EX . IT _ materiali fuori contesto
Biblioteca Comunale “Pablo Neruda”
Albinea* (Reggio Emilia), 12–14 aprile 2013
EX . IT _ materiali fuori contesto
Biblioteca Comunale “Pablo Neruda”
Albinea* (Reggio Emilia), 12–14 aprile 2013
di Helena Janeczek
I fantasmi, si sa, sono morti che continuano a abitare il mondo dei vivi. Li opprimono, li tormentano: non perché debba essere così per forza né per colpa loro. Siamo noi, i vivi, a percepire della nostra vita interiore soprattutto ciò che causa sofferenza. La psicoanalisi muove dall’esorcismo elementare di conferire un nome a ogni presenza incontrollabile che affolla l’anima di un paziente. Non c’è bisogno di essere morti per essere fantasmi; l’importante è non trovare requie, spazio ospitale, forma.
di Gianni Biondillo
Ricordo ancora con vergogna, da studente d’architettura, quando portai quella che all’epoca era la mia fidanzata – e che oggi insiste a volermi ancora bene al punto d’avermi addirittura spostato -, a vedere l’esposizione dei progetti del concorso per il riordino di Piazza Fontana. Parlo, per capirci, di circa un quarto di secolo fa. Di tavola in tavola, di prospettiva in prospettiva (i rendering computerizzati erano ancora lungi dall’irrompere nell’immaginario disciplinare), mi sentivo sempre più imbarazzato. Ero lì in teoria per spiegare alla ragazza che amavo perché volevo fare l’architetto nella vita, ma più guardavo assieme a lei quelle ipotesi strampalate, effimere, spesso di pessimo gusto – se non addirittura irrimediabilmente trash – e più mi mancava l’aria, per l’incapacità che avevo di giustificarle tanto inutile spreco di tempo prezioso.
Fortunatamente apparve d’incanto la soluzione capitanata da Gino Pollini. La più logica, la più semplice e, oggettivamente, la più bella, ad evitare l’onta dello sberleffo imperituro da parte della mia futura moglie. Fortunatamente, insomma, la disciplina era salva. (i casi della vita vollero che poi, pochi anni dopo, mi ritrovai a lavorare proprio presso quello studio, dove convertì molte di quelle tavole disegnate a mano in modelli tridimensionali al computer.)
Non è un paese di concorsi d’architettura il nostro. Non ne abbiamo la tradizione, quella che ha cambiato le sorti della disciplina in molti paesi europei. Anche per questo il fatto stesso che Expo abbia deciso di affidare l’incarico del progetto dell’InfoPoint ad un professionista dopo un concorso è già di suo una notizia. Positiva, se si guarda il bicchiere mezzo pieno: è una attitudine, questa, che dimostra una sensibilità desueta nelle nostre città, che ci si augura non resti isolata. Un modo, forse, di attuare un’etica di impresa che non miri solo all’inciucio (o al massimo profitto).
È un peccato, ovvio, questa disabitudine al protocollo concorsuale: le competizioni architettoniche sono da sempre un laboratorio di ricerca tipologica, formale, tecnologica. Luoghi della ricerca, dell’innovazione, dove le logiche economiche lasciano spazio anche al pensiero critico. Molta della storia della nostra disciplina passa da concorsi che hanno fatto epoca. Spesso, in Italia, perduti o mai realizzati.
Ma il concorso porta con se anche un rischio. Quello, appunto, di ritrovarci fra le mani progetti di pessimo o nullo valore da giudicare. Robaccia, rumore, ronzio di fondo, scarti. Sembra quasi che la formula concorsuale piuttosto che stimolare il pensiero critico di un progettista vellichi la sua creatività puerile, egoriferita, ridicola. Se poi ci aggiungiamo il fatto che, nel caso dell’Infopoint, si tratta di ideare una architettura “a tempo”, nato per essere smontato finita l’esposizione, a guardare le prime immagini sul web del concorso appena concluso ho la netta sensazione che grazie a Dio l’abbiamo scampata anche stavolta. Proprio come un quarto di secolo fa, l’ideale coppietta di giovani innamorati, un architetto imberbe e una ragazzina disinteressata alla disciplina, che dovesse scorrere le immagini reperibili in rete (eccoli i rendering del nostro immaginario!) rivivrebbe quella stessa sensazione di imbarazzo mista a frustrazione. Quanta robaccia, quanto inutile spreco di pensiero! Quale occasione perduta dove poter fare un collettivo ragionamento critico sul tema. No, solo padiglioni precari, effimeri, indifferenti al contesto, formalmente vecchi, stanchi, installazioni da fiera di provincia, spesso a firma di nomi “eccellenti”, quasi non ci credessero neppure loro, presi da altri e più fruttuosi impegni professionali.
