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La società (digitale) delle arti

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dscf1224.JPG di Simone Morgagni

Autorevole: qualcuno che goda di grande autorità e prestigio.
Avanguardia: nell’esercito e nella marina, unità militare posta in posizione avanzata a scopo di protezione o di difesa, ma anche gruppo o movimento artistico che sperimenta nuove forme espressive in contrasto con la tradizione e il gusto corrente.

Vorrei cominciare questo mio intervento sulle modificazioni sociali apportate dai nuovi modelli di sviluppo mediatico, considerando questi due concetti, che un po’ di tempo fa hanno suscitato dibattito in rete (vedi l’ultimo numero di « Per un Critica Futura » e la discussione su « Blog e poesia »).

Diorama dell’est #1

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di Giovanni Catelli

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Petrska

Oggi sono sceso, presto, a colazione.
Oltre le tendine, i vetri, l’aria, mi giungeva il soffio della strada, più vicino e vivo, nel mattino senza nome, nel freddo bianco, e lieve, di febbraio; ho vagato, nella sala vuota, verso un tavolo propizio, una saldezza di pareti, una difesa, ma fuggivano le cose all’apparenza, m’accecava quel chiarore di tovaglie, vacillavano le sedie nell’attesa, come a leste ore di partenza.
Ho poggiato il mio silenzio sulle voci, sulle vite già più esperte del mattino, che tracciavano progetti, nelle sale invisibili, nel cieco limbo del servizio, riscuotevano il mio peso dai minuti, si sporgevano alla luce senza inganno, pronunciavano le vie del giorno alla città: si muoveva, una corrente più leggera, una boscaglia mobile di nomi ed occasioni, una promessa d’ombre, di lontane piazze quiete, mai raggiunte dal tempo vincitore, già posate accanto, dal fiume fragoroso della vita, dal rumore ignoto, e cupo, che preme le sue acque.

Generazione di fenomeni

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“Generazione di fenomeni”, lo strano caso di un paese che ha dimenticato i suoi giovani e ha generato una generazione di precari e di esuli.

A Gamba Tesa / Giovanni Papini

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tema astrale di Giovanni Papini in http://www.astrotheme.fr

Sospetto che Papini sia stato immeritatamente dimenticato
(Jorge Louis Borges, pref. a Giovanni Papini, Lo specchio che fugge, Parma-Milano, Franco Maria Ricci, 1975)

Nuove Poe

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dscf1211.JPG di Francesca Genti

ILLUMINAZIONE DAVANTI AL BANCO DEI SURGELATI

anche la sofferenza
ha la sua data di scadenza

*
MILANO DI NOTTE

vorrei essere la slava del metrò
che combatte gli albanesi attaccabrighe.
la ragazza kamikaze poesia
che ti uccide e si sfracella in cinque righe.

*

Lezione

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di Luigi Meneghello

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A lezione una giovane dai lunghi capelli, che pare disegnata da Ciarrocchi, mi ha domandato che cosa vuol dire deorum manium jura sancta sunto. Eravamo verso la fine dell’ora, mancava un quarto all’una.
Ho confessato che da ragazzo credevo volesse dire: “I morti hanno un loro mondo giuridico: rispettatelo”. Ho detto che ogni volta che da adulto ho corretto questa assurda interpretazione fantastorica (per me altamente suggestiva) mi sono poi dimenticato di averla corretta, e ho continuato a vivere come se quella fosse l’interpretazione vera. Naturalmente una frase di questo tipo non possiamo domandarci che cosa vuol dire in assoluto, solo che cosa voleva dire a suo tempo. Qui penso che c’entri il culto dei morti: i decreti, le consuetudini relative a questo culto, gli “jura” dei morti. Quali fossero di preciso non lo so. Diciamo che in pratica si intendesse dire tra l’altro “Si dispone che i giuramenti fatti invocando i morti siano trattati come sacri”. Poi, ancora più in pratica, ho detto, questo potrebbe voler dire varie cose, per esempio “Lo stato s’impegna a far rispettare le promesse fatte nel nome dei morti”, oppure “La legge dispone che siano punite le dichiarazioni false fatte chiamando a testimoni i morti”.

