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La pipa di Flaiano

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di Giovanni Nadiani

Silente, dolce far niente
Sabato. Mattino.
Seduto a un tavolino di un caffè a fissare il vuoto dell’ancora deserta pseudo piazza dell’outlet più vicino, in fuga da: tosaerba, potasiepi, trapani, seghe, martelli pneumatici di attivi pensionati, finestre aperte coi televisori accesi su repliche di Grandi e piccoli Fratelli, cani cagatori, cicaleccio assordante di padroni e padrone (di cani) senza museruola…

Madri figlie follia

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di Silvia Contarini

Sto finendo di leggere l’ultimo romanzo di Ornela Vorpsi, Fuorimondo. Mi sconcerta un po’. Non che non mi piaccia, anzi. È che mi aspettavo altro: quando si sono letti diversi libri di un autore, ci si aspetta – scioccamente, certo – di ritrovare le stesse sostanze, quelle che ai nostri occhi fanno il suo mondo. Ma appunto qui siamo “fuorimondo”: non nell’Albania comunista (Il paese dove non si muore mai), non nella Sarajevo del difficile ritorno (La mano che non mordi), Vorpsi non scrive di migrazioni, né di Balcani e Occidente. Qui siamo “fuori”: nel mondo della follia, al femminile. È forse questo che mi ha sorpreso e inquietato, questa storia di madri e figlie e donne folli, folli d’amore, donne che inesorabilmente si innamorano perdutamente, e dunque si perdono, fuori dalla realtà. Il caso vuole che di recente abbia letto altri due romanzi, belli e forti, che raccontano di donne folli. Lo stranissimo Mia figlia follia, di Savina Dolores Massa (Il Maestrale), una sorta di affabulazione, con toni da realismo magico, percorso da una vena pulsante di sofferenza, ha per protagonista una ragazzina, poi donna, ritardata mentale, marginale, che nel suo delirio, vergine isterica puttana, vuole avere un figlio da tre uomini e osserva la pancia gonfiarsi… E il più noto Settanta acrilico trenta lana di Viola Di Grado; molte le recensioni, poche hanno messo il dito in quella che a mio parere è la piaga dolorosa del romanzo: la relazione tra madre e figlia, la felicità femminile impossibile (perché dipende dalla felicità in amore), l’infelicità che sfocia in follia, la perdita di riferimenti nel mondo reale. Senza un uomo che vi ami, non è dato vivere felici. La madre di Camelia chiusa nel suo mutismo fotografa buchi (ovvio l’aspetto simbolico e metaforico del buco); ma l’attrazione per i buchi mi ha ricordato i “pozzi” di Natalia Ginzburg: “le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo […]” Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi con le unghie e coi denti dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero”, scriveva nel Discorso sulle donne, 1950. Nulla è cambiato? Pensavo che la follia (depressione, isteria) per pene d’amore, trasmessa secondo genealogie femminili, di madre in figlia, fosse un tema desueto, un topos socio-culturale e letterario di altri tempi. Di quei tempi in cui le donne non esistevano senza un uomo. Ora riappare, dopo decenni di una letteratura femminile (femminista e postfemminista, per intenderci) che ci aveva abituati a mogli e madri ribelli o “cattive”, a ragazze e donne emancipate o seduttrici; anche quando il malessere le investiva, anche quando l’amore le pervadeva, la follia non era in agguato, non cadevano nel pozzo o ne uscivano rinforzate; madri e figlie non erano incatenate l’una all’altra, non si avvinghiavano a uomini e amori improbabili, non si chiudevano fuori di sé. Benché non appartengano alla stessa generazione, né alla stessa area geografica, benché le loro opzioni linguistiche e narrative siano diverse e distanti pure i loro universi letterari, Vorpsi, Massa e Di Grado manifestano una prossimità che non mi sembra accidentale. Le loro donne matte (per mancanza) d’amore, sono madri e figlie segregate nella dimensione del privato, con un medesimo destino di esclusione sociale, prototipiche di un’umanità ai margini, che parlano da luoghi decentrati (un paesino della Sardegna, un paesino dei Balcani, una grigia città industriale dismessa del nord Inghilterra). Consumano le loro vite nelle periferie del mondo, fuorimondo, anche in questo senso. Penso sia questo ad avermi inquietato, che tre scrittrici di oggi sentano la necessità di scrivere storie di donne rinchiuse in se stesse e nelle proprie follie, un mondo di dentro fuori dal mondo, come se tra loro e il resto non ci fossero ponti. Il mondo di oggi non è fatto per le donne?
PS Mi riprometto di leggere presto Ogni madre, il nuovo libro di Savina Dolores Massa, appena uscito.

