Siamo tutti in pericolo

di Giuseppe Catozzella

Un uomo giace sdraiato a terra accanto allo spigolo del marciapiede. Ha la testa coperta da un telo bianco chiazzato al centro di rosso rappreso. Sparato in faccia, come i codardi camorristi usano fare, colpendo da due passi chi neppure può difendersi.
È una grande fotografia, quella che sta sul ledwall semovibile e luminoso, nello studio TV3 di corso Sempione stracolmo di ragazzi. Roberto Saviano sta un po’ scostato sulla destra e indica quell’istantanea, mentre Fabio Fazio gli passa addosso un fugace sguardo di terrore. Poi indica i bambini, i tanti bambini che nell’immagine assistono al lavoro della polizia mortuaria e grida, quasi sorprendendo anche se stesso: “Che tipo di Paese è quello che permette tutto questo?”.
Che tipo di Paese è, il nostro?

Seduto sullo strapuntino poco imbottito sotto i caldissimi riflettori dello studio televisivo mi vengono in mente chissà perché i discorsi che faceva Pier Paolo Pasolini prima di essere ritrovato ammazzato sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Mi vengono in mente le ultime quattro parole per così dire “pubbliche” pronunciate da Pasolini, dette a Furio Colombo nell’intimità della sua stessa casa, poche ore prima di venire ucciso: Siamo tutti in pericolo, risponde alla richiesta di dare lui stesso un titolo all’intervista che aveva appena rilasciato.
Pasolini dice a Colombo di non essere sicuro, di voler rivedere alcune delle cose dette, dice che forse ad alcune domande aveva risposto troppo di getto, chiede di rivedere insieme l’intervista il giorno seguente, ma si dice sicuro sul titolo.
“Per voi” mi rimbombano in mente le sue ultime parole “una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Qui manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fatterello benigno. Cos’è il cancro? È una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. […] Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna. E i letterati. E i sociologi. E gli esperti di tutti i generi. Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. […] Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo.”
Saviano sta puntando il dito contro un grande titolo che dà dell’infame a un pentito. È finalmente riuscito a portare la cronaca locale del casertano a livello nazionale, è una cosa che gli sta nella pancia da tre anni, dice.
E a me?
Fuori dagli studi della Rai di corso Sempione al 27 alle due del pomeriggio c’erano ammassati un sacco di ragazzi. Alcuni stringevano copie di Gomorra, altri, la maggior parte, parlavano d’altro, di scuola. Ho dovuto aspettare più di quaranta minuti per riuscire a entrare, a mostrare che il nome sulla mia carta d’identità corrispondeva a quello che stava stampato sulle liste per l’ingresso agli studi.

La chiacchiera, si diceva una cinquantina di anni fa come una minaccia, ci sommergerà.
E il nostro, oggi, pare proprio essere divenuto il regno della mancanza di pudore per la verità. Quella che un tempo era il bersaglio di qualunque critica portata nel segno dello scientismo e del relativismo, è divenuta ora una chimera. È pratica ormai diffusa il mentire pubblicamente e poi il pubblicamente contraddirsi senza che le parole pronunciate abbiano un peso maggiore del fiato che le ha prodotte. Il presidente del Consiglio dei ministri della nostra Repubblica dovrebbe trovarsi in galera se non si fosse fabbricato una legge per evitarselo. Chi dice la verità, chi la denuncia, chi non smette di testimoniarla, vive invece da recluso.
Un tempo lo sberleffo pubblico della verità si sarebbe chiamato “perdere la faccia”. Ora che la faccia nessuno più ce la mette, in una diffusa omertà del pudore, questo non si può più dire.
Roberto Saviano, in nome dell’eredità pasoliniana, la faccia ce l’ha messa dall’inizio, ben impressa nella quarta di copertina. E ci ha messo anche gli occhi, quegli occhi buoni buoni che diventano violenti all’improvviso, che si accendono come due micce e si fanno pesanti come due macigni.
Fazio, prima della registrazione, ci aveva detto che Saviano era ovviamente teso. È un ragazzo, quasi un ragazzino, a vederlo da vicino, a stringergli la mano. Sta in piedi, al centro dello studio, sotto i riflettori, e si tocca il naso con i due indici, si gratta la testa, gioca con l’anello che è piaciuto a Shimon Peres e che gli ha chiesto di spedirglielo.
Quando esce Antonio Albanese per il suo sketch, Roberto finalmente si siede tra il pubblico e ride, e per la prima volta si rilassa, per qualche secondo forse si gode anche lo show, il sorriso da stentato si fa per un istante naturale. Si vede che sta finalmente tirando il fiato, si vede che gli occhi cominciano a vagare alla rincorsa di quello che è stato, di ciò che è accaduto fino a quel momento, di tutto quello che ha detto, del come lo ha detto, forse.

Con Roberto ci eravamo sentiti il giorno prima via mail. Io gli avevo detto che sarei riuscito ad andare alla trasmissione, e così gli avevo chiesto di incontrarci, fino a quel giorno ci eravamo solo scambiati parecchie mail. Lui era stato evasivo, e poi ho capito perché. I cinque uomini della scorta non lo mollano un istante.
Durante le pause pubblicitarie Saviano appare nervoso e concentrato. Poi è il momento del filmato con le interviste ai ragazzi di Casal di Principe, fuori onda si innervosisce assistendo alle reazioni dei giovani conterranei.

Alla fine della registrazione Loris Mazzetti, un dirigente Rai che avevo conosciuto poco prima, è uscito da una stanza in cui si vociferava ci fosse Saviano. È uscito da quella stanza ed è venuto da me a dirmi che se volevo entrare avrei potuto parlare con Roberto.
Sull’uscio stavano appostati due uomini della scorta, uno dei quali mi ha aperto la porta, non ha lasciato che toccassi la maniglia, ha detto “faccio io”, guardandomi dritto in faccia. Ho attraversato la stanza in diagonale e ho dovuto seriamente lottare con le mie emozioni. Roberto nel frattempo si era alzato dalla sedia su cui stava seduto, a lasciare che la tensione evaporasse. Ha voluto sapere come fosse andata la puntata, se fosse andata bene, se fosse trapelata la sua emozione iniziale. Mi parlava come si parla a un amico, come quando si giocava a pallone e alla fine della partita si chiedeva se si era giocato bene, se l’amico aveva colto il gol segnato, se l’aveva visto proprio bene.
Quello che io ho pensato è che Saviano sono io e insieme non lo sono. Davanti agli occhi avevo un ragazzo di grande intelligenza, rabbia, caparbietà, talento e coraggio. Un ragazzo che per anni ha studiato la camorra e poi ne ha scritto sulla colonna di Nazione Indiana. Un ragazzo a cui è stato proposto di raccogliere e pubblicare ciò che aveva scritto, e di darlo alle stampe in qualche migliaio di copie, come sempre si fa, come per tutti i libri che escono. Io sono Roberto perché io ho acquistato Gomorra e leggo i suoi articoli, come altri milioni di italiani. Roberto siamo noi perché Gomorra è i suoi lettori.
Ma io non sono Roberto finché io lo lascio solo. Se lo lascio solo sono il suo nemico. Sono anni gravissimi e bui per la nostra Repubblica, per il nostro Paese. Anni che portano alla memoria ricordi che parevano essere ormai sepolti. Anni in cui la criminalità organizzata è la maggiore azienda italiana e un’oligarchia criminale impedisce la libera circolazione dell’informazione. Anni storti che non si possono sapere, che non hanno il coraggio di farsi dire. Anni sotterrati nel piacere dell’ignoranza. Anni buttati a cercar di far valere il proprio merito, la propria intelligenza, un proprio talento, quando l’unica cosa che conta è l’aggancio, l’affiliazione, l’amicizia, il signoraggio, la totale mancanza di dignità.