Non so bene quali siano stati i requisiti della selezione dei progettisti. D’istinto, avessi avuto in mano io il boccino, avrei preteso un limite d’età. Non per giovanilismo di maniera, ma per dare una occasione autentica ai nuovi talenti che in questa Italia non possono esprimersi. Però, sia ben chiaro, questa scelta non avrebbe reso il risultato migliore: l’autoreferenzialità è il difetto nel manico del progettista nazionale, qualunque sia la sua età anagrafica.
Anche per questo ammiro il lavoro di scrematura fatto dai componenti della giuria. Giuria, per inciso, sulla quale forse due cose dovremmo pur dirle: va bene coinvolgere la società civile, le autorità, le istituzioni, etc. ma se su sette esponenti solo due appartengono in senso stretto al campo disciplinare è come indire un concorso letterario dove i giurati fanno nella vita di tutto, dal chirurgo al notaio, tranne che praticare la critica letteraria o la scrittura poetica. Assai curioso, no?
Eppure, anche stavolta, a discapito di ciò che ho appena scritto, c’è andata bene. La giuria s’è comportata con ragionevolezza, ha scelto non semplicemente “il meno peggio” (opzione fra le più deprimenti) ma davvero un progetto bello, interessante, sul quale poterci spendere parole, pensiero, teoria. Quelli che Alessandro Scandurra – il vincitore – sembra abbia speso quando s’è impegnato a risolvere un tema difficile in uno spazio irrisolto quale quello di largo Beltrami, che è contornato da quinte edilizie di alta qualità ma che è sempre stato nei decenni illogicamente utilizzato come un parcheggio di autobus o di taxi. Un vuoto nel cuore della città annichilito dall’incapacità pubblica di trasformarlo in uno spazio collettivo.
Chissà se l’architettura “effimera” di Scandurra (eppure così rigorosa in questo progetto, così rispettosa dei tracciati storici), almeno nel periodo che sarà corpo edilizio e non solo rendering, saprà stimolare un nuovo utilizzo di quell’area…
Ora però chiediamoci di quali contenuti quei traslucidi contenitori verranno riempiti. È ora di dare peso a questa manifestazione che ad oggi è stata raccontata solo per polemiche giornalistiche e mai per i temi messi in gioco. Lo ammetto non invidio la posizione di Giuseppe Sala, l’amministrazione delegato di Expo. È quello che, più di tutti, ci sta mettendo la faccia. E le facce in Italia si tende a prenderle a schiaffi e sputi. Ogni occasione è buona per la critica distruttiva. “Muoia Sansone con tutti i filistei”, è il motto dell’intellettuale italiano. “Tanto peggio, tanto meglio”. Speriamo invece non sia così. Se Sala saprà dimostrarsi coriaceo come sembra, in questo momento di crisi globale forse qualcosa di buono per la città riusciamo comunque a portarlo a casa. La scelta del progetto di Scandurra mi sembra già un buon viatico.

di Claudio Dellavalle*
Nel mese di marzo di settant’anni fa nell’Italia sconvolta dalla guerra si produsse un fatto inaspettato, che rappresentò la prima vera crepa della dittatura fascista e l’inizio del lungo e drammatico percorso di riconquista della democrazia e della libertà. Decine di fabbriche del nord, tra cui quelle più importanti per la produzione bellica, si fermarono.
(Alessandra Carnaroli mi manda una poesia su questa vicenda. 6 anni fa a Montalto di Castro 8 minorenni violentano 1 ragazza di 15 anni. Quando il fatto viene denunciato il paese, sindaco compreso, insorge: sono bravi ragazzi, normali. Gli avvocati della difesa sostengono che gli 8 rapporti fossero “consecutivi e consensuali”. Nei giorni scorsi arriva una sentenza che lascia sbigottiti.)
poesia venuta con la rima
8 rapporti
consecutivi
consecutivi
consecutivi
consecutivi
consecutivi
consecutivi
consecutivi
consecutivi
le uniche parole per dire cosa sia stato Enzo Jannacci per le passate generazioni sono le sue.
