(Marco ci regala un estratto del suo nuovo libro, in questo scampolo di fine estate. G.B.)
di Marco Candida
Mathias è l’eredità che Caterina ha ricevuto da sua zia Nivea («come la crema della pelle», rimarcava ogni volta che poteva il padre di Nero) una volta che questa circa sei mesi prima era passata a miglior vita, anche se per Caterina e Nero, da trentaquattro anni in quel di Tortona in provincia di Alessandria, era difficile immaginare una vita migliore da quella trascorsa in una casa di mille metri quadrati a Florianópolis, nello Stato di Santa Catarina nel sud del Brasile. «Da Santa Caterina a Caterina», rimarcava ogni volta il padre di Nero col suo insopportabile autocompiacimento, alludendo probabilmente al fatto che Caterina non fosse proprio una santa e che da Santa Caterina a Caterina ci passasse una differenza, come dire, dalle stelle alle stalle. L’ironia del padre di Nero non si era arrestata neppure davanti alla notizia dell’arrivo di Mathias in qualità di “eredità di Caterina”. «Adesso ne avrai due da coccolare», le aveva detto lasciando intendere che Mathias fosse un bamboccio esattamente come bamboccio era sempre stato, soprattutto da quando aveva cominciato la sua fallimentare carriera universitaria proseguita poi con la sua fallimentare carriera di lavoratore, “Nero”. L’ironia dell’uomo si era però dovuta smorzare quando era saltato fuori che Mathias era un bamboccio del valore economico di trecentomila euro. Sì, la faccenda era andata così.
Un giorno Caterina aveva ricevuto una e-mail da Lauro, il figlio di zia Nivea. Lauro viveva a Rio das Antas nello Stato di Rio Grande Do Sul, faceva l’ingegnere ma non appena sua madre aveva cominciato ad avere i primi problemi e a trovarsi in fin di vita si era trasferito a Florianópolis assieme alla sua famiglia, e la stessa cosa aveva fatto suo fratello Sanchez che abitava invece a Domingos Martins, nello Stato di Espirito Santo, e di mestiere faceva l’avvocato, e tutto questo, come Caterina aveva commentato con Nero, deponeva a vantaggio dell’idea che zia Nivea dovesse essere davvero molto ricca se Lauro e Sanchez avevano potuto piantare i loro studi privati per almeno un paio di settimane, pur per il nobile scopo di soccorrere la madre morente.
Nel messaggio inviato a Caterina, facilmente rintracciata da lui attraverso la rete, Lauro l’avvertiva che la madre era passata a miglior vita e che aveva disposto un lascito proprio nei suoi confronti. Caterina del resto con i suoi trentaquattro anni era la sola sopravvissuta in famiglia, essendo la madre morta di una malattia incurabile quando lei aveva ventisette anni e il padre giusto l’anno prima stroncato da un infarto, lasciandole quella topaia d’appartamento in Via Rinarolo, che peraltro aveva finalmente permesso a lei e a Nero di avviare una “parvenza di vita” insieme. Naturalmente il portafoglio del padre di Nero avrebbe avuto molto da raccontare a questo proposito giacché lo spostamento dalla casa dei genitori alla casa della fidanzata, e ora convivente, aveva visto quel portafoglio protagonista in diverse occasioni ma, dopo trentaquattro anni di vita vissuta assieme ai suoi genitori e gli ultimi sei spesso e volentieri in compagnia anche di Caterina come ospite fissa e ulteriore bocca da sfamare, almeno questa “parvenza di vita” (come la chiamava Nero, con Caterina dietro a far cenno di sì con la testa e a stringersi nelle spalle) era già qualcosa.
