
Di effeffe alias « il Maé » Francesco Forlani
(Segnalo l’uscita del n° 2 della rivista SUD, anomalo e fecondissimo laboratorio di scritture e d’immagini, collocato in un variabile campo di forze passanti per Lisbona Milano Napoli Parigi Praga… Eccovi un piccolo estratto. Il brano è anche innesco al tema del numero: maestri, maestranze, diseducazioni, e altro. Accludo l’indice. A. I.)
Ho smesso di cercare un maestro quando è morto mio padre. Ricordo la data esatta; e voglio dire il giorno, e se la memoria non m’inganna – la morte di certo no – potrei ricostruire l’ora e il minuto. Il luogo? Lo so. Perché è negazione di patria, è l’ex patria, mentre la lingua è quella non più materna, bensì dell’ospite, affrancata. Ho smesso di cercare maestri e mi accontento di osservare quelli degli altri, e mi piace ascoltare i racconti degli uni, i maestri, e degli altri, i discepoli, come attori di un film in cui si recita a soggetto, e che pero’ dietro le quinte ti rivelano il come e il perché.

IL MIO AMICO CRITICO: Non possiamo parlarci sullo stesso piano, dentro le nostre opere. Tu parli attraverso la tua opera, io attraverso la mia (visto che hai la bontà di considerare “opera” anche quel che scrivo io). Possiamo parlarci fuori delle nostre opere.
Caro Antonio, rieccomi a tediarti con le mie richieste. Intanto ti dico che ho preparato un tè verde dello Yunnan che si presenta in una simpatica scatola cilindrica di cartone verde. Il contenuto è avvolto in una carta molto croccante, ed è una specie di nido fatto di foglie pressate. Molto piacevole. L’ho comprato in un negozio di fronte alla sinagoga, in piazzetta Primo Levi, qui a Torino.
IL MIO AMICO CRITICO: Sei un po’ vago… Dimmi chiaramente quale sarebbe l’alternativa al mio modo di fare critica.
Siamo così giunti al termine in questione: entropia.



Il Perugia si è salvato. Nel prossimo campionato resterà in serie A.
Carlo V (che gli spagnoli chiamarono e continuano a chiamare Carlos primero) si ritrovò a capo di un impero mondiale nel 1519, neanche due anni dopo che Lutero aveva affisso le sue novantacinque tesi sulla porta della chiesa di Wittenberg.

Ho confrontato tre opere che hanno ben poco in comune. Mi pare un attacco niente male per convincere il lettore a lasciare perdere o a farmi incatenare. In realtà mi sono convinto che a intime profondità tutt’e tre le opere di cui voglio trattare siano sovrastate dalla morte. Per morte non intendo solo il fenomeno metafisico che ispira gesti scaramantici, ma anche ciò che riguarda l’eternità, e con essa l’infinito.
Che fare allora? Si resta a guardare, senza reagire, venir avanti la “terza ondata” fascista? (La chiamò così André Gluksmann in un’intervista preveggente: dopo il nero e il rosso, quello verde).
Poteva andare diversamente?