Juke-box / Godi

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di Faust’O

 

E’ la perversione, la tua ultima occasione

la corretta soluzione di una vita vissuta a metà.

Succhia con prudenza le mammelle della scienza

questa cosmica demenza, sostituto di mamma e papà!

Cotton Avenue

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Joni e Jaco

di Gianluca Veltri

La prima volta che metti sul piatto Don Juan’s reckless daughter di Joni Mitchell rimani esterrefatto, impaurito per esserti spinto troppo in là. Da dove arrivano quei suoni?
Cosa conteneva quel disco inciso nel 1977 di così meraviglioso e sconcertante? Quali segreti misterici cercava di comunicare? Era nervoso e poetico, l’uno e l’altro all’ennesima potenza. La chitarra di Joni era ancora più stupefacente del solito, all’apice di un’ingegnosa ricercatezza, traboccava di intervalli armonici sferzanti, pieni di sospensione, di continui intervalli di seconda, i più irrisolti. Le voci stracciavano l’aria in mille frammenti. L’effetto era di grande inquietudine e di spaventosa profondità, come un ottovolante che si addentra nelle viscere della terra.
E poi c’era Jaco. Jaco Pastorius.

Musica a Delfi senza redenzione

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di Elio Matassi

In una lunga ed argomentata lettera, datata 28 aprile 1952, Adorno scrive a Thomas Mann per tentare di sollevarlo dalle difficoltà del “Krull”. Tali difficoltà – Adorno prova a capovolgere l’argomentazione – in fondo sono il contrassegno di una concezione “feconda”, dal momento che un’opera d’arte penetra davvero a fondo nel proprio materiale solo nel momento in cui si fa carico delle sue “contraddizioni”.

Francesca Tini Brunozzi : poesia

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Nella mano destra ho l’uovo di pasqua
nella sinistra la bomba a mano

C’è un melograno nella mia tasca

Non voglio un uomo ancora
voglio un uomo al giorno

Non voglio un uomo nuovo

Non voglio medici di torno
voglio un giorno nuovo

Nella mia stanza ho un uovo e un uomo
in mezzo al cuore, nell’uovo, un uomo

Nella mia pancia c’è l’uovo solo.

François B. e i ragazzi dello zoo della Vandea

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di Christian Raimo

Come mi fa notare il mio amico Marco, il Ponte delle Valli, qui a Roma – nel quartiere dove siamo nati tutti e due, dove siamo cresciuti e abbiamo imparato, bene o male, ad annoiarci: del resto crescere cos’è? – divide in due le confraternite della memoria. Da un estremo, dalla parte di Via Conca d’Oro e Piazza Sempione, c’è una grande scritta: VALERIO VIVE, rossa, fatta a mano, con le lettere grandi stampatello. La casa sua, di questo Valerio, era il palazzo sopra la scritta; ora ci dovrebbe vivere la madre.
Dall’altro lato del ponte, sul marciapiede sinistro, all’inizio di Viale Libia, appena dopo Piazza Gondar, si staglia invece il murale in rosso contornato di nero (i colori dell’anarchismo di destra) che dice PAOLO VIVE.

Fons calida

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di Flavia Ganzenua

Ci sono tanti tipi di marchi. Io ne ho uno indelebile, un cordone, lungo tutto il torace. Da sotto la gola, poco sopra lo sterno, al pube. E’ un’arma che ho imparato a usare bene. E’ una sorpresa, una caramella che mi gusto piano, che lascio sciogliere sulla lingua, riempiendomi la bocca del suo liquido amaro. E’ un filtro, il vetro che mi separa dalle cose. Sono al sicuro. Ero al sicuro.

La maglietta si arricciava sui fianchi, lasciava scoperta la cicatrice rigonfia di tintura di iodio e di sabbia. Salii le scale di corsa. Contai i gradini con la stessa cura con cui una volta strappavo via la coda alle lucertole. La sottoveste si attorcigliava a ogni passo. Si infilava tra le gambe scottate dal sole, il costume bagnato. Spinsi la porta con due mani e mi lasciai cadere sul letto, la faccia tra i cuscini.