di
Andrea Liberati
Fatti #4 27 febbraio 1952 sui prati di Newmarket la fattrice Romanella diede alla luce un piccolo cavallino … troppo veloce per essere dipinto, padre della creatura era un campione rinomato Tenerani 1947 Derby italiano di galoppo Gran Premio di Milano St.Leger italiano, Queen Elizabeth Stakes Goodwood Cup. il piccolo Ribot il suo allevatore Federico Tesio fondatore della Razza Dormello già allevatore di Nearco 4 luglio 1949 Premio Tramuschio 1000 metri. Ribot distaccò i suoi coetanei (vinse perché gli fu “data strada” dalla compagna di scuderia Donata Veneziana, nonché sorellastra di Ribot, che però in allenamento Ribot regolarmente “strapazzava”, soltanto che essendo la prima corsa di Ribot, il cavallo, dal non facile temperamento, doveva ancora adattarsi completamente alla nuova, per lui, realtà delle corse). 4 settembre Criterium nazionale Gran Criterium: il fantino Enrico Camici per contenere la rimonta finale di Gail. 1500 metri Premio Pisa 2000 metri premio Emanuele Filiberto 10 lunghezze su Gail. 10 lunghezze su Botticelli, 1954, futuro vincitore di una Gold Cup ad Ascot. Prix de l’Arc de Triomphe, la classica francese Premio Brembo 2200 metri Besana 2400 metri. L’8 ottobre 1955: 3 anni: 10 a 1 e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot e Ribot…VINCE VINCE 10 a 1 10 a 1 solitario sul traguardo con tre lunghezze di vantaggio! sul resto del gruppo! IL MIGLIOR CAVALLO D’EUROPA L'”anziano” Ribot Milano, Gran Premio della città. Batte sulla lunga dirittura milanese Barba Toni Vittor Pisani Tissot (il fratellastro) (8 lunghezze). « It is exciting to see a good horse winning; Ribot greatly amazed me. » Elisabetta II, la Regina 1957, Ribot, entrato in razza funzionò come stallone in Italia, Inghilterra e Stati Uniti. 28 aprile 1972, 20 anni emorragia interna. Théodule Ribot, pittore francese di non grande rilievo, deve la sua fama ad un cavallo.
Documentire #7 Ma perché poi mai fare questo questo e questo o questo a che pro non credo in un pro se mai in un pre anche se l’ho dimenticato. La ragazza impegnava molto del suo tempo a telefonare, scoprendo in quei piccoli geroglifici sospettabili sequenze già viste. Un cavallo o un cane. Tutto il cinema è fuoricampo. In una prima semplice inquadratura un piano di un uomo andato-ritornato, oramai, in un totale di elica, nel cervello. Come se nulla fosse accaduto.
Documentire #9
Non parliamo di morti convenitene né tantomeno di vivi ci sarà una qualche alterazione mediana più che soddisfacente Lui, avendo sgozzato l’intera famiglia, si lavò le mani, prese il calice non spezzò il pane e andò al cinema.
All’andare in analisi preferì sempre l’andare a puttane stesso onorario poche parole solo sogni ad occhi sbarrati. A scuola dissero di non dare del tu ad un animale ma di dare a esso dell’esso gli essi. Per fortuna non ho la memoria di un flipper.
Vado al cinema perché non ho molta immaginazione e nemmeno molta vita.
Documentire #10 Ma appena parte, il gioco ricomincia. Ti ricordi di me? Sei ragazza dai capelli verdi. Le immagini avrebbero potuto sovrapporsi. Una tragedia sfiorata. Come una carezza. Si può fare l’amore più volte al giorno non si può amare tutti i giorni che Iddio c’ha dato. Ti penso tra l’altro nelle mie repliche ossessive.
Documentire #16 Tutta l’ansia che dentro non riesce ad evacuare nemmeno dall’ultimo buco di culo della finestra che è poi quella dell’arte? Che lavoro fai? Niente rispondo a queste domande cercandone sempre di belle non sono per le novità è Bresson e i suoi rumori che mi hanno affezionato all’immagine al colore a quello che ci potrebbe essere fuori dal quadro ritorna la finestra? no no no no è una porta non la vedi è di legno convesso di mogano no ogni verifica che fai seppur incerta è arte.