Bob Perelman, “La marginalizzazione della poesia”

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Bob Perelman, La marginalizzazione della poesia

Bob Perelman, La marginalizzazione della poesiatraduzione di Andrea Raos

[versione II]

Se le poesie sono eterne occasioni,
allora il contesto pre-eterno per quanto

segue fu un panel su “La
marginalizzazione della poesia” alla American Comp.

Lit. Conference a San Diego, l’8
febbraio 1991 alle 14:30:

Riconsiderazioni su Ponyo

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 di Gualtiero Cannarsi

 

ponyo sulla scoglieraE così, senza neppure portare l’acqua alta (che pure sarebbe stata molto in tema), nell’ultimo giorno d’Agosto 2008 la piccola Ponyo era giunta a Venezia. E il giorno prima ero arrivato in laguna anche io, che Ponyo già la conoscevo piuttosto bene, dato che per tutto il mese mi ero occupato della stesura del copione italiano per il sottotitolaggio del film. Io e Ponyo ci siamo così rincontrati al Lido, insieme all’autore di lei, ovvero quel Miyazaki Hayao che sempre allo stesso Lido, solo due anni prima, avevo visto ricevere un Leone d’Oro alla carriera. Una carriera fatta di ormai molte opere, soprattutto tante pellicole per me tutte così significative. Questa volta, oltre che l’opera del caso, ho avuto la fortuna di conoscere anche l’autore, anzi gli autori, visto che non riesco a considerare il ruolo di Suzuki Toshio meno rilevante di quello di Miyazaki Hayao stesso.

Le elezioni in Francia, la politica marketing, la sinistra omeopatica

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di Giacomo Sartori

Se c’è un vincitore defilato ma incontestabile delle elezioni presidenziali francesi, questo mi sembra essere, all’ombra dell’acclamato successo del neopresidente Hollande, la politica stessa. E nella fattispecie, ma ci tornerò sopra, la politica altamente tecnica e performante, quasi scientifica, di questa campagna elettorale. Uno dei dati salienti è infatti il grande e crescente seguito che ha avuto la lunghissima battaglia elettorale: il lento crescendo, invece di stancare ha saputo attrarre e anche sommuovere gran parte dei cittadini. Ne sono una riprova l’altissimo seguito dei dibattiti televisivi e l’alta affluenza alle urne. Anche tenendo conto delle preoccupazioni legate alla crisi economica, questo successo popolare non era affatto scontato, visto il diffuso e crescente discredito che la classe politica francese, presa nel suo complesso, gode nella società civile.

Nelle pubblicazioni specialistiche come nei documentari (per esempio il persuasivo Les nouveaux chiens de garde, di Balbastre e Kergoat) e nella satira, molto vivace e seguitissima, la classe dirigente d’oltralpe si configura e è percepita sempre di più come un’unica elite, senza più una linea di demarcazione tra destra e sinistra, formata nelle stesse scuole d’eccellenza, frequentante gli stessi giri di persone influenti, legata in modo incestuoso al mondo dei media (a loro volta di proprietà dei grandi gruppi economici e finanziari), e distante anni luce dalla gente comune. Non è un caso che Sarkozy abbia festeggiato la sua vittoria nel 2007 prima in un locale di lusso e poi sullo yacht dell’amico miliardario e proprietario di televisioni, cosa che è piaciuta pochissimo ai suoi connazionali, i quali non hanno mai davvero dimenticato la rivoluzione che hanno fatto. Come non è piaciuta la sua gestione accentratrice e assolutistica del potere, che lo ha portato ai minimi storici della popolarità. Ma come è noto il candidato socialista dato dai sondaggi per favoritissimo, Strauss-Kahn (che tra parentesi era stato imposto alla testa dell’FMI proprio da Sarkozy), si è fatto prendere con le mani nel sacco nel suo agghiacciante menage, una miscela di compulsione sessuale, lusso, maltrattamenti e abusi di potere. A dispetto dei penosi sforzi dell’interessato di ricondurre il proprio operato nell’alveo della blasonata tradizione libertina, queste pratiche niente hanno a che fare con essa, e sono anzi filosoficamente agli antipodi, come anche sono agli antipodi dei valori fondamentali della sinistra: l’eguaglianza e il rispetto della dignità dell’individuo. Ma appunto non è un caso che i due protagonisti principali della tenzone – uno ha un po’ esagerato e ci ha rimesso le penne – abbiano flirtato quasi alla luce del sole con il diavolo delle tentazioni monarchiche e assolutiste (anch’esse mai davvero estinte nel DNA politico francese).