Noi giovani abbiamo il dovere di stare dalla parte di Saviano, abbiamo il dovere di non lasciarlo solo. Roberto è un ostaggio del nostro Stato – per lo meno della parte marcia di esso, quella che fa gli affari, quella che comanda – e dunque, da un certo punto di vista, è un nostro stesso ostaggio. Roberto è nelle nostre mani, nelle nostre decisioni. Abbiamo il dovere di testimoniare, abbiamo il dovere di denunciare, abbiamo il dovere di parlare, abbiamo il dovere di non stancarci mai di farlo. Abbiamo il dovere di dire lo schifo di uno Stato la cui seconda carica dovrebbe stare in prigione e si fa invece garante della legalità, della giustizia e della Costituzione. Di dire lo schifo di uno Stato in cui l’informazione è gestita da pochi poteri economici. Lo schifo di uno Stato senza futuro per i più giovani, in cui per farsi assumere bisogna morire. Lo schifo di uno Stato in cui bisogna vergognarsi dei propri meriti. Lo schifo di uno stato in cui l’economia sommersa è più prolifica di quella denunciata. Lo schifo di uno Stato in cui la testimonianza della verità è punita con la reclusione. Lo schifo di uno Stato in cui tutto ciò che ho appena scritto appare retorico e poco reale, uno Stato che vive nella forma, nelle forme.
“L’unica cosa che il male necessita per trionfare è che gli uomini buoni non facciano niente”, ha esordito Saviano. A chi dirà che tanto le cose non si cambiano potremo rispondere che se la pensa così allora in fondo non avrebbe neppure il diritto di venircelo a rinfacciare. Poiché questo, in verità, è l’unico modo possibile per cambiare l’Italia nata corrotta. Potremmo ricordare quanto è aumentata l’attenzione sulla camorra, da quando Gomorra ha cominciato a vendere. Quanti arresti in più sono stati compiuti. Potremmo ricordare, per esempio, la galera di Previti che per questo ha incolpato chi non si è mai stancato di parlare delle sue malefatte.
Cosa vuol dire che Gomorra vende più di ogni altro libro? Cosa vuol dire che se Saviano va in tv insieme a Paul Auster e a David Grossman a parlare di camorra e letteratura, quella è la trasmissione più guardata?
Che Paese siamo? Che Paese vogliamo essere? Che Paese vogliamo diventare? Per quanto ancora vogliamo riuscire a sopportare? Perché ci siamo abituati a sopportare?

Dopo una ventina di minuti era ora che uscissi dalla stanza in cui mi trovavo con Roberto. L’ho ringraziato per quello che fa per me, per quello che fa per gli italiani, come ho fatto con tutti quelli che mi sia capitato di incontrare che hanno il coraggio di opporsi con i fatti e le parole alla mafia.
Poi ci siamo stretti in un abbraccio e ci siamo salutati.
Da quando ho afferrato la maniglia per uscire da quella porta mi sento un uomo meno libero, ho la consapevolezza di essere in pericolo.
Io so che siamo tutti in pericolo.

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78 Commenti

  1. E’ vero, noi che ancora crediamo che si debba e si possa fare qulcosa, qualunque cosa per combattere le mafie e l’illegalità siamo tutti Roberto e non lo siamo e dobbiamo fare la nostra parte, metterci anche noi la faccia e l’impegno. Noi che non viviamo blindati abbiamo il dovere di sostenere con le nostrte azioni quanti rischiano quotidianamente la vita per affermare la legalità in questo Paese ormai sfigurato dalla malapolitica, dalla disinformazione e dalla colpevole ignoranza.

  2. Caro Giuseppe, ti ripeto che sei e siete uno dei motivi per rimanere a resistere qui e lavorare anche nel proprio piccolo caparbiamente e anche stupidamente con vita e gioia per non lasciare proprio tutto essere sopraffatto. lucia

  3. Grazie per l’articolo che dà nobiltà a tutti come Roberto Saviano che lottano contro il silenzio e la paura.
    E’ davvero un bell’articolo.

  4. Volli, sempre Volli, fortissimamente volli…
    gli italiani non vogliono più, desiderano bramosamente solo…la materialità che che gli viene messa davanti e così si corrompono.

  5. Non solo siamo tutti in pericolo ma, come dice spesso Roberto, tutto cio’ ci ri-guarda e anche molto da vicino. Vivo negli Stati Uniti da 20 anni e se c’e’ una cosa che questo paese mi ha insegnato e’ capire profondamente che l’individuo, con la propria responsabilita’, puo’ fare molto. C’e’ molto di possibile e poco di impossibile al mondo. Il DNA della maggior parte degli Italiani e’ pessimista, e’ seduto. Lascia che le cose passino. Si abitua a tutto. Roberto non solo non va lasciato solo ma ognuno di noi deve fare la sua parte; altrimenti, come dici tu, nessuno di noi puo’ lamentarsi. Ci dovrebbe essere il divieto di lamentela per coloro che non muovono il culo. Ed io sento tante lamentele ed ancora pochissima azione. Enzo Siciliano, qualche settimana prima di morire, disse di Roberto, “Ha negli occhi lo stesso magnetismo di Pier Paolo”. Pertinente la tua relazione.
    Grazie.

  6. ..in pausa nell’andirivieni di una frenetica quotidianità che non lascia il tempo per la riflessione, davanti a un camino ancora acceso e un bicchiere di vino, trovo nelle tue parole spunto per pensare..e per provare vergogna, una tristissima e disperata e consapevole vergogna…

  7. La parola di denuncia, di verità può essere molto pericolosa per chi la pronuncia, perché è ribelle, radicalmente critica verso il potere (istituito o mafioso che sia, senza separare i due aspetti più di tanto). Ma affidare alla sola parola di verità l’aspettativa della sconfitta di un mondo corrotto e criminale (il nostro), e dunque l’aspettativa di vittoria verso un mondo migliore, è, a mio avviso, utopico. E’ su questo che non sono d’accordo con Saviano, che ha ribadito anche da Fazio la sua totale fiducia nella parola. Finora, nella storia, il potere della parola è stata sconfitto dal potere del denaro. Non mi risultano esempi contrari. Per cui, direi che la parola è uno strumento potente, ma non va lasciata sola.

  8. @ db
    Non ho capito: Pasolini voleva morire? Non ho capito chi ha messo in giro questa voce, dev’essere comunque un persecutore, consapevole o meno non importa.
    Vedi poi casualmente – per chi crede al caso – la notizia di oggi http://it.reuters.com/article/entertainmentNews/idITMIE5300QL20090401
    Certo, con la logica che legge nell’accostamento a Pasolini il tentativo di gufare potremmo vedere in questa notizia l’ipotesi di un pesce d’aprile.
    @ Giuseppe
    tra le molte cose condivisibili – a mio avviso – che dici in questo pezzo di grande forza persuasiva, mi pare che una su tutte sia da sottolineare: il fronte generazionale aperto dall’autorevolezza ormai planetaria di Saviano. Finalmente abbiamo, tra le molte cose che ci porta in dote questo formidabile scrittore, anche la prova pubblica della forza morale, intellettuale e civile della generazione nata negli anni Settanta.
    @ macondo: infatti si tratta di trovare anche la strada economica oltre che spirituale per resistere e praticare da subito e senza deleghe un modello di vita e di sviluppo alternativo. Le cose, però, come ricordava Junger, accadono prima spiritualiter, poi literaliter, quindi carnaliter.

  9. macondo

    se penso a Marx, se penso agli illuministi che hanno preparato la rivoluzione francese, al ruolo degli umanisti (e al recupero della tradizione classica, persino araba) per il rinascimento, a Thomas Muenzer rispetto alla guerra dei contadini (con dietro la tradizione mistica tedesca)….e potrei andare avanti così. Poi queste rivoluzioni, questi moti sono stati sconfitti o ne è venuto fuori qualcosa di non esattamente meraviglioso o ancora quel che ne è venuto fuori di buono è stato mangiato, digerito, e assimilato in un nuovo sistema di potere. Ma che la parola non ha mai inciso sul reale, non mi pare esatto. Forse però volevi dire qualcos’altro.

  10. Ho avuto anche io la stessa impressione di db, leggendo il pezzo. Nei confronti di Saviano stesso, non mi è sembrato un accostamento felicissimo.