America loves the Sopranos

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di Emilia Zazza

I Soprano nei giornali che ho sfogliato ieri qui a New York erano un po’ dappertutto. Due articoli nel New York Times, rieccoli nella free press di Brooklyn, e a pioggia negli altri quotidiani. Nel giornale di quartiere sono assurti a simbolo del focolare domestico. “Non so da quanto non ci riunivamo più per il consueto pranzo domenicale di famiglia” – racconta l’autrice del pezzo. E dopo anni, eccoli lì: i piccoli a letto, i bambini più grandi a guardare Cenerentola in DVD e gli adulti di fronte a I Soprano, a discutere del rapporto tra Tony, il capofamiglia e capobanda, e la Dottoressa in Psichiatria Jennifer Melfi. Il secondo pezzo era nella cronaca locale del New York Times. Si è aperto un mercatino di memorabilia del set della mitica serie tv, oramai chiusa.

Tre inediti

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di Cristina Annino 

L’APPUNTAMENTO

Non avrò futuro che essere
pesante: le premerò le costole
con l’aggeggio ferroso, da
tagliare le gambe a chiunque.
Mai saputo quanto
debba durare l’amore o un
incidente di strada: stessi
dati di ferro sonoro. Allora, come si
scappa da questi due sensi?
Non so
usare l’amore, madama, non lo
vedo, non lo spezzo in due, non lo stacco
dal muro, non ci ragiono. Non reggo il
peso soprattutto di questo volume.

Da Burri (seconda parte)

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di Christian Raimo

“Nel paese dell’arte, l’arte che sola ha la capacità di tradurre e ingrandire nella dimensione estetica un messaggio morale: mi riferisco appunto ad una concezione quasi messianica dell’arte che è ancora ben viva in Burri come in tutto l’informale, e ad un paese che, in materia di convergenze tra povertà, etica ed estetica, da Jacopone a San Francesco (Burri è umbro) a Pier Capponi e al Caravaggio ha una robusta tradizione”.

L’onda anomala

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di Nicolò La Rocca

Prima o poi doveva succedere: l’enorme sasso lanciato nello stagno da Saviano, dopo una serie di cerchi concentrici che hanno prima allargato e poi inquinato il senso di Gomorra, ha prodotto l’onda anomala. Mi sembra che gli interventi di Pascale, di Di Consoli e di molti altri scrittori sulle pagine de “Il mattino”, fondamentalmente abbiano adottato l’imperante statuto dell’equivoco che porta, tra le altre cose, a mescolare il fenomeno Gomorra con il libro Gomorra.

Da: Ecce Deus

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di Andrea B. Nardi

[Sullo sfondo di un impero che si sta modificando per sempre, un vecchio soldato dal passato eroico ma oscuro, forse malato, forse pazzo, deve tornare al servizio dell’imperatore Costantino. Il concilio di Nicea vede lotte fra opposte eresie, mentre la politica fagocita il Sacro. Che infatti non esiste più, assieme a una Roma destinata a rimanere ormai solo un antico sogno. Un romanzo psicologico di personaggi epici, un noir di spade e misteri, una denuncia teologica di come la religione e i dogmi siano parto solamente della ragion di stato, dei conflitti di potere. E se una semplice votazione a Nicea fosse stata diversa, oggi noi pregheremmo altri Dei]

Non dovettero passare troppi istanti, però certo c’erano parecchie porte, cancelli, portali, inferriate da aprire, richiudere, e scale da scendere, corridoi da percorrere, attenti a non inciampare, l’oscurità, l’odore, l’oppressione, ma dopo poco si trovarono davanti al portoncino giusto: dall’altra parte c’era l’imperatore di Roma.

