di Andrea Raos
La scorsa settimana ho passato qualche giorno a Montreal, invitato ad un incontro di scrittori attorno al tema della “confessione” (“l’aveu”, cioè non la confessione cristiana ma quella diciamo, in senso lato, giudiziaria). Non ero invitato a parlare ma solo a leggere qualche poesia e a partecipare, se volevo, al dibattito sugli interventi altrui. In pratica, ero in vacanza.
Nelle pause dei lavori, in albergo, guardavo la televisione.
Con in testa il tema della confessione, intontito dal fuso orario, ho visto scorrere rapidissime le immagini iniziali del processo appena iniziato a La Haye contro Bernard Ntuyahaga, uno degli attori del genocidio rwandese.
Soprattutto, molto più lentamente, ho assistito in diretta su CNN al massacro che ha avuto luogo in quell’università in Virginia e poi, da quando sono stati recapitati a NBC e da lì catapultati sul mondo, ho rivisto e riascoltato mille volte le foto e i video di Cho Seung-hui.
Le immagini e le idee si sono fuse.