    @Giulio Milani. Tutta l’opera pasoliniana è puntellata di episodi dove è evidente un certo “culto” della morte. Basti pensare ai vari luoghi dell’Opera dove PPP immagina (altri direbbero “profetizza”) la sua stessa dipartita. Solo in questo senso si potrebbe supporre che PPP volesse morire. In ogni caso non credo che questo discorso possa essere associato al suo omicidio. Certo quella di PPP era una condotta pericolosa, e lui sapeva i rischi cui andava incontro – il Potere istituzionalizzato non mi pare fosse (e sia) meno pericoloso, per l’incolumità di accusatori del calibro di PPP intendo, della Camorra. Da qui a pensare (dacché nessuno qui l’ha detto) che con essa lui cercasse coscientemente la morte ce ne passa…

  11. @ Aditus
    Questa della “profezia” della morte di uno scrittore nei suoi libri l’ho già sentita. L’ultima volta lo si diceva di D.F. Wallace. Non sarà che per caso è qualcosa che ha a che fare con la croce/delizia, per uno scrittore, di scriversi addosso? Chiaro che a forza di mimare e interpretare la vita propria e degli altri ogni tanto si fa centro, è statistica non è magia nera.
    Nel caso di Pasolini, poi, la tua lettura è opposta alla mia: il “culto” della morte di cui parli non ha mai fatto parte della sua intonazione prevalente, se mai puoi parlare di senso di morte o di minaccia che pervade l’opera, e questo è dovuto al carattere vittimario della sua presa di parola, in quanto è la presa di parola della vittima – del profeta in senso biblico che sta per essere buttato a mare.
    Detto questo, trovo un po’ pericoloso supporre o dare a intendere che siccome Pasolini faceva denunce, aveva “una certa condotta” (e magari apparteneva “a quelli là” e andava a marchette non ce lo mettiamo?) allora un po’ “se l’è anche andata a cercare” (nelle tue parole: la sua era una “condotta” pericolosa, conosceva i rischi che correva). Ma allora vale per la ragazza con la minigonna stuprata dal compagno di banco, vale per lo straniero di passaggio che ha avuto la sfortuna di capitare qui in tempo di crisi, vale per l’imprenditore che poteva farsi gli affari suoi e pagare il pizzo e invece si è messo a denunciare, vale per lo scrittore che ci ha ricordato il potere fondativo della violenza ed è stato ridotto al silenzio e via mistificando la pura e semplice verità: queste sono vittime innocenti, non persone “giustiziate” come scriverebbero i giornali della Camorra e non solo quelli.
    Però sia chiaro, come traspare da questi commenti si tratta proprio di una mentalità condivisa, diffusa, anche tra chi si batte per il meglio, e c’è molto da lavorare insieme e anche un po’ da sorvegliare, giusto l’allarme lanciato da Giuseppe.

  12. @ Aditus
    Un’ultima cosa, riguardo la prima che hai detto. L’accostamento che Giuseppe ha fatto tra l’apparizione pubblica di Saviano e l’ultima intervista di Pasolini “non è felicissimo”, hai ragione, e infatti non voleva esserlo. Voleva essere “tristissimo”, invece. Voleva invitarci a uscire dalle obiezioni leziosette come la tua o dalle controdeduzioni tutte storte e malevole di personaggi come Fabrizio Rondolino sulla Stampa (http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200903articoli/42282girata.asp), che accusa Saviano di essersi confuso con Alessandro Magno o qualcosa del genere (ma ci sarebbe da dire molto di più e di peggio su quel tristissimo articolo, non basterebbe un post, credo io, e alla fine ti domanderesti se non avresti fatto meglio a ignorarlo del tutto). L’invito era a rompere lo schermo e a guardare “nelle cose stesse”: Saviano e le persone che come Saviano si mettono sulla strada della ricerca della verità e della denuncia, sulla strada che Cristo per primo indicò come quella in cui “niente più resterà segreto”, rischiano di sottostare oggi come nel Settanta come nel 33 d.c. a una sola e unica “legge”, quella delle accuse scandalizzate e persecutorie, della “sentenza non scritta” emessa per il bene di tutti. Stiamo parlando della morte fisica, non metaforica.
    Stiamo parlando di andare “fuori dal testo” e raggiungere la verità della vittima, infatti, non già di verificare o meno il contenuto di una proposizione che nomina il mondo. Per dirlo in altri termini: c’è una bella differenza tra discorrere intorno a un naufragio e naufragare veramente. Forse adesso noi vediamo il discorso del naufrago, e non siamo più capaci di cogliere tutto il resto, la tempesta che l’ha portato su quell’isola deserta e che ancora minaccia di travolgerlo, magari col nostro consenso o con la semplice indifferenza agli eventi. Questo, almeno, è quanto ho capito io dell’intervento di Giuseppe.

  13. @ Giulio Milani. Ho la vaga impressione che tu ti stia parlando addosso.

    Dici: *il “culto” della morte di cui parli non ha mai fatto parte della sua intonazione prevalente*, e quando mai io ho detto che è la sua intonazione prevalente?

    Poi: *trovo un po’ pericoloso supporre o dare a intendere che siccome Pasolini faceva denunce, aveva “una certa condotta” (e magari apparteneva “a quelli là” e andava a marchette non ce lo mettiamo?) allora un po’ “se l’è anche andata a cercare” (nelle tue parole: la sua era una “condotta” pericolosa, conosceva i rischi che correva)*.
    Ma ti pare che io abbia detto o lasciato supporre qualcosa del genere? Sei arrivato a leggere fino alla fine? (*Da qui a pensare (dacché nessuno qui l’ha detto) che con essa lui cercasse coscientemente la morte ce ne passa…*). Puoi negare che l’attività giornalistica di Pasolini fosse pericolosa? Ammettere questo significa screditarlo?

    Provo massimo rispetto per Saviano, come è ovvio che debba essere per ogni cittadino che si rispetti. Col mio commento davo solo un’opinione sull’accostamento a Pasolini, cos’altro mi metti in bocca?

  14. @ helena, quello che volevo dire, in pratica, è questo: prendi il Terzo Stato francese, ha cominciato con i suoi cahiers de doléances, ma poi, quando la parola non è più servita perché inascoltata, sono “passati” alla Bastille.
    Oppure, molto più vicino a noi, prendi gli zapatisti. Hanno cominciato, per anni, per decenni prima, a rivendicare, nei sindacati autonomi o nelle associazioni e nei collettivi di base, i loro diritti indigeni, ma quando hanno visto che la loro parola era inascoltata, hanno occupato militarmente 4 capoluoghi del Chiapas e si sono scontrari con l’esercito. Cioè, per essere ascoltati hanno messo “il percussore alla speranza”, come loro dicono, e per rendersi visibili hanno dovuto coprirsi il volto. Poi si sono seduti a un tavolo di trattative con il governo federale, ma, quando hanno visto che non c’era intenzione di vero dialogo, hanno preso ad amministrare i loro territori autonomi contro e al di fuori del governo federale. E così stanno ancora facendo.

  15. @Aditus
    Io non ti “metto in bocca” niente, Aditus. Do la mia lettura del tuo intervento. E la confermo.
    Le petizioni di principio (“massimo rispetto”) e gli elogi come premessa o postulato di un ragionamento che va da tutt’altra parte – che lo si voglia o meno, che se ne sia consapevoli o meno – mi fanno spesso un po’ paura: mi ricordano le cerimonie di seppellimento che si devono al “caro estinto”, cosa ci vuoi fare.
    @macondo
    esistono anche modi meno “percussivi” di far valere le proprie ragioni. anche tu ci inviti alla delega delle nostre responsabilità niente po’ po’ di meno, in questo caso, che alla costituzione di un movimento armato. ma lascia stare, va’, ma cùrati.

  16. @ aditus
    Scusa, non avevo letto. Certo che nego che l’attività giornalistica di Pasolini fosse pericolosa. Era l’attività normale di un intellettuale normale dentro un paese anormale. Tu però hai fatto un’altra premessa – culto di morte che “puntella” l’opera in maniera evidente, profezia di morte dell’autore – prendendo tra l’altro le tue opinioni in affitto dal giornalismo di cronaca e non dalla lettura dei testi, quindi hai parlato di “condotta” e non di “attività giornalistica pericolosa” come hai scritto dopo il mio intervento, e in fine hai concluso il discorso in maniera da infliggere al tuo ragionamento una direzione apparentemente diversa rispetto alla sua impostazione iniziale. Apparentemente, perché hai usato un avverbio rivelatorio: “coscientemente”. Hai scritto, rileggiti con attenzione: «Da qui a pensare (dacché nessuno qui l’ha detto) che con essa lui cercasse coscientemente la morte ce ne passa…» Be’, è vero, prima ho detto che la tua obiezione era leziosa. Non è leziosa, è capziosa e faziosa, e sta tutta dalla parte dei persecutori del profeta.

