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Ridendo con bonomia

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dalla Catena di Sanlibero 315, di Riccardo Orioles.

Città. C’era una volta in una città della Sicilia un giovanotto che si chiamava per gli amici Enzo ma era per tutti gli altri l’ingegner Enzo M. Difatti s’era laureato da poco tempo e ne era orgogliosissimo. “Ingegnere!”. Un giorno il nostro ingegnere incontra un vecchio compagno del liceo, che però invece di darsi alle professioni aveva deciso di far carriera in politica (doveva essere una classe di liceali particolarmente brillanti). E anche lui con successo: ma per gli amici, naturalmente, continuava a chiamarsi Nino. “Caro Enzo!”. “Caro Nino!”.

MOLOKH II

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di Angelo Petrelli

Il gelo che la minima luce traveste di sole
e cancella – o sei anche, a volte – questa mancanza
di prati clamorosi dove perire, ora/lontani, o da sempre
perduti nel gioire di gesti inesatti, felicità nel volto
presto sconvolte per venti più forti, di globi
disposti in oblii, simmetrie o di piogge o di fuochi

A cena (e a colazione, se possibile) con Eva

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di Giovanni Choukhadarian

Da Jung in avanti (almeno), il romanzo moderno, che rifiuta il mito in quanto privo di necessità ermeneutiche, col mito deve fare i conti: e se non sono miti, saranno almeno, con Weber e Jaspers, almeno idealtipi. Di recenti, però, ce n’è pochissimi. Peter Pan, su cui tutti sembrano d’accordo, con molta generosità Holden Caulfield e poi, quasi certamente, Lolita.

Il senso e la sperabile utilità di una discussione (il mio schifo, e l’animale da guardare)

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di giuliomozzi

[Pubblico questo articolo contemporaneamente qui e in vibrisse. Lascio aperti i commenti qui, e li chiudo in vibrisse. gm]

A che cosa serve, si è domandato più d’uno, una discussione come quella, abbondantissima, che è nata in Nazione indiana attorno all’articolo di Raul Montanari (pubblicato da Piero Sorrentino) Grazie, Di Canio, è proseguita in calce all’articolo di Christian Raimo Okkio al Canio, si è parzialmente spostata in vibrisse dopo il mio articolo Della più bell’acqua, e ora ha ripreso a macinare di nuovo in Nazione indiana con la ripresa, sempre da parte di Sorrentino, di un intervento di Montanari (Addenda a “Grazie, Di Canio”) già apparso nella discussione in vibrisse? A che cosa serve?
[E vedo ora che si aggiunge un altro articolo di Christian Raimo: Natale con i tuoi].
Dico subito: nei vari filoni della discussione ci sono stati interventi futili, provocatori, scemi, osceni, dileggianti, ridicoli: in una parola, interventi inutili. Ce ne sono stati come ce ne sono in ogni discussione – nel web si vedono di più, perché restano lì scritti. Questi interventi programmaticamente, intenzionalmente ed effettivamente inutili non mi interessano (per ora): sono il ronzio, il rumore di fondo.
La parte non intenzionalmente inutile della discussione, allora, è riuscita a essere effettivamente utile? Che anche in questa parte della discussione ci siano state alzate di tono, scambi di cordialità non esattamente carinissime, eccetera, vabbè: anche questo succede in tutte le discussioni. Si discute, si litiga, si equivoca, ci si spiega, eccetera. Non può essere che così; e tutto questo non inficia complessivamente l’utilità della faccenda – se un’utilità c’è.
A me sembra che la discussione sia stata utile. Per due ragioni: per due risultati positivi raggiunti.

Natale con i tuoi

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manifestazione di canio
di Christian Raimo

Allora, ieri sono andato alla manifestazione pro Di Canio davanti alla Figc. Alle tre del pomeriggio di un giorno di bailamme pre-natalizio, circa mille persone sono arrivate a via Po, vicino Villa Borghese. Quasi tutti uomini, ma di età molto diverse. Ragazzini e settantenni, qualche famiglia pronta per lo shopping. Doveva esserci anche Di Canio, ma alla fine ha preferito non andare “per tutelare lui e i propri amici-tifosi”. Ossia, se la cosa trascendeva, sarebbero forse scattate squalifiche peggiori. Al suo posto ha parlato un capo-tifoso degli Irriducibili che ha chiarito da subito che la loro era una manifestazione apolitica, che da anni ormai gli Irriducibili sottolineano la loro volontà assoluta di eliminare la politica dagli stadi, e che se hanno esposto croci celtiche e simbolame vario è stato soltanto a Livorno con lo scopo di rimettere sul tavolo il problema dei due pesi e due misure: se loro espongono il Che, allora noi non siamo coglioni e ritiriamo fuori i fuan.