Documentire #25 Eh sì si trattava di essere anime prima e poi gemelle prima o poi. con tutto il suo corpo malgrado tutto il suo corpo era il più spirituale credeva nei volti nella tragicità dei volti e dei tic. Fare dei primi piani a dei volti compressi nei tic! che delizia sarebbe. preparava delle linee mica faceva progetti non scalava nelll’amore lo faceva: come quel pazzo che costruì, facendolo, un impero di sassi nascosto e nascosti nelle tasche. Cazzo.
Documentire #29 Invidio le persone che dicono di aver perso una giornata. C’era un vecchio alcolizzato, bello, che, dopo aver bevuto l’aceto dal fondo di un resto, minacciava chiunque tentasse di regalargli una giornata. L’accusa di inconcludenza si giustifica con una ellissi temporale. Gli altri son tutti cerchi perfetti: Giotto e la purezza del suo tondo, una balla inventata da una ditta di compassi fallita.
MA IL VERO E PROPRIO MOVIMENTO DEL GIOCO D’ AZZARDO SUI CAVALLI AVVIENE NELLE CORSE TRUCCATE NEI CAVALLI IMPASTICCATI NEI FANTINI COMPRATI - registrazione simultaneamente delle pressioni nelle cavità cardiache (atri e ventricoli, nell’aorta, nell’arteria polmonare, nella vena cava superiore e nell’inferiore. Le registrazioni vennero effettuate per mezzo di un microcatetere in vivo nel cavallo, assieme ad Auguste Chaveau (1827-1917), professore di Fisiologia veterinaria all’Università di Lione; Marey e Chaveau fornirono notevoli interpretazioni dei dati dal punto di vista emodinamico - scoperta del periodo refrattario del muscolo cardiaco nel 1875; - la prima registrazione intracardiaca grafica dell’attività elettrica del cuore, in animale, per mezzo di un elettrometro capillare (1876); si osservi che il primo elettrocardiogramma in un essere umano, con elettrodi posti sulla superficie corporea, fu registrato solo nel 1887 ad opera di Augustus Desiré Waller; - la prima registrazione dei movimenti della parete toracica in corrispondenza dell’apice cardiaco, determinati dai movimenti sisto-diastolici del cuore (Apicocardiogramma)
Nota di lettura
di
Silvana Farina
È come se a Moresco non interessasse la letteratura in sé ma riflettesse sul perché fare letteratura, sul perché scrivere e su che cosa questo significhi per lui. Spesso, anche se gli scrittori amano molto la letteratura, la scrittura stessa, non riflettono su di essa, né sul rapporto tra la letteratura e se stessi. Al contrario, Moresco ha pensato molto alla relazione tra la sua persona e la scrittura, intridendola della sua fatica, della sua vita, delle sue visioni. Così, La lucina, breve romanzo pubblicato da Mondadori nella collana Libellule, è il piccolo embrione che ha scavato e lavorato in segreto dentro l’autore, pretendendo alla fine una sua vita autonoma. Nella Lettera all’editore, Moresco spiega che questo piccolo romanzo nasce proprio come «una piccola luna che si è staccata dalla massa ancora in fusione» del suo nuovo romanzo Gli increati, a saldare quel percorso iniziato con Gli esordi e i Canti del caos.
La lucina «è una storia scaturita da una zona molto profonda della mia vita, è come una piccola scatola nera.» Una storia che come Gli Incendiati è «un’irruzione incalcolata e improvvisa» che urgeva dentro di lui e che Moresco stesso dichiara essere testamentaria proprio per la sua particolare natura intima e segreta. Così, per il valore che ha per l’autore e per la lettura intensa che se ne fa, risulta davvero difficile eppure fondamentale parlarne.
Moresco ci fa un dono, scopre quella zona profonda della sua vita, apre quella scatola nera, offrendoci una vera e propria operetta filosofica. Della filosofia c’è, infatti, una riflessione, un rovello che pone al centro gli interrogativi disincantati di un uomo attraverso una fenomenologia della natura. Una natura che si fa organismo vivente e pulsante, pronta a prorompere e inglobare il segmento umano, sconvolgendolo. L’uomo è immerso nel silenzioso e sismatico cosmo naturale popolato da libellule e lucine (che abitano da sempre il suo mondo, fin da Gli esordi: «Altri stavano conversando vicino alla pila dei mattoni forati, che erano attraversati da parte a parte dalle lucciole»).