  17. Il fatto che tu controribatta senza nemmeno leggere conferma il fatto che ti parli addosso. Inoltre ho seri dubbi sul fatto che usiamo la stessa lingua.

    aditus: *Tutta l’opera pasoliniana è puntellata di episodi dove è evidente un certo “culto” della morte.*
    giuliomilani: *culto di morte che “puntella” l’opera in maniera evidente*.

    episodi puntellano l’opera ≠ culto di morte puntella l’opera

    L’episodio è per definizione una “digressione non necessaria, una cosa che interviene, che quindi non pertinente al soggetto, ma èconvenientemente unita ad esso”.

    O tu proietti le tue sincere paure sul primo che capita, alla c****, senza nemmeno leggerlo, oppure tu hai l’abitudine – comunque senza leggere – di sciorinare in pubblico la tua ambizione a ergerti a difensore delle cause assenti.

    Ora medito in silenzio, in religioso accordo con Don Gately.

  18. @aditus
    a parte che io non ti citavo alla lettera, quindi sei tu che non leggi, perché mi psicologizzi? Io non ti ho psicologizzato, ho dato una lettura di quanto hai scritto perché non ero, e non sono, d’accordo, né su quanto dici né – soprattutto – su quanto sottointendi sia riguardo al tema prevalente dell’opera di pasolini, da te posto come “culto della morte” – dimmi dov’è il culto della morte in pasolini, indicami dove si trova il culto della morte in pasolini, anche un solo episodio di culto della morte in pasolini, e io mi riamangio tutto – sia riguardo alla presunta “tristezza” dell’accostamento fra Saviano e Pasolini nel testo di Giuseppe.
    Che tu debbe meditare, quindi, è indubbio. Con o senza il supporto di Don Gateley.

  19. “Ninì muàrt”

    “Ciants di un muàrt”

    “Il dì da la me muàrt”

    (e siamo solo agli anni 40)

    *O essere immortali e inespressivi o esprimersi e morire* [PPP, 1967]

  20. @ giulio milani
    parli di delega, ma niente è meno estraneo al movimento zapatista della delega. Prima di intervenire su una cosa che, vedo, ti è sconosciuta, potresti un po’ informarti. Basta poco, fare un salto in rete e leggere.
    Non ci siamo capiti, evidentemente.

  21. non commento i commenti, alcuni sono troppo alti per me. Commento l’articolo: sono rimasta senza fiato e senza parole. complimenti all’autore e a chi l’ha postato. Grazie

  22. @macondo
    d’accordo, non ho capito. non ci siamo capiti. io infatti non ho capito cosa volevi dire richiamando un’esperienza – quella degli zapatisti in messico – così lontana, mi auguro, da noi e dal nostro mondo. anche perché se devo dar ragione al tuo argomento con gli zapatisti, poi la devo dare anche a borghezio e a calderoli quando ci invitano a usare il fucile per fare la secessione o comunque per ottenere credito. non mi sembra una proposta alternativa a un vecchio e violento modo di ragionare (= di ottenere ragione). infatti ci metti dentro anche la rivoluzione francese, ma non occorre aver letto Talomon e il suo “Le origini della democrazia totalitaria” per capire che anche in quel fenomeno ci sono aspetti su cui sarebbe bene riflettere. ritiro il “cùrati” comunque, che era solo una sparata per farti sentire l’effetto dello sparo appunto.

  23. @aditus
    ma io non credo, sai, che tu te la possa cavare citando tutti i titoli che contengono la parola morto o morte per poter dire che l’opera di Pasolini è “puntellata” di “episodi” dove è “evidente il suo culto della morte”. Però prendo atto di una cosa: come rilevavo dall’inizio, tu ritieni che Pasolini non voleva scientemente morire ma in ogni caso sapeva di correre i suoi rischi e quindi, concludo io, se l’è anche un po’ andata a cercare (come d’altronde il “culto della morte” presente ex pre nei suoi testi ci, ma soprattutto ti, conferma): se ho il “culto della morte”, infatti, quel che vado cercando è la morte, e nemmeno una morte qualsiasi, una morte il più possibile violenta e spettacolare, che serva di lezione a chi la pensa come me. È così? Ti torna tutto fino in fondo? Ti senti più sollevato, adesso? La nazione si è sgravata di un peso, viva il peso.

  24. @giuliomilani. *Prima di intervenire su una cosa che, vedo, ti è sconosciuta, potresti un po’ informarti. Basta poco, fare un salto in rete e leggere.*

  25. @aditus
    ormai sei al copia/incolla da macondo ovvero al tentativo di raddoppio sull’uomo. mi sta bene, me la sono cercata ovviamente. cita tutta questa poesia, o questo brano che ritieni tanto rivelatorio circa la presenza di tracce di culto della morte in pasolini, anche a beneficio dei nostri silenziosi lettori, poi ne riparliamo.

  26. Spesso, quasi sempre, guardiamo solo il nostro piccolo orticello e la nostra realtà senza dare uno sguardo d’insieme!
    Abbiamo il dovere morale di ribellarci e di non stare a guardare, partendo anche dalle piccole cose!!

  27. La funzione che Saviano è riuscito a svolgere e continua a svolgere è qualcosa di eccezionale per l’ambiente in cui essa si volge, il mondo intellettuale e letterario italiano. E per riuscire a svolgerla fino in fondo Saviano si è assunto dei rischi serissimi. Ma in altri ambiti, appunto locali, esistono persone che resistono o che combattono la criminalità organizzata. Questo non bisognerebbe dimenticarlo. Ciò ovviamente non toglie nulla al grandissimo coraggio e alla straordinaria capacità di Saviano di far prendere coscienza un paese intero che la camorra non è una faccenda che riguarda solo i campani. Ma non bisogna commettere l’errore di rimanere ipnotizzati dal dito che indica la luna. In questo momento Saviano è senz’altro uno degli italiani che più pagano per la lotta contro la camorra, ma non è l’unico. Non lo è stato né lo sarà. Credo che si debba essere consapevoli di questo. Ritrovare il filo tra la resistenza e la lotta sommersa di molti e l’aperta denuncia di uno credo sia uno dei modi per far uscire Saviano dalla solitudine e per non fargli portare da solo un peso disumano.

  28. “È un ragazzo, quasi un ragazzino, a vederlo da vicino, a stringergli la mano”…un piccolo grande uomo in un paese in cui gli adulti sono inadempienti e tocca ai giovani porre rimedio ai loro errori e fare quello che loro non hanno più il coraggio di fare. E’ come se la categoria “giovani” si sia divisa in due “gli eterni irresponsabili”, bamboccioni di nome e di fatto, e i “troppo responsabili” . Non so dove andremo a finire, ma sapere che tra i “troppo responsabili” ci sono anime grandi come Saviano mi fa sperare; ogni tanto un raggio di luce nell’oscurità…

  29. E’ un brivido freddo che scende lungo la schiena, sono gli occhi pieni di lacrime. Ogni brivido, ogni lacrima, ogni nostro battito testimoniano che noi insieme ci siamo!Grazie!

  30. Ad Andrea: sono d’accordo su questo. Saviano è certo solo uno di quelli che lottano, testimoniano e resistono, nel nostro Paese. Ce ne sono non tanti, ma alcuni ci sono. Ma Saviano ha avuto un’eco eccezionale. E questo è un bene per l’Italia, un male per lui. Credo che questo punto sia importante. Il resto sta alla coscienza personale di ciascuno.

  31. Chapeau per Saviano, che sta tentando una difficilissima battaglia, però, sono pessimista. Perché? Poiché ho qualche anno sulle spalle, e ricordo uno sconsolato Leonardo Sciascia che lasciò il Parlamento e tornò alla sua Racalmuto, per scrivere e basta. Sarà la strada giusta, quella di Giuseppe, la mia, di tanti altri che scriviamo sul Web? Dove arriveremo? Non scordiamo, oltre a Pasolini, le parole di Sciascia: “Questo è un Paese senza memoria e senza verità”. Scusate lo sconforto. Carlo Bertani

  32. “se devo dar ragione al tuo argomento con gli zapatisti, poi la devo dare anche a borghezio e a calderoli” – ragionamento capziosissimo, caro Giulio, ché oltre al come c’è sempre anche il chi e il che cosa. E il percorso degli zapatisti non ha nulla, ma proprio nulla, a che spartire con i ceffi che citi.