Addenda a “Grazie, Di Canio”

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di Raul Montanari

[pubblico questo testo di Montanari prendendolo dai commenti di Vibrisse, in cui Giulio Mozzi ha pubblicato un post su Grazie, Di Canio. P.S.]

Buongiorno a tutti.

Sono molto grato a Giulio di avere aperto questo dibattito. Capisco cosa lo ha infastidito nel pezzo di cui state parlando; volendo stare al gioco, l’accusa di lombrosismo mi convince più di quella di razzismo, ma forse è solo perché la parola è più buffa e fa risuonare eco meno allarmanti.
Provo in pochi punti a spiegarmi, cercando di non farla troppo lunga tranne dove è necessario.

Mafia e P2

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di Riccardo Orioles

Cari lettori, la strenna che abbiamo scelto quest’anno per gli amici della “Catena” comprende alcune “vecchie” inchieste – nel file allegato – su mafia e P2. Vecchie perché uscirono sui Siciliani a metà degli anni Ottanta; ma ancora purtroppo non prive d’interesse, dal momento che dei protagonisti di queste storie alcuni sono pervenuti alle massime cariche dello Stato mentre altri, emarginati in Italia a seguito delle inchieste della stampa antimafiosa e della Magistratura, si sono poi riciclati a metà Novanta negli Stati Uniti. Dove adesso collaborano – secondo quanto pubblicato da Business Week e dal WSJ e, in Italia, solo dalla “Catena” – alla gestione della security aeroportuale per conto del governo Usa.

Scarica la raccolta Mafia e P2 di Riccardo Orioles (42 pagine, formato pdf).

Io penso che (pensieri molto robotici)

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di Franz Krauspenhaar

All’implementazione di noi robot autoevolutivi si accede
con nuove applicazioni autoassemblanti
di riprogettazione delle cellule staminali del boia.

A Lione lo sanno, mangiano lumache robotiche
e, negli scafandri della società del malessere, topi grigi con la nuca
a mezzaluna.

Okkio al Canio

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di Christian Raimo

Ieri ho finito un corso di scrittura a Parma, quindici incontri, e le persone che lo avevano frequentato mi chiedevano di trarre delle conclusioni meno tecniche del solito. Io ho provato a partire dall’articolo di Raul Montanari su Di Canio, per provare a riflettere come quello che scrive Montanari è esattamente l’opposto di quello che per me è il compito della letteratura.

Polar/ Thierry Crifo

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immagine di Alessandro Baronciani

Porca Parigi
di

Thierry Crifo
traduzione di Francesca Spinelli

Se ne sta al volante della sua Mercedes coupé, parcheggiata in rue de Seze, dietro la Madeleine, sono le tre di notte ed è gennaio inoltrato. La Madeleine, come quella di Proust e della sua memoria sepolta e dispersa, Proust che abitava qui vicino, tra l’altro, la Madeleine dell’Olympia dove Mistinguett era di casa, anche se quello era solo un cinema tra tanti altri, la Madeleine della piazza, della chiesa e di fronte, in lontananza, dopo la Senna, l’Assemblée, che le fa da gemella, da trompe l’œil ufficiale; la Madeleine del teatro, di rue de la Paix e del suo caffè, dell’Opéra e del suo fantasma; e poi, dall’altro lato, la Madeleine di rue Royale, se si getta uno sguardo dietro la facciata impenetrabile di Maxim’s e del suo defunto cacciatore, dove tanti smoking e tante scollature si sono strofinati, tra bicchieri vuotati e altri rotti, dove tanti musicisti di operetta si sono assopiti in piedi, morti viventi, sognando per notti intere finte contesse che non si sarebbero mai scopate, ma bisogna pur campare, e allora giù serate, col violino in spalla che piagnucola da sempre, davanti a tavoli di aristocratici di fine secolo, di americani straricchi, di uomini politici scaduti o in erba, di donne da prendere, accompagnare o abbandonare; la Madeleine di rue Royale, quindi, ma anche quella della Concorde e della Camera dei Deputati, addormentata, per una volta, e poi quella delle Tuileries e dei suoi appuntamenti tra uomini avidi di sessi frettolosi, e infine quella del Louvre, del suo museo e della sua piramide mitterandiana, da cui la prospettiva, valore a quanto pare borghese, lacera a modo suo il cielo e il selciato di Parigi, con uno squarcio netto e imperioso.

