di Giuseppe Zucco

(attenzione, spoiler!)
Un testo postula il proprio destinatario come
condizione indispensabile non solo della
propria capacità comunicativa concreta
ma anche della propria capacità significativa.
Umberto Eco
a) Lo spettatore modello non ha le idee chiare appena entra in sala e il buio annerisce le poltroncine, ma comunque sa, grazie a un battage pubblicitario quasi porta a porta, che il film Educazione siberiana è tratto da una storia vera o probabilmente molto vicina alla realtà.
b) Lo spettatore modello prova un certo feticismo nei confronti delle storie vere o tratte dalla realtà o ispirate a fatti di cronaca, anche se difficilmente poserà Elephant di Gus Van Sant, per dirne uno, in cima ai propri gusti.
c) Lo spettatore modello, di solito, preferisce le storie vere o tratte dalla realtà soprattutto quando queste raccontano fatti atroci e sanguinosi successi in un posto lontano, lontanissimo, un girone dell’inferno i cui dannati non lo possano sfiorare nella vita di tutti i giorni, e questo film non fa difetto, dato che la storia è ambientata nella neve o sotto il sole di Fiume Basso, un quartiere di Bender, la capitale della Transnistria, un tempo parte della Repubblica socialista sovietica moldava.
d) Lo spettatore modello, però, è poco attrezzato cognitivamente, non è stupido, ma non ci arriva da solo, nella visione di chi lo ha pensato e ideato e continuamente tirato in ballo in estenuanti riunioni annebbiate dal fumo e dalla caffeina – cioè il regista Gabriele Salvatores, la coppia di sceneggiatori Rulli e Petraglia, i produttori di 01 Distribution – è già tanto se ha azzeccato il numero di monetine quando gli si è presentato il conto dei pop corn, per questo ha tremendamente bisogno che per la durata intera del film i personaggi parlino chiaro, siano espliciti, emettano una lunghissima serie di didascalie, dichiarando anche a gesti cosa intendano dire, fare, baciare.
e) Lo spettatore modello, nonostante il titolo del film, non ha alcuna frequentazione di verbi parascolastici come educare, formare, istruire – per non parlare di percepire e/o sentire – ma ha molta più inconscia dimestichezza con la voce del verbo formattare, voce del verbo il quale predispone a suo piacere e irrimediabilmente la percezione e il sentimento della realtà o dei fatti narrati.
f) Lo spettatore modello pende dalle labbra di John Malkovich nei panni del nonno siberiano Kuzja, un formattatore di professione, soprattutto quando quest’ultimo spiega al nipote Kolima, il protagonista del film, cosa sia e a quali ordini del giorno risponda costantemente un criminale siberiano.
g) Lo spettatore modello, al contrario da quanto si evince dal punto a) e b), più che il cinema adora le fiction italiane da prima serata, le quali al novantanove per cento contengono personaggi che si muovono e agiscono didascaleggiando come nel punto d).
h) Lo spettatore modello taccerebbe di snobbismo chiunque associ le fiction italiane da prima serata al verbo formattare.
i) Lo spettatore modello, tra l’altro, diffida completamente degli intellettualismi di ogni sorta e in particolare di una versione vetero-liceale della vita in cui conti ancora il riconoscimento delle figure retoriche tra cui le metafore: quando sente la parola lupo – lupo il quale allude a una forma neocomunitaria dell’esistenza vissuta dentro piccoli e autonomi e ringhiosi e siberiani branchi così lontana dagli ideali marcescenti del consumismo occidentale – vuole vedere un lupo in carne e ossa, come in questa versione desaturata e tendente al bianco.
l) Lo spettatore modello è più o meno venuto al mondo tra gli anni settanta e ottanta, e senza saperlo, struggendosi di nostalgia, gode a vedere un inseguimento di macchine in stile poliziottesco proprio all’inizio del film o la guerra fra bande in punta di coltelli e mazze da baseball così simile a I guerrieri della notte di Walter Hill, quando i quattro ragazzi tra cui gli inseparabili Kolima e Gagarin perdono il passaggio e devono tornare a piedi verso casa.
m) Lo spettatore modello, però, per darsi un tono e sedurre intellettualmente con una sola battuta il proprio vicino nella sala annerita e dominata dal rettangolo luminoso del film in corso, piuttosto che spingersi in parallelismi tra gli inseguimenti in macchina del punto l) e quelli di, per esempio, Milano odia: la polizia non può sparare di Umberto Lenzi, dirà alla persona seduta al suo fianco che molte sequenze, per non dire dei tatuaggi così bene in vista, specie quelli tracciati con un righino nero sul petto e le falangi dei criminali siberiani, ricordano La promessa dell’assassino di David Cronenberg.
n) Lo spettatore modello, però, già dopo pochi minuti, ripensando al punto m), capirà di avere commesso una gaffe, e neanche così sottile – e con imbarazzo spererà che sempre il suo vicino di posto non abbia sentito o lo abbia volutamente ignorato, dato che La promessa dell’assassino racconta di criminali sì, ma russi, che sono dichiaratamente i nemici numero uno della comunità siberiana.
o) Lo spettatore modello ha una concezione dell’amore da feuilleton ottocentesco o da fiction italiana inquadrata nel punto g): basta guardare una ragazza appena scesa dal treno, come accade a Kolima, ormai sul limitare dell’adolescenza, e il gioco è più o meno fatto.