  33. “Roberto è un ostaggio del nostro Stato – per lo meno della parte marcia di esso, quella che fa gli affari, quella che comanda – e dunque, da un certo punto di vista, è un nostro stesso ostaggio. […] Abbiamo il dovere di dire lo schifo di uno Stato la cui seconda carica dovrebbe stare in prigione e si fa invece garante della legalità, della giustizia e della Costituzione. Di dire lo schifo di uno Stato in cui l’informazione è gestita da pochi poteri economici. […]
    “Cosa vuol dire che Gomorra vende più di ogni altro libro? Cosa vuol dire che se Saviano va in tv insieme a Paul Auster e a David Grossman a parlare di camorra e letteratura, quella è la trasmissione più guardata?”

    In questo caso dovremmo anche chiederci che paese è quello in cui lo scrittore e giornalista che ha scoperchiato l’omertà della società civile sulla camorra lo ha fatto pubblicando un libro per Mondadori, ossia la casa editrice del presidente del consiglio, il capo dello stato che fa schifo quanto dice l’autore, il monopolista dell’editoria e della tv, colui che ha fatto a pezzi non solo nel costume (lì era già a pezzi) ma con leggi ad personam il concetto di legalità, l’amico intimo di uno stalliere mafioso e di un certo Dell’Utri, uno che di mafia pare ne sappia qualcosa stando alle sentenze (non ricordo se definitive o meno) dei tribunali, colui che ha dato il via ai club di Forza Italia.

    Era necessario pubblicare per Mondadori? non aveva altra scelta Saviano?

    E se ha parlato di letteratura e camorra insieme a Grossman, ha senso parlare di temi che riguardano letteratura e vita con uno scrittore che negli ultimi 3 anni ha sostenuto apertamente, su tutti i giornali del mondo, e di sua spontanea iniziativa, almeno due crimini contro l’umanità: la guerra al Libano e la carneficina (chè di guerra non si può parlare in quel caso) di Gaza?

    Io, scusate rompo gli inni di lode a Saviano, ma con tutto l’apprezzamento per l’uomo e lo scrittore, e con la coscienza che nessuno è puro, vedo anche queste contraddizioni se si vuol fare un discorso di sdegno etico.

  34. @marco
    caro marco, non estrapolare, sai che questa cosa non si fa ed è altrettanto capziosa. tutto il discorso ha una premessa: ho chiesto a macondo perché riferirsi a un’esperienza come quella degli zapatisti, che è un chi e un cosa lontanissimo dal nostro mondo. se rileggi il suo intervento ti renderai conto che ha evocato – a fronte dell’attuale situazione italiana di cui discorriamo a ridosso dell’affaire Saviano – fenomeni appartenenti a un’altro mondo se non a un’altra epoca. non vedo perché porli a modello qui e oggi in italia. già abbiamo il nostro daffare coi ceffi della lega, i picchiatori di forza nuova e i pistoleri delle nuove br. quindi qui non si trattava di dare o meno la nostra solidarietà alla giusta protesta degli zapatisti, ma di ragionare sull’esportabilità o meno di un modello, di un modo di affrontare i problemi là dove qualcuno, non io, ha manifestato scarsa fiducia sulla forza di persuasione della parola di verità. forse allora la capziosità è nell’orecchio di chi ascolta.

  35. Ho riletto tutto l’intervento di macondo. Non mi pare proponesse alcun modello, piuttosto a me pare un ragionamento di tipo storico: che propone, se mai, la necessità di pratiche sociali collettive e concrete (al di là della sterile opposizione violenza/nonviolenza) che incarnino la parola, e che dalla parola siano enunciate e pronunciate. Ma non sono il suo interprete, aspetterei macondo…

  36. è marginale, ma non capisco il senso di questa frase: “Quella che un tempo era il bersaglio di qualunque critica portata nel segno dello scientismo e del relativismo, è divenuta ora una chimera”.

  37. “In questo caso dovremmo anche chiederci che paese è quello in cui lo scrittore e giornalista che ha scoperchiato l’omertà della società civile sulla camorra lo ha fatto pubblicando un libro per Mondadori, ossia la casa editrice del presidente del consiglio, il capo dello stato che fa schifo quanto dice l’autore, il monopolista dell’editoria e della tv, colui che ha fatto a pezzi non solo nel costume (lì era già a pezzi) ma con leggi ad personam il concetto di legalità, l’amico intimo di uno stalliere mafioso e di un certo Dell’Utri, uno che di mafia pare ne sappia qualcosa stando alle sentenze (non ricordo se definitive o meno) dei tribunali, colui che ha dato il via ai club di Forza Italia”

    concordo con galbiati e aggiungo che sia legittimo e onesto fare queste considerazioni se non vogliamo trasformare roberto saviano in un santino.
    quale impatto può avere una parola, un pensiero di denuncia forte e coraggiosa quale è quella di saviano in un contenitore come matrix, cristo santo!
    che significato ha farsi ospitare dallo stesso criminale che intendi combattere?
    quale confusione genera questo tipo di ragionamento per cui contano le parole ed è ininfluente da chi, queste parole, sono sponsorizzate.
    se il fine giustifica i mezzi, in cosa pretendiamo di differenziarci, noi, “portatori”, di valori “altri”?
    come se ne esce da queste palesi e abnormi contraddizioni?

    non ho letto gomorra, non sono un eroe, comincio ad averne pieni i coglioni di dovermi sentire in colpa per tutti i mali del mondo, non guardo la televisione perchè sento che lei è più forte di me, e a dirla tutta “mi sento più al sicuro accanto a un Pirrone che a un San Paolo, per il motivo che una saggezza arguta è più mite di una santità scatenata”

    molti baci
    la funambola

  38. Niente modelli, ma pratiche sociali. Cosa struttura le pratiche sociali, non sono forse modelli? E questi modelli non si ricavano anche dalla storia? Le persone proprongono modelli e si propongono come modelli, continuamente. Lo sai meglio di me, al di là della sterile opposizione teoria/prassi, modello/concretezza. Comunque è vero, l’opinione di macondo ha brillato per assenza, fin qui.

  39. Le pratiche sociali si costruiscono, ogni pratica sociale nasce da una situazione che è sempre nuova e inedita e produce una nuova concatenazione. Gli elementi possono essere riarticolazioni di modelli, ma le concatenazioni devono essere un innesco nuovo.
    E comunque macondo avrà pure i suoi tempi, avrà da fare, su… non credo proprio gli manchino gli argomenti…

  40. @ funambola e galbiati
    A me pare che siate voi ad avere bisogno di santini, di modelli, di eroi “senza macchia e senza paura”. Avete bisogno di purezza, di coerenza, di pace. Volete che Saviano scenda dal piedistallo perché avete scoperto che “c’è sporcizia, c’è sporcizia, c’è sporcizia sulla testa di Saviano”. Non avete capito che Saviano è oggetto dell’assolutizzazione di un desiderio collettivo di espiazione che ci riguarda da vicino. Quello che chiamiamo “mito” è infatti l’oggetto di un fenomeno di dannazione/consacrazione collettivo, di cui siamo tutti parte integrante e costitutiva. La grandezza dell’eroe sta nel numero di seguaci e di avversari che lo impiega come pietra di paragone e d’inciampo. Sentirsi in pericolo, nel testo di Giuseppe, per come la vedo io significa riconoscere la propria responsabilità di fronte all’esito che questo processo avrà al suo culmine, un processo che si gioca tutto sulla testa e con la testa dell’eroe di turno, perché sia chiaro, come si evince anche da questa orribile serie di commenti: il più cornuto è re. Non sarebbe allora opportuno un atteggiamento un po’ più laico nei confronti di Saviano?