Licola Paradise

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di Davide Morganti

Se si attraversa Licola mare si è risucchiati dentro un day after marginale, di borgata cresciuta sulla muffa, che porta nei muri le stimmate di una città scheletrica, consumata dalla deriva. Non a caso un ragazzo, lo chiameremo Renato, mi dice, ridendo, che “Stanno meglio a Bagdad!”. Le giornate lui, una volta uscito dalla scuola di Monterusciello, le passa sul lato opposto di Licola, alle spalle del Depuratore, nella zona denominata Reginelle. “Qua – interviene un suo amico – la sera se non fosse per la luce del tabaccaio non ci sarebbe illuminazione”. A Licola mare mancano segnaletiche, non tutti gli impianti fognari sono terminati, il risanamento delle strade è labile, l’evasione scolastica diffusa.

Page Blanche à la POESIE

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A seguito di analisi, considerazioni, letture e soprattutto incontri, lanciai qualche tempo fa, tra i commenti di Nazione Indiana la proposta seguente: (due punti) visto che le antologie imperversano (nel senso di rendere ancora più perversi i rapporti tra poeti ed editori, critici e poeti, e soprattutto poeti e poeti) propongo ufficialmente l’edizione On Line e su supporto cartaceo di “Page Blanche à la Poesie”. Il progetto è partito sul sito www.lellovoce.it un mesetto fa e vi hanno aderito i poeti che seguono. Con la stessa veste grafica delle pagine Bianche si pubblicheranno in ordine alfabetico e divisi in settore geografico, nome del poeta e un verso, una frase poetica. Prendendo spunto da una conversazione avuta con Massimo Rizzante, in cui provocatoriamente, mi diceva che per essere poeti bisogna aver scritto un verso di autentica poesia (del resto ci ricordiamo sempre e comunque un verso dei grandi poeti, a meno che non lo si ami a tal punto da mandare a memoria intere poesie, come mi è capitato con Esenin e Dino Campana) la strutttura si presenterebbe più o meno così.
Effeffe

Grazie, Di Canio

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di Raul Montanari

Devo ringraziare il cavernicolo che risponde al nome di Paolo Di Canio, perché con i suoi atteggiamenti, la sua faccia, tutto ciò che è e che fa, mi ha ricordato una cosa della quale forse un po’ tutti ci eravamo dimenticati, cioè che il fascismo è una cosa schifosa e che i fascisti sono persone schifose.

Racconto di cani estivi in due frasi, una lunga e una breve

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di Giorgio Vasta

Ho trascorso la giornata gocciolando lacrimoni di sudore dalla fronte sulle bozze di un libro, sempre alla scrivania, mentre i miei vicini litigavano, arrivava tutto attraverso la finestra aperta, lei gli diceva che lui non la rispetta, che non sa chi è, e io pensavo ma perché quando le coppie litigano c’è sempre questo orgoglio di dire tu non mi conosci, tu non sai chi sono io davvero

Lettera da Praga

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Una poesia di Francesco Marotta.

Per la particolare impaginazione dell’originale, il testo è qui proposto in formato pdf.

Lettera da Praga (pdf) di Francesco Marotta.

(Immagine: Emil Filla – Still Life, 1913)

Residenza Vanessa

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di Graziano Dell’Anna


a zia Rosy

Spalanco la finestra di stanza “Mimosa” e sono colpito dal sole in piena faccia. Lascio che qualche secondo sgranelli giù nella mia clessidra mentale. Poi, quando gli occhi prendono confidenza con la luce, distinguo finalmente il giardino e l’albero di mandarini, i giocattoli, il cancelletto accostato, via Forlì e persino un lembo di piazza Lecce. Allora ritorno con lo sguardo all’interno della stanza. I Quaderni in ottavo di Kafka. Un soffio di luce impolverata incornicia il libro spaginato sul comodino.

