come sei bella Parigi

di Giacomo Sartori

come sei grigia Parigi

al Bataclan hanno mitragliato

e mitragliato inermi rockettari

più ligi che dissacranti

in un silenzio di apnea

gli smartphone incalzavano

a bagno nel sangue

(le tattuate star californiane

se l’erano data a gambe)

 

come sei grigia Parigi

davanti allo stadio

tre pessimi allievi

sono schizzati

sui cartelli e nei capelli

di passanti digitanti

poltiglia d’un miraggio devoto

(intriso di geopolitico greggio)

compunta o venduta

la diretta blaterava

di bombole esplose

 

come sei grigia Parigi

nella serata sovraeccitata

hanno macellato

socievoli bevitori di birra

davanti al Carillon

sulla cresta dell’onda

di vetustà gentrificande

(garbo berbero prestato alla grana)

adesso ceri e fiori recisi

 

come sei grigia Parigi

le facce sono chiuse

alla tua cronica sete

di gaudio mercantile

viepiù cinicamente

due punto zero

(ma non certo low cost)

 

come sei grigia Parigi

i politicanti hanno promesso

con colli impettiti

e occhi incerti di maestrini

una battaglia totale

severità d’eccezione

ma roda un silenzio

sotto questi pancioni bigi

solo casualmente metropolitani

i tavolini delle sincretiche Folies

sono tanto soli

m’aspettavo più fegato

dai vizzi sessantottini

con cicca e gazzetta libertaria

 

come sei grigia Parigi

anche al Bataclan l’antica rabbia

è esplosa in poltiglia millenarista

da un brandello di falange

hanno preso le impronte

riesumando una foto sgranata

(archetipo struggente

d’esclusioni postcoloniali)

 

come sei bella Parigi

questo cielo gonfio di grigio

ha fosforescenze nevrotiche

di mare in tempesta

ma anche una quiete d’alabastro

il trauma inumano ti giova

la malattia letale ti dona

 

17 novembre 2015

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27 Commenti

  1. Massimiliano, l’altro giorno c’era su fb un commento d’Andrea Inglese che minacciava, in francese, di buttarsi giù dalle scale se sentiva ancora una volta la Marsigliese.
    Questo rissume il nostro parigicentrismo.
    Lì, infatti, vive il pià ampio gruppo di membri di Nazione Indiana, o Francese: Andrea Inglese, Jamila Mascat, Giacomo Sartori, Silvia Contarini, Francesco Forlani, Ornella Tajani, Giuseppe Schillaci

  2. Due obiezioni. La prima è che mi pare falsificante e anche pericoloso, non ammettere la portata straordinaria di quello che tu chiami fattore emotivo. Sarebbe meglio interrogarsi perché sia così forte e diffuso, perché quei 130 morti abbiano un effetto assai più destabilizzante, per esempio, del numero assai maggiore di vittime degli attentati madrileni del 2004. Che l’effetto sia spaventoso, lo dimostra il coprifuoco di Bruxelles mantenuto sino a oggi.
    La seconda è la questione sulla quale ho improntato l’intervento pubblicato qui lunedì scorso: l’attentato di Parigi avrà conseguenze terribili proprio su chi cerca di scappare dalla violenza dilagata fuori dall’Europa e dall’Occidente.
    Qui un commento uscito oggi a proposito.
    http://www.limesonline.com/la-trappola-dello-stato-islamico-sui-migranti/88064?prv=true

    • Credo, ma questo è un mio intimo e personale pensiero che il problema non sia Parigi o parlarne. È giusto e naturale che lo si faccia ma non a tutti i costi e onestamente i versi qui pubblicati mi sembrano buttati giù a dispetto proprio del fattore emotivo che c’è. Quando ci si misura in versi con queste cose o lo si fa in modo superbo ( e ammetto pure il cinismo) o si lascia perdere.

  3. D’accordo con Sandra.
    @ Helena
    Non sottovaluto la portata di ciò che è successo a Parigi, ma ho la sensazione che ci sia comunque dell’eurocentrismo in tutte queste reazioni “a caldo”. Insomma, Parigi sì, ma Bamako, Damasco, Ankara?
    Per quello che riguarda gli attentati di Madrid o di Londra, secondo me suscitarono meno reazioni per due motivi sostanziali: a) molti vi lessero un nesso di causalità ben preciso: partecipazione alla guerra in Iraq = attentati; b) i due paesi reagirono in maniera molto meno isterica della Francia. Ed entrambi quei paesi non hanno con l’Italia il rapporto di “cuginanza” che ha la Francia.