Caro Roberto…

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… sono da qualche ora nelle nostre terre e noto con estremo dispiacere – senza distacco – che le famose mosche di Céline da te citate si sono armate di spilli e vorrebbero accecare l’unico occhio letterario per cui valga la pena vedere la letteratura, ovvero la sua capacità visionaria e ribelle. E così mezze tacche di critici da Premio…, Bacoli – ti eri inventato questo Premio per un bel racconto pubblicato sulla nostra rivista Sud – si ergono a maestrini della nuova sinistra, letteratura, per non parlare di sedicenti scrittori, mediocrità venduta al chilo insieme ai loro atelier di scrittura. Ma in mezzo a tanta M…..(direbbe Louis Ferdinand) ci sono scrittori a cui siamo legati,(a seguito della pubblicazione del Post e di un mio intervento sul sito letteratitudine il rapporto che mi legava allo scrittore Andrea Di Consoli si è dimessamente dismesso,ndp), da anni di amicizia, frequentazione. Mi hanno mandato due articoli, pubblicati sul Mattino , in cui sollevano le vesti di quel cumulo di non detti, invidia. gelosia, animosità, per tentare una riflessione sull’oggetto letterario. Mi piacerebbe che dicessi la tua, a questo punto.
tuo
Francesco

Il Male che bagna Napoli
di
Antonio Pascale

La città di Napoli (e il suo hinterland) ha ormai invaso il nostro immaginario narrativo. Da una decina d’anni a questa parte, scrittori, artisti, intellettuali, registi, sceneggiatori e pure qualche poeta parlano e raccontano Napoli. Si può dire a tutt’oggi che nessuna città italiana ha subito lastre radiografiche così invasive e così continue come Napoli. Certo alcuni hanno preferito racconti superficiali, altri hanno raccontato la città con dolore e con amarezza, altri ancora con troppo dolore e troppa morbosità.

Andare avanti dopo Saviano
di
Andrea Di Consoli

Le dure parole di Sergio De Santis, scrittore che è unanimemente riconosciuto equilibrato e mai demagogico, sulle colonne di questo giornale, in data 16 giugno, mi hanno dato l’impressione di un clima che sta cambiando. Ma cosa sta cambiando esattamente a Napoli? A mio avviso sta scricchiolando la dittatura del realismo e del reportage, quella che è stata giustamente definita, su questo giornale, la “retorica dell’apocalisse”.

Tutto il mondo ha voglia di ballare

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garlini.jpg di Gianni Biondillo

Alberto Garlini, Tutto il mondo ha voglia di ballare, Mondadori, 2007, pag. 342

Roberto e Riccardo hanno otto anni quando si incontrano per la prima volta nel 1975 nella campagna parmense, durante il rito antico della macellazione del maiale. La loro sarà un’amicizia assoluta, come solo quelle che ti porti dall’infanzia sanno essere.

Aspettando Burri (prima parte)

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di Christian Raimo

Se è vero che la mia adolescenza, la mia distesa post-adolescenza e tutta la mia formazione come quella dei miei coetanei sia stata vissuta sotto il segno – limpido e ineluttabile – del disincanto, è vero anche che tra l’inverno e la primavera del 2007 mi resi conto, in modo così lucido da non essere nemmeno preoccupato, che la mia capacità di trovare bello un qualunque elemento del mondo circostante si stava riducendo a livelli patologici.
Negli anni avevo metabolizzato molte cose: la disillusione per le battaglie politiche, il fatalismo per il disastro della scuola e dell’università (ossia il posto dove avevo passato i 9/10 della mia vita), l’incredulità per qualsiasi parola che venisse spacciata per “verità”, l’annoiata indifferenza per le molteplici apparizioni del “nuovo”… Avevo certo considerato che questa forma di sfiducia progressiva fosse anche un sinonimo di realismo, e quindi di maturazione personale. Intanto, per essere sincero, diffidavo di ogni persona che mi venisse a raccontare o – peggio – a proporre alcunché in modo entusiastico. Non mi appassionavo, ok, a nulla.

Le lacrime della pittura

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rothko-chapel.jpgdi Arnaldo Colasanti
Mark Rothko, il maestro, un giorno tentò di spegnere la disperata voracità dell’arte novecentesca. A Houston, in Texas, si incontra un santuario in mezzo a case di legno e mattoni, lungo strade ordinate. E’ un piccolo edificio, senza finestre e ornamenti. La sua anonima vocazione multireligiosa, lo stare laggiù, in una provincia distante un milione di chilometri da New York e dall’Europa, dà alla struttura un che di amorfo: una specie di semplicità muta, senza domande.