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E’ uscito, per la casa editrice ZONA, il terzo numero di Re: (viste sulla letteratura e le arti) dal titolo “Poetiche della precarietà”, un numero che affronta da più punti di vista il tema tanto dibattuto della precarietà, dalla forma-saggio sul precariato sociale e lavorativo ai testi di stile “precario” proposti da una nuova ondata che nasce dal web e dalla performatività delle arti.

Verrà presentato questo mercoledì 18 luglio dai due curatori Tommaso Lisa e Alessandro Raveggi presso l’Italia Wave Love Festival – Firenze (zona Osmannoro), alle ore 17 – Speak Corner –
ospiti: Gabriele Merlini e Vanni Santoni.
INFO: http://www.arezzowave.com/italiawave/faq.php

Informazioni su: http://www.editricezona.it

Appunti e amputazioni

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di Giorgio Vasta

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Primo ragazzo
Su una spiaggia di ghiaia di ritorno da Spalato. Oltre la spiaggia c’è una pineta. Tavoli di legno, panchine, un bar ristorante. È tardo pomeriggio, stanno apparecchiando i tavoli. Si sente il rumore delle posate che battono fra loro o contro il bordo dei piatti. Tanti piccoli rumori separati, rumori utili, dolci. Fino a qui siamo arrivati in scooter. Dopo aver visitato la città vecchia di Spalato, siamo andati alla stazione degli autobus vicino al porto e abbiamo aspettato pazienti che partisse il 37, lo stesso autobus che abbiamo preso venerdì e che ci ha portati a Trogir. Questa volta non siamo saliti ma lo abbiamo seguito. Non sapendo come uscire dalla città ci siamo affidati ai servizi urbani. In fondo all’autobus, quindi perfettamente visibili da Jas e me incollati sotto, c’erano seduti due ragazzi, uno biondo con la canottiera bianca e l’altro rosso con una camicia a maniche corte a scacchetti rossi.

Simpatia per il diavolo

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di Gianluca Veltri

Nel 1967, quando Charles Manson uscì dal carcere di San Quintino, California, vi aveva trascorso già metà della sua vita per reati vari. Manson era nato nel 1934 a Cincinnati, Ohio, da una sedicenne così strampalata e strafatta da non sapere neanche con chi lo avesse concepito. Ben presto era diventato un delinquente patentato.
Nel 1969 Charles Manson aveva quasi trentacinque anni.

Diorama dell’est #3

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di Giovanni Catelli

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Trnava

E’ un errore il viaggio, in queste città d’illusione, lunga pena il partire, al termine dei giorni, al segreto confine, che divide nel mattino, la luce dal passo, le monete dal gesto, l’ora dal respiro : si va, poi, come sonnambuli al distacco, avidi ancora dei minuti, colmi di vita nello sguardo, eppure ignoti ed invisibili alle cose, lenti nelle strade, alla sorpresa dei passanti, già storditi nell’affanno, ed incalzati, da severi testimoni, amare svagatezze, fragili occasioni del conforto : si diffonde, appena, l’oppressione del ritardo, si dipana lunga mappa di tragitti e lontananze, sono asfalti frecce ponti arrampicati nella gola, sorde vibrazioni di motore lungo il corpo, eppure sfugge, ancora, la rassegnazione fredda, il calcolo mortale, il sacrificio irreparabile fra i gesti :

Fine settimana

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di Giorgio Vasta

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Andrea posò l’aculeo sul tavolo, tagliò una fetta di torta e la avvolse in un tovagliolo. Quando uscì di casa teneva l’involto in mano e subito vide Alice già lontana nella sera, sul prato bagnato di pioggia, al limite della cintura d’alberi dove cominciava il bosco. Lei gli fece un cenno.
Aspetta, gridò Andrea, e affrettò il passo facendo attenzione a non scivolare. Quando ormai era arrivato a pochi metri da lei rallentò e riprese un’andatura normale. Sentì rumore di fiato nelle orecchie e un odore di foglie nella bocca. Nella mano aperta, la torta si era sbriciolata un poco.

Affonda nella prosa

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di Franz Krauspenhaar 

Affonda nella prosa, affondiamoci tutti. Nella prosa una specie di riscatto incerto. Non calcolabile. Nella prosa una sorta di liberazione, un viaggio intorno al mondo di noi stessi. Un estremo tentativo. Col coraggio di chi non ha in fondo nulla da perdere. Perché nessuno ha nulla da perdere, in definitiva, tirando le somme. Affonda nella prosa, ora che, dopo essere affondato nella terra, non hai più spazio dove affondare ancora.

Note a margine di Sfida infernale: l’epos nel western di John Ford

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di Luigi Metropoli

Ricordo un’intervista, di qualche tempo fa, una perentoria affermazione di Robert Duvall: “Gli Inglesi hanno Shakespeare, noi abbiamo il western”. Più che la desacralizzazione del più grande mito letterario anglosassone Duvall sottolineava l’importanza che il western riveste per il suo popolo, individuando in esso quanto di più tipico gli USA abbiano prodotto in ambito creativo: incarnazione del mito della fondazione, della storia di un paese, con la sintesi di più epoche sovrapposte, come in un’acronia da tempi preistorici in cui leggenda e realtà si fondono (e si fondano).

Una rosa nelle tenebre – seconda parte

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cura e traduzioni
di Orsola Puecher[segue dalla prima parte]
 
da PELLÉAS ET MÉLISANDE
di Maurice Maeterlinck, Claude Debussy

denis-1870-1943_la-princesse-dans-la-tour.JPG
Maurice Denis (1870-1943), La Princesse dans la tour.

ACTE 3
Scène 1
 
PELLÉAS
Holà! Holà! ho!
 
MÉLISANDE
Qui est là?
ATTO TERZO
Scena prima
 
PELLÉAS
Olà! Olà! Oh!
 
MÉLISANDE
Chi è là?