La sua contemplazione di fronte alla natura «Chissà se la luce non è anche lei dentro un’altra luce? E che luce sarà, se è una luce che non si può vedere? Se neanche la luce si può vedere, che cos’altro si può vedere?» può richiamare gli interrogativi di un pastore alla luna. Il Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia si apre proprio con una domanda alla luna: «Che fai, luna, in ciel? Dimmi, che fai, /silenziosa luna?» Tuttavia, se Leopardi non riceveva risposta, il protagonista de La lucina riceve delle risposte dalla vegetazione, dalle rondini, dagli insetti che lo circondano, indice forse del fatto che l’uomo forza la sfera dell’universo per poter accedere ai suoi più profondi significati.
Cosa sarà quella lucina? Il narratore se lo chiederà spesso, e ci descriverà meticolosamente tutte le sue azioni nella sequenza ciclica delle stagioni, in quel brulicare di vita e morte. Fino a quando quest’uomo solo incontra un bambino evanescente (quasi un alter ego del piccolo Moresco) che lo accompagnerà nel suo percorso finalizzato alla scomparsa di sé, allo svanire di un’essenza fuori dal tempo. Allora la solitudine («sono venuto qui per sparire, in questo borgo antico abbandonato e deserto di cui sono l’unico abitante») diventa la necessaria condizione per un percorso catartico che si fa esperienza etica nella consapevolezza che quella dolorosa fisicità è vita e morte in un flusso vitalistico continuo. In questa sorta di diario del pensiero, di Zibaldone, morte e (ri)nascita, infanzia e maturità non sono mai stati così vicini, poli necessari di un cerchio eterno del divenire, di un imprescindibile ritorno alle origini.
Antonio Moresco si conferma un autore insurrezionale, nel senso lato della parola, perché capace di incendiare le camere d’aria interiori di ogni singolo lettore, capace di sconfinare, di rovesciare piani precostituiti. Attraverso questo testo necessario, Moresco spalanca le percezioni di un uomo che vive il disagio di stare dentro un microcosmo a sua volta accartocciato in un macrocosmo e con un disincantato lirismo leopardiano spacca la vita in mezzo, mette in crisi la percezione dell’universo. La lucina è quindi un’altra fessura, accanto ai Canti del Caos, che squarcia la zona ignota, come se la letteratura fosse una cruna, come lui la definisce, che ci conduce verso di essa.
di Franz Krauspenhaar
Ci si avvicina alla fine del viaggio. Ma la fine è un traguardo, non una catastrofe. [George Sand.]Questo caldo infernale mi spinge lentamente alle corde, una volta tanto vorrei camminare nella neve, nel nord della Svezia, e rischiare l’assideramento dentro una Volvo senza benzina… prima che arrivi una troupe di Discovery Channel a cercarmi con le prove di un tentato suicidio… ma no, tu dov’eri? Dov’eri quando cercavo di finire le mie pene il mio supplizio col tuo aiuto? Ti chiesi l’offerta della tua mano per tagliarmi le vene, che io non riuscivo a farlo nella solitudine delle ore ultime, e tu mi parlasti del bene della vita. Il perché, il percome, il persopraesotto. La statua di sale quanto basta, pepe macinato al momento. Ho deciso di raccontarti questa estate piena di vuoto, questo calvario sudato, come un sudario senza croci, ma spasmi di vuoto orticario… come? Credi che io stia poetando, con la ferocia dolce dei falliti che s’impennano come motociclette adolescenziali? No, l’ora della poesia l’ho trascorsa. Tornato alle più miti intenzioni della prosa, all’espressione giudiziosa delle frasi che proseguono con una certa libertà sul foglio, più piane, meno sinistre e gocciolanti e spasmodiche, m’inclino come un bombardiere di idee torride, e ti chiamo, ad ascoltare il mio racconto d’un’estate, quella appena svanita, nel vento della fine stagione, come svendita.