p) Lo spettatore modello, nonostante sappia di stare guardando una storia dalle caratteristiche tipiche del punto c), ha un debole per i bozzetti, le cartoline, il mondo meno crudo e parecchio folklorico à la Kusturica, tipo la scena del fiume, di cui il film dà ampia varietà, dove la luce è pastosa e dorata e le risate sono una cascata di monetine tintinnanti e la vita non si prende alcuna rivincita su i sentimenti dei personaggi, luce dorata che in filigrana ritorna paradossalmente anche nel terribile carcere di cui Kolima fa esperienza.
q) Lo spettatore modello, comunque sia, segue passo passo le avventure dei due ragazzi amici per la pelle Kolima e Gagarin – uguali e contrari, stessa altezza, gracilini, uno moro uno biondo – mentre si proiettano nel mondo riproducendo in movimento alcune righe de I ragazzi della via Pàl, soprattutto quando con roteare di mani smuovono dalle loro sedi naturali i lineamenti di qualche coetaneo.
r) Lo spettatore modello, dato il punto d), da un certo momento in poi è del tutto consapevole che se proprio deve ricorrere a qualche figura retorica tanto invisa al punto i) finirà per considerare Kolima la personificazione di concetti come l’etica e la fedeltà monomaniaca alla tradizione e Gagarin il conflitto e la trasgressione delle leggi.
s) Lo spettatore modello, del resto, è così intimamente connesso al punto di vista di Kolima, così Kolima-dipendente, da non ammettere neanche per un attimo che le azioni umane siano guidate perlomeno in parte dal conflitto e dalla trasgressione delle leggi, forse anche perché le leggi non vengono stilate e ribadite da un padre, di per sé generatore di conflitto e di scontro generazionale, qui venuto a mancare quando Kolima era piccolo, ma da Kuzja, un nonno, una figura autorevole e/o autoritaria più insidiosa, buona per definizione, ammaliatrice, portata a pacificare gli animi e le intenzioni, difficilissima da scalzare o destituire, perché, dopotutto, così vicino alla morte – del resto, come desiderare di prendere il posto della morte, di qualcuno prossimo a qualche disfunzione degli organi interni che decide al posto tuo?
t) Lo spettatore modello, certificato il punto s), nella propria intimità odia Gagarin e nel segreto dell’urna vota Mario Monti.
u) Lo spettatore modello fa aderire così in assoluto il proprio punto di vista a quello di Kolima da non ammettere che lungo la storia raccontata si possa generare una qualche forma di conflitto, di un sentimento che inglobi le intenzioni o il desiderio di qualcun altro disposto a agire fuori dalle regole fissate dalla tradizione.
v) Lo spettatore modello come da punto s) e u), anche se ne dimostra i segni, non è realmente addolorato e sconvolto dall’arresto di Gagarin, né dalla morte di un altro carissimo amico – il quale invece di ascoltare il nonno e aiutare i vicini durante un’inondazione, trascina Kolima e gli altri ragazzi lungo e dentro il fiume per fare razzia degli oggetti sottratti dall’acqua alle case – proprio perché, da subito, sgranando le proprie scelte, questi si sono posti fuori dalle leggi della tradizione, tanto che alla fine del film il bilancio emotivo non è neanche così sgradevole, e permette di uscire dal cinema scherzando e ridendo con i propri vicini di posto.
w) Lo spettatore modello, proprio perché brutalmente e ripetutamente formattato come al punto f), non lascia affiorare alcun tipo di sofferenza e lacerazione rispetto ai tristi eventi raccontati, anche perché il film non si decide mai a diventare un vero e proprio dramma, ma aspira continuamente a diventare cartolina, irradiando una certa luce già vista al punto p).
x) Lo spettatore modello, addirittura, formattato quanto basta, del tutto invischiato a Kolima e al suo punto di vista, anche nel momento in cui Kolima uccide in nome dei valori della tradizione, rimane al suo posto senza minimamente avvertire la vertigine di un trauma, un trauma capitale, per altro, la soppressione del vero amico per la pelle Gagarin, morte che paradossalmente Gagarin accetta di buon grado, senza combattere, come se in fin di vita avvertisse su di sé il peso insostenibile del giudizio di Kolima, dello spettatore modello, della tradizione intera, preferendo a tutto ciò la soluzione finale di un proiettile.
y) Lo spettatore modello non avrebbe mai accettato la formattazione del nonno Kuzja e il punto di vista di Kolima e questa specie di narrazione senza presa e senza trauma dove è già tutto dispiegato rigidamente fin dalle prime inquadrature se invece delle fiction italiane da prima serata e di un certo cinema avesse frequentato molto tempo prima un altro personaggio, Barbino, e fatto esperienza del libro che lo racconta, Seminario sulla gioventù, di Aldo Busi, Mondadori, per esempio alle pagine 47 e 48, come nel punto z).
z) “Era come se Barbino cominciasse a rendersi conto che “sentire” non conglobava il “pensiero” che in parte, mentre il pensare o conglobava tutto il sentimento del “sentire” o non era niente, era un sentire in parte, un sentire, o un pensare, solo quella parte che faceva comodo a lui e che non poteva fare a meno di pensare. Pensare era mettersi in agguato, se non proprio al servizio, del sentire degli altri equiparandolo, per valore e intensità, al suo. Pensare, a differenza degli uomini, sordomuti che non pensavano perché pensavano solo a sé e sentivano solo sé, era fare a metà innanzitutto della propria testa, fare spazio in sé alla metà alienata dell’umanità, la metà altrui.”