    • E la Libia, lo Yemen, la Somalia, la Nigeria, il Sudan, il Pakistan ecc?
      Per elencarne alcune situazioni di sfacelo dov’è rilevante l’elemento jihadista, e non nominare nient’altro.
      Senza polemica, Massimiliano. Credo che tu sappia che io cerco di seguire quel che succede lontano dal nostro continente, se non ricordo male ho anche postato su fb un pezzo sul massacro di Suruc precedente alla strage di Ankara. Assumere almeno come postulato etico-politico che il “nostro” sangue non valga di più di quello di chi vive in Africa o in Asia, è senz’altro un primo passo, se non si tratta di una reazione momentanea, come quella un po’ grottesca che, dopo Parigi, ha fatto circolare notizie di stragi in Kenya e Nigeria vecchie di molti mesi, per altro nient’affatto passate sotto silenzio mediatico.
      Ma per non essere davvero eurocentrici, bisogna capire, documentarsi. Ed è per questo che è meglio non improvvisarsi opinonisti di situazioni che non si conoscono in dettaglio, e in profondità, cosa davvero nient’affatto facile.

      • In realtà di fronte al testo sotto il quale stiamo commentando ho proprio la sensazione di trovarmi di fronte a un’improvvisazione.
        E lo dico davvero senza polemica.

  4. Helena, aggiungo che, purtroppo, le conseguenze peggiori degli attentati di Parigi ricadranno sulle spalle di chi, come giustamente dici tu, fugge dai paesi in fiamme.
    Quegli attentati fanno molto comodo alle destre xenofobe europee.

  5. Quando Dante *passeggiava* per l’Inferno incontrava (guarda il caso) persone della sua città o al limite dell’italica terra (a dispetto della moltitudine di nazioni che offrivano i loro morti freschi per Dite…) ma quello che doveva ottenere erano i famosi *exempla* da riferire all’umanità. Perciò so benissimo che occuparsi di Parigi (in versi) può far gridare alla limitatezza dello sguardo sul mondo ma questo accade (è accaduto) per una prova assai limitata e dalla quale non si può estrarre non dico un esempio *per l’umanità* ferita ma anche per la *lingua e stile* abbastanza provati.
    Quanto al silenzio che forse Carlo chiede che osserviamo, io direi che se si può scrivere sui fatti ancora fumanti dell’orrore parigino, si può commentare l’esercizio di stile, purché si resti tutti (nei limiti) dell’arte letteraria e non si debba per questo (cioè per essere poeti o altro) occuparsi di tutti gli equilibri del mondo e improvvisarci esperti delle destabilizzazioni mopndiali quando non sappiamo controllare le nostre e quelle dei vicini del pianerottolo. :)

  6. il testo può non piacere, o anche peggio, per carità, può molto ripugnare, però non credo davvero che si possa vedere in esso del cinismo; descrivere il cinismo – a me Parigi sembra una città cinica, molto di più comunque di quanto lo fosse in passato, anche se come è ovvio ognuno può pensarla come vuole – non vuol dire provarlo e veicolarlo; mi stupisce, davvero;
    e aggiungo che non amo per niente il cinismo;

    e a dir la verità nemmeno improvvisazione; è anzi il condensato estremamente riflettuto e controllato nei minimissimi dettagli di quello che ho pensato in questi giorni, e che volevo dire in maniera appunto non argomentativa, usando dei mezzi espressivi che ho impiegato in passato per altri temi, e che mi appartengono;
    ma appunto poi uno lo può giudicare orripilante, questo è un altro paio di maniche;

    e penso che quello che sta succedendo in Francia (ma anche in Belgio) è – senza esagerare – un banco di prova per la democrazia in Europa, per il nostro futuro; senza dimenticarci di quello che succede altrove, beninteso, ma anche dandoci molto pensiero per le nostre forme del vivere assieme;
    vorrei citare un solo fatterello, tra i tanti che mi vengono in mente, che si può leggere nel link qui sotto, dove un giornalista si ritrova a essere l’unico a ascoltare un dibattito (giovedì scorso) parlamentare dove alcuni deputati discettano se sia il caso o meno di mantenere la piena libertà di stampa, o sia il caso di toglierla, come prevede la legge del 1955 che regola l’inutilissimo “état d’urgence” che si è deciso di mantenere per tre mesi; anche alcuni parlamentari socialisti sono favorevoli a questa seconda opzione; nessuno ci avrebbe creduto, se qualche settimana fa qualcuno avesse previsto una cosa del genere:

    http://blogs.mediapart.fr/blog/mathieu-magnaudeix/201115/les-censeurs

    • Tutto sta ad intendersi sul senso delle parole.
      Perché intendere cinico come sinonimo di “indifferente al prossimo”? Perché dare una connotazione morale esattamente opposta a quella che originariamente riguardava una corrente del pensiero greco rivolta alla libertà interiore e all’austerità dei costumi, proprio in opposizione alla corruzione del potere politico?
      Non per niente i suoi rappresentanti erano accusati di vivere come cani (da cui l’etimo), seguendo un’esistenza randagia, autonoma, sdegnosa dei bisogni materiali e fedele al rigore etico (basti pensare a Diogene).
      E ancora perché non intendere il cinismo come invece una forma di “arguzia” che a mio parere in poesia e nell’arte in genere può addirittura sublimare l’oggetto in questione.
      Ecco, credo che sia un’arte difficile da gestire e nei tuoi versi ne ho intravisto un tentativo smorzato e perciò non bello e perciò inteso nell’accezione di semplice giudizio morale.

  7. Ringrazio le membri di nazione indiana per l’intelligenza della riflessione. Come sono troppo nell’emozione, mi manca la distanza. Ho provato in questa settimana una tristezza di terra innevata. Per solo colore il sangue.
    Poi la vita è tornata con la scuola, i ragazzi piena di vita e la lettura di nazione indiana la sera, quando tace la giornata.

  8. A Massimiliano,

    non penso solo a Parigi. Penso alle ragazze che subiscono violenza nel mondo. Queste ragazze prigioniere in un mondo crudele per la bellezza.
    Non abbiamo abbastanza parole per dire la sofferanza.

  9. …a margine di tutto…ma ‘the eagles of death’ il gruppo…e…’kiss the devil’ la canzone interrotta dalla carneficina…

  10. Anche Gesu` ha detto una frase che in condizioni normali farebbe storcere il naso Carlo: “LASCIA CHE I MORTI SEPPELLISCANO I PROPRI MORTI”(it`s only rock and roll)

    • Si, credo lo sia.
      Come credo sia evidente la natura di cagata ma penso andasse definito anche l’aspetto estetico della medesima.
      Spero sia chiaro che la sintetica affermazione riguarda il testo e non intende offendere in alcun modo l’autore.
      Cagate non felici capitano a tutti, in genere si sopravvive.

      Saluti.

  11. Io ritorno a mente fredda. Non che sia cambiato molto da allora, perché la mente è rimasta fredda dalle prime percosse.
    Ma *a mente fredda* rilevo che la prova è stata ritenuta buona per la pubblicazione dal suo stesso redattore che così, ex cathedra, la ritiene adatta ad essere diffusa. Sta bene. Però non si dica Indiana la nazione e non si dica nemmeno Francese per eurocentrismo ma credo si debba rientrare negli angusti limiti di un pensiero che chiude, invece di aprire, che stringe i ranghi, invece che allargare i confini e questa, in questi termini è tipico ancora e sempre di una nazione Italiana.

  12. caro commentatore che ti nascondi coraggiosamente dietro un nick (se parliamo di italiotismi), su Nazione Indiana – ed è una sua specificità, mi sembra – vengono pubblicati molti testi non “convenzionali”, che possono essere ottimi e pessimi, o possono piacere a alcuni e spiacere a altri, e che finiscono poi non raramente in libri pubblicati; questo per iniziativa dei singoli redattori, perchè tale è sempre stato il nostro modo di funzionare; ma nessuno ti costringe a leggere un testo che non è di tuo gusto, se vedi che non ti piace, e nemmeno a seguire il blog, se non è di tuo gusto nel suo complesso; ma appunto, liberissimo di detestare il pezzo;
    e se devo dire la verità non mi sembra che poi così fuori rotta, anche relativamente a caldo; vedi questo appello di oggi su Mediapart: https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/261115/qui-sert-leur-guerre

  13. No, guardi. Caro commentatore dall’uso esteso del web 2.0 ecc ecc, nemmeno la progressione fino al numero 30.0 le farebbe andare a controllare che sul mio profilo qui c’è tanto di curriculum e nome e cognome in evidenza e rimando a quanto ho detto e scritto e fatto.
    Perciò, ritengo ogni livello di dialogo inficiato da questa mancanza di rispetto nei confronti del mezzo (che permette dei nick, che non sono blasfemia ma un modo per divertirsi, salvo poi dare le coordinate giuste), e nei confronti dell’arte che essendo *immateriale* non può mostrare i danni che subisce se le si fa del male.

    Avevo dimenticato di riempire il campo dell’invio dei commenti col link alla mia nota bio-bibliografica, con tanto di nome e altre informazioni. E non mi giudichi male se uso un nick, posso farle decine di esempi di autori che si sono firmati e hanno raggiunto livelli di ascolto ben maggiore usando i loro pseudonimi (che era il nome greco per dire nick). ;)

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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