Di Andrea Inglese
Spunti kunderiani
Nel 2010, il Seminario Internazionale del Romanzo ci ha offerto uno spunto di riflessione, mettendo a confronto in maniera polemica due principi che, di per sé, dovrebbero garantire al genere romanzesco la sua vitalità: il principio architettonico, che organizza ed esplora il materiale narrativo, e il principio – come io lo definirei – della peripezia, che costituisce il materiale narrativo allo stato per così dire “grezzo”. In realtà, come Massimo Rizzante ha sottolineato, l’odierna produzione editoriale, che fa del romanzo il suo genere letterario privilegiato, contribuisce ad enfatizzare il principio della peripezia a scapito di quello compositivo, privando così il genere delle sue potenzialità conoscitive.
di Roberto Ciccarelli
A un anno dalla laurea lavora solo un laureato su tre. E chi lavora è sempre più precario, viene pagato in nero. Dopo cinque anni la situazione tende a migliorare: lavorano stabilmente 7 laureati su 10, tra i triennali quasi 8 su 10. Sono i dati del XV rapporto Almalaurea che colgono il drastico aumento della disoccupazione dei «colletti bianchi» che tra il 2010 e il 2011 è aumentata del 4% passando dal 19 al 23%. Una tendenza cresciuta del 5% negli ultimi 5 anni. Il precariato cresce tra i laureati triennali, +10% dal 2008 e +6% tra gli specialisti. Ma la laurea resta sempre un titolo da prendere perché garantisce un tasso di occupazione più elevato rispetto al diploma (+12%). Le prospettive non sono però rassicuranti.
La bolla formativa è esplosa
Nei prossimi anni la componente maggioritaria dell’offerta di lavoro sarà costituita da individui in possesso della scuola dell’obbligo o di un diploma secondario. Nel 2010 il 37% dei manager aveva completato tutt’al più la scuola dell’obbligo, contro il 19% della media europea a 15 paesi e il 7% della Germania. Su 407 mila assunzioni previste, il 14,5% ha coinvolto i laureati e il 32,3% i lavoratori senza formazione specifica. Insomma per dirigere un’azienda – medio-piccola – non c’è bisogno di una specializzazione e per essere assunti non occorre la laurea.
Una volta di più Almalaurea conferma che la maggior responsabile dello scacco dell’istruzione pubblica italiana non è la scuola, o l’università, bensì il ridotto interesse del tessuto imprenditoriale (costituito per la maggioranza da Pmi) ad assumere personale qualificato, a partire dai livelli più alti. Se i vertici di un’azienda non sono laureati, perchè dovrebbero assumere dipendenti più qualificati di loro?
Dicerie dei piccoli imprenditori
La controprova è stata fornita da un’indagine commissionata al Censis dalla Cna dove questa realtà viene rovesciata e la responsabilità viene addebitata agli under 25 ai quali i piccoli imprenditori attribuiscono la scarsa, o inesistente, volontà delle aziende di fare nuove assunzioni.
La Cna stigmatizza l’approssimativa preparazione tecnica del 39,5% dei giovani, lamenta la loro scarsa attitudine del 26,6% al lavoro artigiano e la scarsa propensione a sostenere la fatica fisica (nel 25,1% dei casi). Uno slancio di realismo impedisce all’indagine di addebitare la stagnazione delle Pmi solo al morbo del «lazzaronismo» che avrebbe colpito i giovani dall’inizio della crisi. La Cna sposta il mirino sul bersaglio grosso. La colpa della crisi è della scuola. Gli imprenditori denunciano il suo forte scollamento dal mondo dell’impresa.
Tre aziende su 4 giudicano la scuola inadatta ai propri bisogni (76,6%), per una su 4 è del tutto inadeguata (24,2%). Si lamenta inoltre il poco tempo dedicato alla formazione pratica (39,7%) e la carenza di occasioni di tirocinio (27,7%). Per il 23,2% degli imprenditori la scuola non è in grado di trasmettere i valori del mondo del lavoro. Non si dice quali, forse sono quelli della massima flessibilizzazione e dei salari ridotti? Non importa, perché sul banco degli accusati c’è l’intero sistema educativo che non risponde ai bisogni delle aziende, figlio di un’impostazione teorica e generalista, frammentato in una miriade di percorsi formativi che non permettono uno sbocco occupazionale.
L’indagine sottolinea inoltre che il 33% delle imprese è riuscita ad assumere nuovo personale, il più delle volte in sostituzione di altre figure. Più di un’impresa su 4 (26,4%) ha fatto ricorso alla cassa integrazione, il 17,1% delle imprese ha ridotto l’orario di lavoro dei propri dipendenti, il 16,6% riorganizzato i processi di lavoro, il 13,6% riconvertito professionalità già presenti all’interno dell’azienda. Un’impresa su 10 ha ridotto lo stipendio dei dipendenti (10,7%), mentre sono poche di meno quelle che non hanno rinnovato contratti a termine o di collaborazione (7,9%). Può stupire fino a un certo punto che la rude razza pagana delle piccole imprese consideri la formazione scolastica con un’alzata di ciglio. In fondo questa è la tradizionale rappresentazione del piccolo imprenditore italiano interessato più al «fare» che agli inutili discorsi «intellettuali».
