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Il sangue degli altri

pagliaro.jpg di Nicolò La Rocca

La scrittura che ci propone “Il sangue degli altri“, il romanzo di Antonio Pagliaro edito da Sironi, pur essendo fortemente legata alla complessità e alla godibilità della trama – caratteristica che farebbe virare il libro verso i lidi del giallo puro (ammesso che certe catalogazioni con relative tassonomie abbiano ancora un senso) – è un dispositivo che spiega com’è il mondo partendo da temi poco frequentati non solo dalla narrativa italiana ma anche dalla stampa internazionale: le connessioni criminose che raccordano posti lontani della Terra.
Nel romanzo di Pagliaro si narrano la Sicilia e la Cecenia. Si tratta di due luoghi martoriati non solo dalle vicende interne, ma anche, su un altro piano, dalle prevalenti condotte di giornalisti e osservatori, di coloro che incaricati di restituirceli, troppo spesso si limitano a narrarli in ginocchio, cioè sottomettendosi alle vulgate imperanti, di comodo. Ciò che i mass media propinano, anche nel nostro occidente allegramente democratico, da una parte è l’immagine di una mafia siciliana confinata negli steccati degli apparati militari, dall’altra una guerra cecena necessaria, conseguenza di un terrorismo post 11 settembre da sradicare con ogni mezzo. Pagliaro, invece, con una trama forte (specie in via di estinzione nella narrativa italiana), attraverso le indagini di un giornalista siciliano, Corrado Lo Coco, legate a certi intrallazzi della regione siciliana su delle case da gioco appaltate a strane società straniere, offre al lettore un percorso nuovo, dove i collegamenti tra i delitti siciliani e quelli ceceni svelano una realtà fatta di responsabilità politiche negli attuali assetti del potere criminale italiano e di un nuovo autoritarismo russo – stalinismo affaristico? Dittatura di stampo ibrido, latino-russo? – plasmato da Putin che prevede, come primo requisito, l’offuscamento dell’informazione interna e internazionale, giusto per dribblare quello che fu il tallone d’Achille di Boris Ieltsin: le ultime postazioni di stampa libera. Tutto ciò ha avuto in questi anni ripercussioni pesanti oltre che sul piano del governo delle nazioni – Putin salutato come riformatore democratico dai grandi della Terra, la politica italiana che sposta l’attenzione sul crimine di strada autoassolvendosi e dirottando i media sulla ricotta e i decaloghi dei boss – anche su quello della formazione dell’immaginario collettivo delle comunità occidentali.
Se possiamo dire che negli ultimi tempi in Italia il primo fronte di questo libro di Pagliaro sia stato intaccato da testi importanti – come “Gomorra” di Saviano e “I complici” di Lirio Abbate e Peter Gomez, senza dimenticare “Sragione di stato” di Camillo Arcuri – non possiamo affermare le stesse cose per quanto riguarda la Cecenia, così lontana nella memoria e nell’immaginazione dell’Occidente catodico, così assente dalla rappresentazione letteraria e simbolica. In realtà la Cecenia scompare e riappare in continuazione nei mass media, ma solo quando si può rinforzare lo stereotipo che la relega a una terra di selvaggi terroristi. A ogni attentato ascrivibile ai ceceni (anche quando non c’è la firma, ma anzi l’evidente manipolazione dei servizi segreti russi che percorrono una strategia della tensione troppo facilmente dimenticata da noi italiani) i telegiornali espongono il trofeo del terrorista islamico ceceno. Ecco, ne “Il sangue degli altri”, finalmente il lettore può vedere i 150.000 morti della guerra in Cecenia (il 20% della popolazione), può vedere il genocidio, può vedere Grozny rasa al suolo, può vedere gli squadroni della morte russi agire indisturbati e plurisponsorizzati per le strade della Cecenia, può vedere criminali italiani e ceceni riciclati negli affari europei. E in un unico coagulo, la rampante politica meridionale, disposta a tutto pur di fare soldi. Tanto non si rischia niente e sporcarsi le mani con gli invisibili. Tanto il vero problema degli italiani sono le badanti rOmene.
Questa esperienza conoscitiva, ne “Il sangue degli altri”, avviene senza didascalie, o punti di vista soggettivi. L’autore fa un passo indietro e lascia parlare la storia. Proprio in nome di questa scelta di campo, ne “Il sangue degli altri” il lettore conosce una scrittura autosufficiente, che racconta il presente assemblando eventi e fatti. Nessun verismo di ritorno, per carità, ma il tentativo, riuscito, di esprimere la storia guardandola da dentro, sezionandola e restituendola secondo una successione di fatti; non c’è l’autore e il mondo, ma il testo e il mondo: la Sicilia e la Cecenia vengono prima coagulati nei loro topoi meno noti (basti ricordare, per la Cecenia, lo sguardo nei tinelli dei superstiti, la messa a fuoco sulla popolazione cecena, secondo un approccio poco praticato dalla stampa internazionale) per essere smontati e rimontati dalla scrittura di Pagliaro e intavolati in un canovaccio forte. I cadaveri Sicilia e Cecenia subiscono l’autopsia di Pagliaro e diventano storia, narrazione. Vengono sottratti alla sclerosata lente dell’informazione giornalistica e affidati a un ritmo avvincente, a una trama piena di incastri che offrono al lettore l’occasione di entrare dentro il mondo narrato. Nessuna concessione agli scoop giornalistici sui comandamenti dei mafiosi, dunque. Nessun cedimento su primi piani di guerra pieni di dolore da pomeriggio radiotelevisivo. I fatti, of course.
I fatti li lasciamo per ultimi, perché, essendo “Il sangue degli altri”, un romanzo denso di eventi, merita di essere scoperto con occhi nuovi. E i fatti sono questi: Corrado Lo Coco, cronista de “L’ora”, giornale famoso per le sue inchieste sul fenomeno mafioso, indagando sui torbidi affari del Casinò Trinacria si imbatte in un intreccio criminale che coinvolge la Sicilia, la Lettonia e la Cecenia. La storia del Casinò Trinacria è fatta di omicidi, politica corrotta. Lo Coco indaga e scoperchia una pentola bollente, si ritrova con una serie di misteri difficili da decifrare e con un allargamento di campo – dalla mafia siciliana alla guerra cecena – che lo porta prima a Groznyj, in una Cecenia eternamente in guerra, e poi a Mosca, a Riga e di nuovo in Italia, tappe di un crimine mondiale sempre più interconnesso. Fino a una scoperta amara.
Il lettore, quando arriva all’ultima pagina, ormai ha fatto un lungo viaggio che gli lascerà addosso un segno indelebile.