  41. @Milani
    A lei pare sbagliato – almeno nel mio caso -, il mio atteggiamento è del tutto laico verso Saviano, e non mi sento parte di nessun fenomeno di dannazione/consacrazione collettivo, se non altro perchè del fenomeno so pochissimo. Leggevo di più Saviano quando scriveva per NI: da quando è uscito Gomorra io di Saviano non ho letto quasi niente, nemmeno le notizie su di lui – e non per volontà di farlo, ma perchè mi sono interessato d’altro.
    Ma se essere puri, volere eroi e santini significa sottolineare anche le contraddizioni che toccano Saviano – che Catozzella non ha citato -, allora ha ragione.

  42. @Galbiati
    Se lei non sa nulla del fenomeno di dannazione/consacrazione, mi scusi, non significa che non ne faccia parte. Che strano ragionamento è mai questo?
    Allo stesso modo non ho capito perché quando Saviano scriveva con più continuità per NI le interessava, mentre all’uscita di Gomorra nulla. Perché non era più suo pari? Perché è uscito, ha spezzato il cerchio sacro indiano? In ogni caso questo strano comportamento, a cui è seguita la civettuola indifferenza di cui mi dice, non fa che confermarmi quanto aveva già posto col suo precedente commento: lei è più interessato alle occasioni di contesto, o di paratesto autoriale, che all’opera. In questo, ha il tipico atteggiamento “religioso” del comune lettore, che vuole identificarsi nello scrittore per il tramite dei suoi personaggi, narcisisticamente. Le pare un atteggiamento laico?
    Per concludere, le contraddizione che lei vede sono solo le sue, nel senso che sono proprio un transfert di questioni e di valori suoi su Saviano (dalla questione della mondadori, casa editrice dove lavorano persone degnissime che dobbiamo solo “pregare” continuino a farlo, all’accusa ancor più assurda del “contagio” di Grossmann che era seduto accanto a Saviano e quindi lo impestava con la sua contaminazione morale). Anche qui, le sembra un atteggiamento laico? E perché mai allora Giuseppe avrebbe dovuto occuparsi di questi (suoi) stati alterati di coscienza? Ha pensato che forse non se ne è occupato semplicemente perché non ragiona come lei?

  43. ecco bravo milani, hai centrato il punto… hai pensato, che forse, noi ci siamo occupati anche di un altro “sguardo”, proprio in virtù del fatto che non ragioniamo come te?
    che significato dai alla parola laicità? è atteggiamento laico un’ intolleranza così religiosa verso dei perchè?
    non ho avuto bisogno di saviano per scoprire come dici tu che c’è “sporcizia”,
    io non sono una “fedele”, sono molto “realista” e mi sento altamente resposabile, ma mi rincuora che esistano persone come saviano e provo molta pena.
    bon :) tanti baci
    la funambola

  44. D’accordo, funambula, è giusto. Allora ripetiamo insieme: “c’è sporcizia, c’è sporcizia, c’è sporcizia sulla testa di Milani”. Va bene? È questa la reciprocità che cerchiamo?
    Io non credo che in questo momento, data la situazione in cui si trova Saviano, abbia molto senso interrogare i vostri sguardi altri. Sono sguardi “altri”, infatti, o sono i soliti “sguardi cattivi della gente”?

    Ps
    Non ho capito se hai capito o meno l’uso retorico che ho fatto della salve di perché. Mi pare di sì, però sembra anche di no,

  45. @Milani,
    confesso che mi ha molto divertito il suo commento… guardi che se vuol fare lo psicanalista e dire
    “Per concludere, le contraddizione che lei vede sono solo le sue, nel senso che sono proprio un transfert di questioni e di valori suoi su …”
    io potrei ribattere lo stesso per tutto quello che lei scrive, a partire dal fatto che io pur non informandomi e non facendo nulla farei parte di un fenomeno collettivo di massa (in virtù di che cosa? del fatto stesso di esistere? me lo spieghi perchè la faccenda sta diventando esilarante)
    per continuare con il fatto che non ho letto Gomorra perché Saviano col successo non è più un mio pari…
    Tra un po’ dirà che io proietto le mie frustrazioni di editor mancato verso coloro che lavorano in Mondadori, demonizzandoli… ma se uno vuol lavorare nell’editoria e trova posto in Mondadori, io mica gli dico di stare a casa senza un soldo… io parlo di chi può scegliere, e per qualcosa che ha rilevanza a livello della società civile, non personale.

    Ma forse lei vuol fare il neurologo dato che dice che Saviano non si preoccupa – al contrario di lei – dei miei “stati alterati di coscienza”…

    Per il resto sì, io guardo anche al contenitore, al contesto, come no, e forse Saviano lo fa meno di me, in alcuni casi, e di certo se non vede delle contraddizioni ragiona in modo diverso da me, oppure le considera trascurabili.
    Poco male, sia chiaro, dal mio pdv li considero peccati da poco, rispetto al lavoro enorme che ha fatto per scuotere l’Italia sulla camorra – ma non per questo non li dico.

    Io credo per esempio (e non sono il solo ad avere questo stato di coscienza alterato) che se si vuol combattere le mafie Mondadori o Mediaset non siano il contenitore giusto, così come, che, so, partecipare a un dibattito con Dell’Utri o Andreotti.
    Per Nando dalla Chiesa combattere la mafia e avere un certo decoro per la tv pubblica ha significato prendere posizione contro Toni Renis a presentare il festival di Sanremo – pagato con i soldi dei contribuenti.

    Per Grossmann io credo francamente che una persona che compia certe battaglie nella società civile possa scegliere di non far parte di serate con ospiti che si sono distinti, come intellettuali e scrittori, per l’aver sostenuto crimini contro l’umanità. Lei parteciparebbe a un incontro con un fascista non pentito di crimini fascisti o un nazista ecc. o anche un comunista sovietico non pentito? Io no, e lo stesso estendo anche per i sionisti.
    Ecco, tutte queste sono scelte che non richiedono atti di eroismo, solo di evitare certe situazioni.
    Ma ovviamente, questi sono ragionamenti (alterati) miei.

  46. a giuseppe catozzella,

    il tuo pezzo è bello e mi sembra anche inevitabile, nel caso di Roberto Saviano, la ricerca di un’empatia. E oltre a tante doti, è anche vero che Roberto di carisma ne ha da vendere. Ma tolti i rischi più grossi che vengono dai suoi detrattori filocamorissiti o camorristi tout court, esiste anche un rischio minore in chi apprezza e ama Saviano. Che è un rischio culturale e anche molto italico: l’idolatria. E non dico che sia presente nel tuo pezzo. Ma è qualcosa di aleggiante intorno a Roberto Saviano, qualcosa su cui i media finiscono spesso per appoggiarsi. Per questo è un aspetto di cui ho voluto parlare. Tu giustamente parli di Saviano come un simbolo. Un simbolo in qualche modo esorta e accomuna le persone nell’azione, in un progetto. Ma un simbolo può anche essere trasformato in idolo: e qui la sua forza dirompente viene immediatamente neutralizzata. L’idolo è troppo al di sopra di noi perché lo si possa davvero seguire e accompagnare. E sopratutto è dall’idolo che viene la forza, non da me che imparo qualcosa da lui.

  47. Saviano è solo una ragazzo, talentuoso, con una passione grande per la letteratura, un ottimo scrittore certo, con un coraggio fuori dal comune che si potrebbe ascrivere comunque alla sua giovane età; spesso noi “giovani” agiamo d’istinto, e non pensiamo alle conseguenze delle nostre azioni. Le contraddizioni che avete rilevato ci stanno tutte, ma ribadisco, è un uomo, un ragazzo come gli altri; la sua “divinizzazione” è frutto delle sovrastrutture della nostra società ipermediatica, la macchina del marketing che si serve di tv e giornali è animata da un meccanismo perverso, crea miti e divi ma è proprio nella creazione che avviene la distruzione. La mitizzazione di un personaggio, che sia uno scrittore, un giornalista, un cantante, segna la sua fine, perché lo allontana dalla gente. Ora, se si riesce a prescindere da questo meccanismo, e si guarda all’uomo Roberto Saviano, ci si accorge che non è stato ancora “mediaticamente” modificato (per fortuna) perchè continua a comunicare come ha sempre fatto, in modo naturale, non artefatto, nè telecomandato, e non è cambiato. Quindi, non mi pare dio ma neanche un mostro, rimane sempre ciò che è: un ragazzo; siamo noi con le nostre chiacchiere che pieghiamo il suo essere all’esigenza del nostro discorso. Roberto Saviano, ribadisco, è un ragazzo, una persona, che vive in una condizione non facile, per tanti motivi, e per questo non può stare in mezzo alla gente, ma credo che se potesse non si innalzerebbe su un piedistallo, anzi, sarebbe l’antidivo per eccellenza.