La campagna contro la “licealizzazione” della società
Questa campagna contro la scuola, come istituzione e come luogo della formazione di saperi “non utili” alle aziende e quindi alla società è il fattore che ha fatto esplodere la bolla formativa. Dieci anni fa, lo ricorderete, non passava settimana in cui tutti enfatizzavano il ruolo dei master o della laurea per favorire l’ascensore sociale. Da quando, invece, ci si è resi conto che le aziende non assumono, lo Stato ha bloccato il turn-over e moltiplica a dismisura i precari nella pubblica amministrazione (secondo la Cgia di Mestre sono 3,3 milioni di persone) è partita la caccia alla “laurea inutile”. E poi si è arrivati a sostenere che è ormai “inutile” laurearsi per trovare un posto di lavoro stabile. E ben retribuito.
Feroce è stata la campagna contro la “licealizzazione” della società. Tutti che volevano la laurea, nessuno che accettava i lavori “umili”. Esemplare è stato, ad esempio, Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato: nel 2011, 45 mila posti tra i mestieri artigiani “ad alta intensità manuale” sono rimasti scoperti per mancanza di candidati. Stesso discorso quando, sempre nel 2011, si è scoperto che i profili più ricercati tra i “giovani” nel 2011 sono i cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici (+23,4%).
Curiosa espressione “licealizzazione”. Perché a licealizzare la società è stata innanzitutto la riforma Berlinguer-Zecchino del 2000, il famoso “3+2″, che ha organizzato i corsi di laurea con i moduli di insegnamento, spezzettando gli esami secondo un commercio di debiti e crediti. Una laurea è la somma di questo smercio quotidiano, non l’accumulazione e la differenziazione di saperi in base ad un’esperienza, un dialogo. In compenso si fanno tanti stage. Gratuiti. Questa riforma è stata un fallimento, più volte sottolineato in questi anni dai rapporti Almalaurea. La campagna contro l’istruzione pubblica, e il ruolo della scuola, lo ha rimosso. Con un duplice risultato: si delegittima il sistema della formazione fallito per incapacità dei governi e si sposta la responsabilità sui soggetti che non accettano le possibilità offerte dalla società.
Le prove del fallimento? Le ha date il governo Monti quando ha ammesso che l’obiettivo fissato dalla Commissione Europea per il 2020 è irraggiungibile: il 40% di laureati nella popolazione di età tra i 30-34 anni. Oggi siamo fermi al 26-27%. Insieme alla Romania, l’Italia è il paese più arretrato d’Europa.
Compressione dei redditi
L’indagine Almalaurea ha coinvolto oltre 400 mila laureati in 64 atenei e registra una contrazione delle retribuzione dei laureati tra il 16 e il 18%, di poco superiore ai mille euro, 1.400 dopo cinque anni. Gli ingegneri guadagnano di più (1.748 euro al mese), gli insegnanti sono i più poveri (1.122 euro). Questa situazione è stata provocata da due fattori: l’Italia si trova agli ultimi posti per la quota di laureati sia per la fascia di età 55-64 anni sia per quella 25-34 anni. E i laureati non guadagnano abbastanza, e in maniera duratura. Quindi non pagano le tasse, non versano i contributi, non finanziano le prestazioni del Welfare e quindi, in cambio, non riceveranno una pensione, un sussidio di disoccupazione, un reddito di base, prestazioni dignitose nel sistema sanitario nazionale. E’ una delle catene prodotte dall’esplosione della bolla formativa. La recessione dei lavori della conoscenza colpisce al cuore le nuove generazioni e lo Stato sociale.