Quando Lauro aveva comunicato a Caterina in cosa consisteva il lascito di zia Nivea, manco a farlo apposta il padre di Nero si trovava con loro proprio nella stanza dell’appartamento dove stava il computer (era passato giusto per portare a Caterina un favoloso timballo preparato dalla madre di Nero) e non si era lasciato sfuggire l’occasione per commentare che dove c’è deserto la pioggia non cade mai – una specie di ripensamento al contrario del ben noto detto “piove sempre sul bagnato”. Dopo aver letto l’e-mail Caterina si era afflosciata sulla sedia davanti al computer. Aveva sperato per giorni assieme a Nero che zia Nivea, di cui i genitori le avevano sempre parlato come di una donna assai e assai facoltosa, ora che Lauro e l’altro figlio Sanchez l’avevano contattata per avvisarla del lascito, le avesse regalato una quantità di denaro cospicua, oppure un terreno o una casa in riva al mare. Per giorni Caterina aveva prospettato a Nero la possibilità di recarsi a Florianópolis di persona, come anche secondo Lauro e Sanchez sarebbe stato possibile; anzi da sempre Caterina aveva parlato con i suoi genitori della possibilità di visitare gli zii e i cugini brasiliani, nonostante la cosa sia sempre sembrata solo un sogno perché il biglietto dell’aereo costava troppo, e poi perché il viaggio aereo era troppo lungo, e poi perché sembrava tutto decisamente troppo lontano, complicato, ma a quanto pareva adesso c’era davvero questa possibilità concreta essendo stata contattata da Lauro e Sanchez (sempre questi due nomi, Lauro e Sanchez: Caterina non faceva che ripeterli a Nero). E così si era di nuovo informata sul costo del biglietto aereo e le distanze, e di nuovo aveva dovuto concludere che costava troppo, il viaggio era troppo lungo e tutto sembrava decisamente troppo complicato, lontano e che però questa volta, forse forse, questa volta…
Invece Lauro le aveva dato la notizia che il lascito consisteva in un bambolotto e le speranze di Caterina si erano afflosciate con lei sulla seggiola davanti al testo dell’e-mail proiettato dallo schermo del computer nella stanza. Del resto cosa avrebbe dovuto aspettarsi di meglio? Davvero aveva pensato anche solo per un istante di ricevere dalla sua ricca zia brasiliana una casa in riva al mare, un terreno o una cospicua quantità di denaro? Di sicuro a questo punto non avrebbe avuto senso spendere i soldi del biglietto e sobbarcarsi quel lungo viaggio oltreoceano di circa quindici ore al solo scopo di presentarsi come la beneficiaria di un lascito consistente in un bambolotto. Tanto meglio far passare qualche mese, se non qualche anno, e ripresentarsi ai cugini brasiliani in veste di semplice turista. Ad ogni modo Lauro aveva lasciato intendere a Caterina, forse solo per consolarla, che doveva ritenersi fortunata a ricevere un’eredità come quella perché il bambolotto era molto, molto pregiato, e poi le avrebbe portato tanta fortuna.
Caterina aveva ringraziato Lauro e lo aveva fatto anche Nero che passava gran parte del suo tempo ormai a letto a dormire non avendo nemmeno più la voglia di affrontare la luce del giorno per quanto depresso era a causa del fatto che non trovava lavoro. Dopo aver lasciato l’università a ventiquattro anni e aver lavorato per due anni come addetto alla qualità in un’industria che produceva conglomerato bituminoso, infatti, Nero non aveva più trovato un lavoro vero: campava di questo e di quello. Una volta aveva aiutato un suo zio (né brasiliano né ricco, ma di Bettole, una frazione di Tortona) a fare l’imbianchino, ma Nero, che aveva frequentato il liceo classico e aveva studiato Lettere antiche fino a quando non aveva lasciato, consumandosi la vista non facendo altro che leggere per qualche tempo, era anche diventato nel frattempo piuttosto imbranato. Aveva combinato solo disastri e dopo pochi mesi, d’accordo con il padre, suo zio aveva dovuto chiedergli di starsene a casa. Così Nero s’era convinto di essere veramente un buono a nulla. Usciva poco, stava in casa con Caterina, anche lei un tipicino chiuso, asociale che Nero aveva conosciuto in un centro per anziani dove aiutava e si era ridotta a fare le pulizie, guardava i bambini degli altri, faceva queste cose, e anche lei aveva vissuto a casa dei suoi genitori, come aveva fatto Nero, e poi a casa dei genitori di Nero una volta che aveva conosciuto Nero facendosi sfamare dalla famiglia di Nero, come l’avrebbe in realtà raccontata il padre di Nero. Entrambi se non altro avevano come qualità quella di non spendere troppi soldi e così riuscivano a mettersi qualcosa da parte, con tutto che dopo la morte di sua madre e poi quella di suo padre Caterina aveva preso eredità ben più dignitose di un bambolotto portafortuna di nome Mathias proveniente da Florianópolis, Brasile.
È un po’ strano raccontare la storia di Nero e Caterina perché dopotutto è veramente tutta qui: come passavano le giornate è così, Nero per lo più ormai dormendo, Caterina per lo più raccattando denaro con qualche lavoretto, entrambi restando in casa senza uscire guardando la televisione o stando davanti al computer, senza pensare assolutamente al futuro. Viene quasi da dire, osservando le cose messe giù sulla carta in questo modo, che una storia dove non ci sia tensione verso il futuro, dove non si tenga conto del futuro non solo non è una storia, ma non è nemmeno un frammento credibile di storia. Certo, il portafoglio del padre di Nero racconterebbe forse la storia diversamente limitandosi ad affermare che questa faccenda era stata possibile perché irrorata dal denaro che proprio da lui saltava fuori. Senza quel portafoglio lì probabilmente Nero non avrebbe potuto permettersi di dormire dodici a volte quindici ore al giorno (il padre di Nero aveva saputo da Caterina che suo figlio aveva persino cominciato a tenere un diario dove appuntava i sogni che bello e pacifico si faceva) e neppure Caterina avrebbe potuto concedersi di bere (contro la volontà di Nero) quelle bottiglie che poi allineava in cucina sotto il lavandino, a formare quel che lei chiamava “il cimitero delle bottiglie”. Senza quel portafoglio lì Nero e Caterina avrebbero avuto storie tutte diverse – ad esempio senza computer e connessione internet, tanto per dire, ad esempio senza riscaldamento d’inverno, tanto per dire.