  48. Ad Andrea Inglese: sono d’accordo con quanto dici. Non so se ci sono riuscito, ma uno degli intenti del pezzo era proprio quello di evitare l’idolatria, cercare di rendere Roberto per come l’ho visto in quella trasmissione tv: un ragazzo coraggioso dentro un grande turbine.

    A tashtego: con quella frase intendevo dire una cosa tutto sommato semplice. La critica al concetto di Verità che ha imperniato l’Ottocento e poi soprattutto il Novecento, portata dal fronte delle scienze forti, dell’epistemologia, della filosofia, della letteratura, ora è un “lusso” che a mio avviso dobbiamo stare attenti a permetterci. Bisogna anzi tornare alla verità (con la minuscola) e starle appresso, non ridicolizzarla, non relativizzarla. Gli interessi economici malavitosi vivono sulle ceneri della verità. Quando tutto è dicibile, tutto è ammissibile. Non si sa più da che parte schierarsi, chi dice il vero. E’ la logica che impera nei nostri tg. Ci vuole, credo, rispetto per un concetto anche ingenuo di verità come adeguatezza alla giustizia. Un concetto tutto etico di verità come rispecchiamento dei fatti giudiziari.

  49. Giuseppe, mi fai tornare in mente Il vizio della memoria di Gherardo Colombo e la sua considerazione che per sottrarre potere alla mafia la via può essere solo quella dell’ordinario (di una giustizia con tempi possibili, uno stato che abbia controllo del territorio, etc.) e forse è questa la misura che dobbiamo imparare o re-imparare, della quotidiana efficacia delle singole scelte per quanto piccole.

  50. Ciao Lucia, la penso esattamente come dici tu. Uno degli intenti del pezzo, lo ripeto, era proprio quello di considerare cosa una persona comune, ma dotata di eccezionale coraggio, può fare da sola. Se poi si è in tanti si fa di più. Semplicemente, questo.

  51. La grande idea di Saviano, quella che conferisce a GOMORRA un forte impatto, è questa economia camorrista e mafiosa a livello globale. In tal senso GOMORRA è un buon libro, che poggia su un’intuizione – non so quanto conscia – assai efficace. GOMORRA però è anche un libro scritto male, letterariamente mediocre. Saviano ha avuto coraggio, ma questo coraggio è stato oramai talmente strumentalizzato, vivisezionato e pubblicizzato che ha perso l’iniziale mordente; e adesso sta quasi quasi diventando uno spot per la camorra, un boomerang diabolico. In fondo, e non senza manifestare un’ambigua sua attrazione per il fenomeno narrato (l’eterno fascino del male, che in letteratura ha sempre rappresentato un tema poderoso), Saviano ci ha detto con clamore quello che già noi tutti sapevamo, o se non tutti noi, perlomeno coloro che DEVONO sapere certe cose; e che nonostante sappiano, per volontà o impotenza non provvedono. Dunque ridimensionerei lo scrittore e il personaggio: cosa che, credo, se potesse farebbe anche lui.

  52. milani, io apro le braccia e ti accolgo :)

    intanto ti mando a memoria questo come proseguo del lamento per pasolini postato dalla bella portinaia

    correvano coi carri
    e coi cavalli
    le bighe e le lettighe
    agli angoli delle strade cooon le vesti stracciate
    ma… ma… come dipinte
    con la casa a imitazione
    di quella del padrone
    e i figli a imitazione
    deeeel padrone
    ma quella nostra crolla e i figli ce li hanno rubbbati
    la sua è di roccia e i figli abbronzati
    e questa saaarebbe
    questa sarebbe
    la legge dell’incontrooo
    non c’è più incontro non c’è più incontroooo
    bisogna fare come giovanni marini in tribunale
    queste ipocrisie per piacere lasciamole stare
    in cella le torture e in pubblico la dignitààà
    no grazie no no grazienoo
    c’è da costruire paesi e cittàààà
    portare via i morti
    andare più in là…e poi non me la ricordo più :)
    bacio
    la funambola

  53. @ giulio milani,
    pensavo di finirla lì, ma dato che, per tua bontà, non mi devo più fare curare, allora intervengo da sano (se me lo concedi), oscurando un po’ la mia “brillante assenza”, riguardo al tuo perché “riferirsi a un’esperienza come quella degli zapatisti, che è un chi e un cosa lontanissimo dal nostro mondo”. Ora, tralasciando il parallelismo zapatismo-lega (che non ti fa onore), gli attuali movimenti sociali indigeni e meticci in Latinoamerica, e assieme a loro anche qualche stato latinoamericano, costituiscono un laboratorio politico preziosissimo, e avanzano istanze di democrazia dal basso, diretta e partecipativa, che noi qui in Europa non riusciamo neppure a balbettare.
    Ma se ciò non ti convince, ti lascio qui alcune parole di Wu Ming del luglio 2003, il quale, anche nell’ipotesi che non fosse mai stato in Chiapas, ha colto bene la caratura politica della faccenda:
    “Non bisogna dimenticare che lo zapatismo ha chiuso definitivamente con il Novecento, costituendo una rottura epocale rispetto all’immaginario delle sinistre storiche occidentali. Innanzi tutto ha spazzato via molte delle dicotomie tipiche della tradizione politica novecentesca: riformismo/rivoluzione, avanguardia/movimento, intellettuali/classe, presa del potere/esodo, violenza/non violenza, ecc. E ha scavalcato anche la teoria marxiana del crollo, della crisi e della necessità di un sua accelerazione da parte dei movimenti antagonisti, nella consapevolezza che questo sistema di produzione e dominio ormai vive e si alimenta della sua crisi permanente. La crisi non costituisce di per sé una possibilità di liberazione, bensì lo scenario strutturale all’interno del quale muoversi per costruire, autonomamente, ipotesi parziali di conflitto, autogoverno e alternativa possibile. Da questo punto di vista, lo zapatismo ha scartato qualsiasi visione teleologica e prometeica della storia, abbandonando tanto l’evoluzionismo illuminista quanto il meccanicismo positivista”.

  54. “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
    “Le città invisibili”, I. Calvino

    Roberto Saviano è fra coloro che,per me, in mezzo all’inferno, non è inferno e cerco di difenderlo e dargli spazio, sempre. Per riconoscerlo, ho fissato il suo sguardo -non solo letterario- considerando tuttora, gli occhi lo specchio di ogni anima,<>

    Anch’io, ho dovuto seriamente lottare con le mie emozioni e virtualmente, in quella stanza,<>. Mostra una sensibilità e una dignità fuori dal comune. Merita ogni bene.

    Grazie della testimonianza umana a Catozzella

  55. l’ho ringraziato per quello che fa per me, per quello che fa per gli italiani, come..tutti quelli che..hanno il coraggio di opporsi con i fatti e le parole alla mafia

  56. http://www.danielemartinelli.it/2009/03/30/solidarieta-a-pino-maniaci/
    (e dato che i link non mi vengono bene, copio-incollo l”intero brano):

    “Solidarietà a Pino Maniàci
    marzo 30th, 2009 informazione 19 Commenti

    Pino Maniàci, conduttore antimafia dell’emittente siciliana Telejato, è stato rinviato a giudizio per esercizio abusivo della professione giornalistica. Se l’Italia fosse un Paese normale un provvedimento di questo tipo dovrebbe riguardare centinaia di conduttori di notiziari non giornalisti, magari assieme all’editore Silvio Berlusconi che per anni ha fatto trasmettere Rete 4 senza concessione delle frequenze.