2 Commenti

  1. […] 23 Dicembre 2007 a 8:29 pm · Archiviato in romanzo “(…) Ne “Il sangue degli altri”, finalmente il lettore può vedere i 150.000 morti della guerra in Cecenia (il 20% della popolazione), può vedere il genocidio, può vedere Grozny rasa al suolo, può vedere gli squadroni della morte russi agire indisturbati e plurisponsorizzati per le strade della Cecenia, può vedere criminali italiani e ceceni riciclati negli affari europei. E in un unico coagulo, la rampante politica meridionale, disposta a tutto pur di fare soldi. Tanto non si rischia niente e sporcarsi le mani con gli invisibili. Tanto il vero problema degli italiani sono le badanti rOmene. Questa esperienza conoscitiva, ne “Il sangue degli altri”, avviene senza didascalie, o punti di vista soggettivi. L’autore fa un passo indietro e lascia parlare la storia. Proprio in nome di questa scelta di campo, ne “Il sangue degli altri” il lettore conosce una scrittura autosufficiente, che racconta il presente assemblando eventi e fatti. Nessun verismo di ritorno, per carità, ma il tentativo, riuscito, di esprimere la storia guardandola da dentro, sezionandola e restituendola secondo una successione di fatti; non c’è l’autore e il mondo, ma il testo e il mondo: la Sicilia e la Cecenia vengono prima coagulati nei loro topoi meno noti (…) per essere smontati e rimontati dalla scrittura di Pagliaro e intavolati in un canovaccio forte. I cadaveri Sicilia e Cecenia subiscono l’autopsia di Pagliaro e diventano storia, narrazione. Vengono sottratti alla sclerosata lente dell’informazione giornalistica e affidati a un ritmo avvincente, a una trama piena di incastri che offrono al lettore l’occasione di entrare dentro il mondo narrato. Nessuna concessione agli scoop giornalistici sui comandamenti dei mafiosi, dunque. Nessun cedimento su primi piani di guerra pieni di dolore da pomeriggio radiotelevisivo. I fatti, of course”. Nicolò La Rocca su Nazione Indiana (Leggi tutto) […]

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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