Il padre di Nero si chiamava Vincenzo ed era stato amministratore delegato di un’azienda facente capo a un supergruppo nel settore del conglomerato bituminoso (altrimenti Nero come avrebbe fatto a trovare un impiego proprio in quel settore?) che poi a causa della crisi, poco dopo che Vincenzo andasse in pensione (cosa che lo aveva salvato da ogni disonore), era fallita e aveva chiuso. Vincenzo percepiva una pensione alta, aveva da parte dei risparmi e aveva incamerato anche grazie a sua moglie lasciti veri. Giacché, se dove c’è deserto non piove mai, invece piove sempre sul bagnato e ringraziando Dio e anche la tempra di Vincenzo, che lo aveva portato così in alto col suo solo diploma di geometra, a casa sua c’era sempre stato bagnato a sufficienza, ossia una discreta base di soldi che chiamavano altri soldi: altro che bambolotti.
Disgraziatamente Vincenzo aveva messo al mondo un figlio coglione (ed è difficile a credersi conoscendo lui e sua moglie) che come unico pregio aveva sempre avuto quello di essere piuttosto belloccio e di non essersi mai messo davvero nei guai. Tutto sommato a trentaquattro anni (ma già a venticinque, già a ventotto) avrebbe potuto farlo, eppure non toccava praticamente una goccia d’alcol e ancora meno faceva uso di sostanze stupefacenti: è che Nero era semplicemente coglione. Non aveva voglia di lavorare. Non aveva voglia di lottare. Non gli piacevano le persone che doveva frequentare. Si faceva presto odiare da tutti. Come facesse, accidenti, lo sapeva solo lui! Comunque proprio perché dopotutto non aveva mai fatto nulla di male se non essere totalmente inadeguato a stare al mondo e a vivere nella società civile, dove occorre essere forti e non delle mezze cartucce, Vincenzo lo aveva sempre aiutato economicamente anche perché se non lo avesse fatto avrebbe dovuto vedersela con sua moglie. E poi, suvvia, anche se non lo avrebbe mai confessato espressamente, in un angolo del suo orgoglio Vincenzo si sentiva contento di essere ancora, a sessantanove anni, il faro della famiglia, il pilastro incrollabile sul quale poggiavano i destini di tutti quanti, di essere ancor’oggi il migliore della casa. Per molto tempo s’era sentito schiacciare dalla presenza del padre che aveva fatto la guerra, un generale di ferro che lo aveva sempre trattato come una specie di essere inferiore. Solo che lui, a differenza del figlio che poi avrebbe generato, un coglione non lo era mai stato e nel tempo si era preso tutte le sue rivincite provando il proprio valore al padre, passato a miglior vita a ottantasette anni (e per chi abita a Tortona in provincia di Alessandria in un appartamento sia pure di duecento metri quadrati in zona centralissima questa espressione ha più senso di chi abita a Florianópolis nello Stato di Santa Catarina in Brasile e pure in una casa di mille metri quadrati). Gli aveva lasciato la casa e dei soldi messi da parte che fortunatamente sua madre non aveva sperperato in donne delle pulizie e badanti prima di morire a sua volta all’età di ottantanove anni, sei anni dopo il marito.
In tutti gli anni che Caterina e Nero erano stati insieme non avevano mai parlato di sposarsi né tantomeno di avere dei bambini per il semplice fatto che si sentivano entrambi troppo inadeguati. Certo, Caterina a volte si lasciava sfuggire di volere un bambino e aveva detto a Nero che con un bambino entrambi si sarebbero forse responsabilizzati di più, ma poi subito pensava di non essere adatta ai bambini, che anche se li guardava agli altri lei era troppo distratta e anche Nero lo era, e poi in fondo concordava con Nero che mettere al mondo una creatura, in questi tempi e con la quasi consapevolezza che dopo la morte non ci sia nulla, fosse quasi un atto di cui sentirsi colpevole. Ora che però aveva scoperto che Mathias valeva trecentomila euro Caterina si domandava se la loro vita se non da un bambino sarebbe stata invece messa a posto da un bambolotto.
Lauro e Sanchez le avevano spedito Mathias per posta aerea dentro un cartone solido e ben imballato. A pensarci col senno di poi era stato ben rischioso quello che quei due avevano fatto, considerato il valore altissimo della merce, ma d’altra parte alternative non ce n’erano, a meno di tenere Mathias a Florianópolis o trasportarlo a Rio das Antas o a Domingos Martins o come diavolo si chiamava – e poi nessuno di loro sapeva ancora quale fosse il valore reale di Mathias. Il bambolotto era arrivato dopo qualche giorno. Dopo due giorni che era stata messa nella buca delle lettere la cartolina che l’avvisava di dover andare a ritirare un pacco alle Poste, Caterina anche un po’ controvoglia era andata a prenderlo. Il bambolotto se non altro era molto bello, assomigliava a Nero. Aveva capelli castani, con la riga da una parte, occhi marroni molto grandi, era paffuto come un bambolotto e indossava una camicia, un maglione, un paio di pantaloni e le scarpine di cuoio, proprio tutto come Nero…
continua





















di Gianni Biondillo

Il manuale di un apprendista sbruffone (1970)