    Comunicazione e informazione in una democrazia sono libertà, che non può essere sottoposta a tesserini. In un paese normale la libertà di comunicare è un diritto di tutti, e se fra loro c’è qualcuno come Pino Maniàci, (anzi l’unico in Sicilia) che fa nomi e cognomi di mafiosi e/o presunti tali su un’emittente locale, dovrebbe avere maggiori tutele in un’area difficile come la sua, e magari essere invitato su qualche canale nazionale. Invece viene rinviato a giudizio per un reato ridicolo e liberticida, mentre, magari, i mafiosi che cita se la ridono liberi o latitanti.
    La mia solidarietà a Pino, in attesa che esca da questo processo da assolto.”

    (PS:: Pino Maniaci non ha scorta, ed è già stato minacciato e picchiato dagli “amici degli amici”).

  57. Grazie, Giuseppe. Scrivo volentieri un commento.

    In merito a quanto scrivi, non credo nelle tue parole ci sia idolatria ma intuisco il trasporto successivo a un momento molto forte. Apprezzo l’emozione al contempo il controllo del tuo pezzo, perché è così che mi sono sentita anch’io dopo aver visto in tv Saviano. Che non è un eroe e soprattutto non vuole esserlo. Oltre i contenuti (la mafia è un sistema economico, quello dominante nel mondo e – aggiungo – la cosiddetta crisi finanziaria non fa che favorire tale sistema), quello che mi è sembrato fondamentale è il senso profondo della democrazia di Saviano, che passa attraverso il potere della parola (ha detto qualcosa come: io voglio essere mediatico). Sapere le cose e dire le cose sono due cose diverse. Lui le ha dette (come altri, ma lui ha vent’anni, è napoletano, e le ha dette tutte insieme!), ha espresso liberamente il suo pensiero, non si è autocensurato, non si è limitato a resistere resistere resistere. Non è eroismo, è democrazia, libertà di espressione. è un cambio di prospettiva, dall’attesa all’azione. Mi sembra tanto.

  58. …da quando hai scritto Espianti hai iniziato a combattere. l’assuefazione è sempre più alta, si rischia una rassegnazione di comodo. dopo PPP chiunque è in ritardo. quando uno si butta sotto al metrò tutto si ferma e gli altri pensano al proprio ritardo. c’è chi si butta e chi non si vuole fermare. ma anche chi si butta e non si ferma al proprio ritardo. grazie beppe.

  59. Giuseppe, posso solo mandarti un abbraccio. Perché sai che sono d’accordo con te, con forza. E faccio e farò di tutto per far capire a questo docile e sciagurato paese che siamo davvero in pericolo. Un abbraccio sincero.

  60. Ciao Beppe,
    oltre al tuo bellissimo articolo mi ha fatto molto riflettere la risposta che dai al commento di Andrea Inglese, quando dici che “Saviano è certo solo uno di quelli che lottano, testimoniano e resistono, nel nostro Paese. Ce ne sono non tanti, ma alcuni ci sono”.
    A tal proposito, non credi che le vere sfide di questo Paese siano da un lato la ricerca di un catalizzatore capace di attrarre e coinvolgere in modo organico questi “non tanti” con i “non pochi” che ancora credono in un cambiamento culturale e dall’altro il trovare un sistema valido per aggirare la preoccupante carenza di spazi in cui si possano ancora esprimere il proprio dissenso o illustrare le proprie proposte?
    Se per la seconda domanda il web potrebbe essere la giusta risposta, anche se l’influenza televisiva in Italia é ancora incontrastata e di fatto incontrastabile, per la prima la soluzione mi sembra molto più lontana e indefinita.
    Certo, libri o film di denuncia possono fare da cassa di risonanza a problematiche sconosciute ai più o con cui i più sono ormai abituati a convivere, ma sono ovviamente mezzi utilizzabili da pochi per sensibilizzare l’opinione pubblica su un determinato argomento. Realisticamente, quante possibilità ci sono che l’indignazione, la ribellione, la reazione espresse da scrittori o registi, trovino poi applicazione pratica in quella parte di società civile che é si schifata ma pressoché impotente davanti ai numerosi scempi italiani?
    Trovare il tramite tra chi ha idee, intuizioni, proposte atte al cambiamento e chi é seriamente disposto a metterle in pratica é secondo me il nodo da sciogliere affinché in questo Paese non ci sia sempre bisogno del Saviano di turno per farci aprire gli occhi.
    Un abbraccio

  61. Con l’articolo di Giuseppe tutti noi lettori di Gomorra abbiamo raggiunto Saviano nella stanza e lo abbiamo abbracciato incrociando gli occhi buoni buoni di un coetaneo che ci ha
    raccontato la verità e verso il quale sentiamo crescere la riconoscenza e il debito. Più che Siamo tutti in pericolo forse sarebbe ancor più appropriato citare il PPP di …Saltare sempre sulle braci – come martiri arrostiti e ridicoli – poiché per rendere merito ai nostri Pasolini e ai nostri Saviano non si dia a intendere al ripensamento, quanto al sacrificio, all’alternativa testimoniata a corpo nudo da questi autori .
    A Saviano e a quelli della sua stirpe, va tutta la mia stima e non meno il mio affetto perché in loro il tridente della vocazione (di uomini giusti, letterati e portavoce) s’è fatto ferro contro il potere di quelle organizzazioni mozze sullo spirito e sul cervello che vantano mani unicamente per tappare le bocche, e hanno gambe per scappare sul sangue che hanno fatto versare.
    E noi dobbiamo fare muro, fronte e lotta con mani strette e spalle vicine, usando la forza del nemico
    Per essere liberi dentro e liberi fuori

  62. credo che una delle cose davvero determinante nella posizione e nella testimonianza di Saviano non sia tanto (o solo) nella specifica denuncia del fatto camorristico in sé quanto nella capacità di rinutrire la necessità di essere cittadini. Credo a una sorta di vasi comunicanti per le vite di ciscuno e che non si posa indignarsi, scoltare, commuoversi, lacerarsi nell’impotenza e nellos truggimento per una vita diventata così difficile e a rischio e poi non sentirsi diversi e chiamati a scelte diverse ogni giorno della nostra vita, a evitare le banali sciatterie che lasciano lo spazio d’ombra in cui il nostro paese marcisce. Non credo al potere di sconfitta delle criminalità tramite queste denunce, ma di contenimento sì, magari fino a un livello non mortale per il nostro paese, mentre sono totalmente convinta del grande potere che ogni singolo ha nell’essere diverso e non comodo e non sciatto ogni momento.Credo la nostra democrazia stia imputridendo sioprattutto per la singola sciatteria e compromesso quotidiano. In qualche modo Saviano e Giuseppe danno forza a me per essere meno sola nello scegliere ogni giorno di avere cura e pulizia in quello che faccio. Credo che altrimenti si rischi di scadere nell’idolatria che non smuove poi davvero nessuno ed è solo una grande ondata emotiva.

  63. Ciao@
    Accordo con quanto detto da Andrea Inglese
    L’idolatria rappresenta una delle svolte possibili alla riconoscenza di massa, così l’eroe – odiato o amato – passa avanti alla sua opera e quasi oscura con la sua ombra, la propria penna.
    Ma non era quella l’ntenzione di Saviano visto che l’apertura della coscenza gli è costata la prigione del corpo.
    In una posizione altrettanto coraggiosa e meritevole di sana attenzione sta Giuseppe col suo Espianti. La sua opera si trova ancora nella zona franca del panorama letterario nel quale ancora le intenzioni e il messaggio valgono più delle vendite, del compromesso e della riconoscenza di massa che si malforma in maniera quasi naturale in idolatria
    Grazie Peppe per il tuo libro

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Helena Janeczek è nata na Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca, vive in Italia da trentacinque anni. Dopo aver esordito con un libro di poesie edito da Suhrkamp, ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di Lezioni di tenebra (Mondadori, 1997, Guanda, 2011), Cibo (Mondadori, 2002), Le rondini di Montecassino (Guanda, 2010), che hanno vinto numerosi premi come il Premio Bagutta Opera Prima e il Premio Napoli. Co-organizza il festival letterario “SI-Scrittrici Insieme” a Somma Lombardo (VA). Il suo ultimo romanzo, La ragazza con la Leica (2017, Guanda) è stato finalista al Premio Campiello e ha vinto il Premio Bagutta e il Premio Strega 2018. Sin dalla nascita del blog, fa parte di Nazione Indiana.
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