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di Piero Sorrentino
“Un gorgo di acqua limpida” (Nero.). “Un telefono che suona” (Dellamorte Dellamore e Non è successo niente) . “Un rumore” (Il tornado di Valle Scuropasso).
Nei romanzi di Tiziano Sclavi si entra sempre come per caso. Laddove qualunque altro narratore si affretterebbe prima di tutto a scrivere di quel gorgo, di quel telefono, di quel rumore, Sclavi non prova nessuno sgomento nel cominciare le sue storie con la certezza che la scena d’apertura promossa a incipit è una scena qualsiasi, una sequenza come un’altra. E senza troppi brividi sposa la lontananza, l’indefinitezza, la sfumatura, la vaghezza dei riferimenti. L’impegno di costruire un romanzo è tenacemente legato alla necessità di distruggere, di sovvertire, di ribaltare. Di scompigliare le carte del romanziere e mischiarle con quelle dello sceneggiatore.