(Im)mobilità sociale
In questa condizione, la mobilità sociale è un bene residuale riservato a coloro che possiedono più risorse familiari per sostenere la povertà dilagante. Le indagini Almalaurea hanno messo in evidenza che una parte rilevante dei laureati proviene da famiglie i cui genitori sono privi di titolo di studio universitario. Fra i laureati di primo livello del 2011 la percentuale di laureati con genitori non laureati raggiunge il 75 per cento. La selezione sociale inizia quando si passa alla laurea di secondo livello. Fra i laureati specialistici la quota di chi proviene da famiglie con genitori non laureati scende al 70 per cento. Un’ulteriore conferma la si ottiene esaminando l’origine sociale di provenienza dei laureati specialistici a ciclo unico (medicina e chirurgia, giurisprudenza, ecc.): le famiglie con i genitori non laureati calano al 54 per cento. Una giustizia sociale di classe.
[“the p(recarious) s(cholar)”, da dance scriber]
L’importanza di una laurea in lettere
C’è anche un altro luogo comune confutato dal XV rapporto Almalaurea: visto che i laureati non trovano lavoro, e quelli che lo trovano svolgono ruoli non «allineati» alla loro formazione, è inevitabile restringere l’accesso alla formazione terziaria e a quella specialistica, al fine di garantire a pochi «eccellenti» l’ingresso sul mercato. Un luogo comune che dovrebbe permettere, ad esempio, agli ingegneri informatici – che sono pochi e molto richiesti – di percepire un buon reddito.
Almalaurea dimostra che tra il 2008 e il 2012 è accaduto esattamente l’opposto: le loro retribuzioni si sono ridotte del 9% (il 17% nel caso dei laureati specialistici). Non resiste nemmeno l’ultimo tabù dell’ignoranza dettata per legge. Quante volte è stato ripetuto che «non conviene» prendere una laurea umanistica, perché di letterati o avvocati ce ne sono a bizzeffe, e «sono tutti disoccupati»?
Dati alla mano, AlmaLaurea dimostra che rispetto alla Germania, in italia ci sono pochi laureati in queste discipline. Sembra assurdo, ma è proprio così: nel 2010 in Italia erano il 19%, mentre in Germania il 23%. La ragione per aumentare il numero di questi laureati viene spiegata con Martha Nussbaum: «le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica» e anche con l’idea che gli «umanisti» siano più sensibili rispetto a «lavori che non sono stati ancora creati, per tecnologie che non sono ancora state inventate».
Troppe cose per un governo inesistente
Almalaurea insiste: bisogna rifinanziare scuola e università, premiare il “capitale umano”, accrescere il “valore aggiunto” della formazione delle persone. Un giorno, tutto questo, arriverà, forse. Ma non conviene, prima di tutto, affrontare la volontà delle imprese di non assumere, sbloccare il turn over nella scuola e nell’università, modificare le riforme Gelmini che impediscono un serio reclutamento, modificare nella sostanza la formazione professionale al di là degli equivoci della riforma Fornero e dell’apprendistato?
Troppe cose per una legislatura troppo breve. E per un governo che, se mai vedrà la luce, dovrà pensare a tagliare i rimborsi ai partiti e cambiare la legge elettorale.
*
Articolo già apparso in La furia dei cervelli, 11 marzo 2013.
*
[La prima immagine è una scultura di Paolo Fumagalli, Precarious thought (2008)]
trad. isometra di Daniele Ventre
νῆα δ᾽ ἐυκραὴς ἄνεμος φέρεν. αἶψα δὲ νῆσον
καλήν, Ἀνθεμόεσσαν ἐσέδρακον, ἔνθα λίγειαι
Σειρῆνες σίνοντ᾽ Ἀχελωίδες ἡδείῃσιν
θέλγουσαι μολπῇσιν, ὅτις παρὰ πεῖσμα βάλοιτο.
CONCERTO AL MINIMO
hai scavalcato il pianoforte fino alla sua coda- fino a tastare le corde che tese a capestro con un pizzico o più di follia davano la morte sospesa nel nastro fatto scorrere al collo che pendendo una nota sul petto fanno il cuore maiuscolo più dello spazio- stella nana- stellina di ottave in colonne di marmo sonoro- e cerchi- dall’alto scorgo e cerco dalla cupola quanto di celeste ormai giunto- quanto dista l’oscuro nell’ordine spartito da dio- se ha un suono il suo passo sulla scala o porta- un profilo di mani giunte fanno un coro su questo pavimento che hai ormai tentato capovolto quando con tutta la voce- tutte le voci sono uno schianto?
* * *
The Blob [1958] “Non riusciremo a fermarla!”
di Orsola Puecher
La data simbolica di nascita dei blog [web+log *diario in pubblico] è il 18 luglio 1997