Pensieri interrotti

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di Giuliano Mesa

Postfazione a Versi Nuovi, Oedipus editore, 2004

“Discendi sempre dalle nude alture dell’intelligenza nelle valli verdeggianti della stupidità.”
Ludwig Wittgenstein

Cominciare: “meritare l’inizio di ciò / che continuamente comincia”. Continuando, dal silenzio di ogni auctoritas presunta, sempre in agguato. La fortissima componente autocritica (di critica dell’autòs) che muove e attraversa questo libro inibisce, ed è salubre inibizione, la posa autorevole del discorrere critico. Ancor più per chi li ha visti nascere, uno dopo l’altro, i Versi nuovi, in un dialogo di amicizia e di vita, prima che di poesia. Prima di un dopo, certo. Dopo che nella poesia ci si era incontrati, conosciuti. E mentre, ancora, la poesia accomuna. Una poesia minuscola, più che mai, e più che mai non una.

Storia di scarpe/Ornela Vorpsi

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traduzione di Laura Toppan

Il caso volle che un giovedì del mese di marzo, (opportunamente illuminato da un sole ancora freddo), prendessi la metropolitana aerea, e che un paio di scarpe mi gettasse in un terrore insostenibile.
Mi ero seduta di fronte a un uomo profondamente perso nella lettura del suo giornale. L’uomo portava delle scarpe gialle.

Poesia reale

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di Stéphane Bouquet

traduzione di Andrea Raos

(Ieri sera è sopraggiunta una poesia. Una cena come tante, parliamo di cose rispetto a me non centrali: il tribunale penale internazionale, l’autonomia del diritto o se la giustizia non sia che illusione, uno specchietto per le allodole nelle mani dei potenti, chi giudicherà Saddam e perché gli americani non l’abbiano ucciso. Riconosco volentieri che questi problemi possano essere essenziali per dei vivi di oggi, dicembre 2003. Ascoltavo sì e no.

L’ amore è una stella del mattino (“I’ll be your mirror”:ma era una finestra)

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di Gemma Gaetani

C’è un amore più grande
di te e di me, me e voi nella specie,
acqua su acqua.

Milo De Angelis

L’amore è una stella del mattino:
splende quando e perché il buio è passato,
lucente sempre, fecondo cerino
(quello di Jaques Prévert, dialettizzato).
Mio compito è cantarne l’armonia
(io poetessa romantica e neometrica)
perché l’amore è come la poesia,
lectio su lectio di eterna poetica,

arte del bello dei tanti normali
mortali, innamorati e procreatori,
autori come quegli eccezionali
intellettuali poeti e scrittori
di opere nel, e del, mondo, figli
famiglie e coppie, insomma attività
di creazione, varianti dei fogli
che agli artisti danno celebrità.

Periplo meneghino

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di Gianni Biondillo

Annalisa mi fa vedere una delle sue fotografie: “sai dov’è?” mi chiede, un po’ per gioco, un po’ per sfida.
Osservo la foto con calma: è pomeriggio inoltrato, il cielo sta imbrunendo. In primo piano un parcheggio asfaltato, più indietro, come una quinta alta un solo piano, l’ingresso luminoso ad un hard discount. Dietro sovrasta un edificio in cemento a vista di, come si dice fra architetti, civile abitazione. Una casa popolare, insomma. Sembra la Torre Velasca dei poveri. Alcune fronde di alberi sulla sinistra rammentano l’esistenza di un giardino o di un parco, fuori dallo scatto fotografico. “Sai dov’è?” ripete, poi aggiunge, per aiutarmi: “è a Milano”.
Io so tutto di Milano. Tutto. Sono il suo cantore, il poeta delle periferie meneghine, il lettore urbano, il peripatetico, il flaneur. Milano è il mio correlativo oggettivo, il mio panorama interiore. Guardo di nuovo la foto. Maledizione, non so dove diavolo sia questo posto!