Lo sforzo precipuo dei due principali contendenti, o meglio delle impressionanti equipe di esperti mediatici e comportamentali che li fiancheggiavano, è stato quindi quello di far dimenticare agli elettori questo baratro. Anzi, Hollande, che si è aggiudicato le primarie socialiste dopo il forzato ritiro del satiro, ne ha fatto il suo cavallo di battaglia, presentando se stesso, in aperta contraddizione con il ruolo dato al presidente dalla costituzione della quinta repubblica, e con il suo stesso modello esplicito (Mitterand), come “l’uomo normale”. Nell’altro campo ci si è messa nel suo piccolo anche la nostra Carlà, con la sua allucinante dichiarazione  – enunciata con la sua spudorata vocina e subito ripresa da tutti i media – “noi siamo gente modesta”. Dall’una e dall’altra parte la cosa ha funzionato fino a un certo punto, perché Le Pen (figlia) a destra, con i suoi ritornelli xenofobi e nazionalisti, Mélenchon a sinistra, con la sue vacue ma indubbie doti oratorie, e Bayrou al centro, hanno cavalcato i potenti venti di protesta, con un unico comune denominatore “anticasta”, diremmo noi (ma la nostra casta, antiquata e arraffona, è altra cosa). Nell’insieme quasi due elettori su cinque, al primo turno, hanno scelto la protesta radicale. Il che non è poco, se si tiene conto che moltissimi hanno appoggiato i due candidati favoriti come una volta in Italia tanti votavano democristiano, vale a dire scegliendo il meno peggio, o addirittura (nel caso di Sarkozy) tappandosi il naso.

Per sembrare più vicini, o comunque più appetibili, per la gente comune (quella vera), entrambi i candidati hanno cambiato radicalmente la loro apparenza e la loro gestualità. I coach di Sarkozy sono riusciti non si sa come a fargli passare i frenetici tic e scossoni delle spalle e della testa che lo facevano sembrare a ogni intervento pubblico un cavallo imbizzarrito e potenzialmente pericoloso. E quelli di Hollande lo hanno dimagrito di trenta chili, gli hanno lobotomizzato il senso dell’umorismo (sviluppatissimo), gli hanno reso seriosi e compunti (presidenziabili) l’eloquio e l’espressione del viso, e hanno educato al galateo della telegenia le sue mani. Perché la vera lotta, i due campi lo hanno capito bene, era basata sull’aspetto del candidato, sulla sua capacità di apparire convincente, sul suo (costruito) profilo psicologico.

Proprio per non provocare reazioni o idiosincrasie, i programmi sono stati invece presentati con il contagocce. Era evidente che ogni proposta era messa lì come un potente marchio commerciale introduce sul mercato un nuovo prodotto, certo con alle spalle solidissime ricerche di marketing, ma pronto a aggiustare il tiro sul gusto o sul colore della confezione, o al limite anche a ritirare la novità. Nel caso di Sarkozy, sceso in campo ufficialmente solo poche settimane prima del voto, questa ritenzione aveva dell’avarizia di Arpagone. E comunque sia da una parte che dall’altra la forma, era sempre più importante del timido contenuto. Il quale più che verosimile – spesso i commentatori lo bollavano unanimemente come velleitario – doveva rivelarsi ben digesto e sondaggio-genico.

Il dato paradossale è che in questa guerra che in entrambi i campi adopera la stessa prudenza e le stesse tecniche commerciali, e nella quale le idee e i programmi sono diventati pura decorazione, a differenza di quanto poteva ancora accadere nell’ormai lontanissimo 2007, non si potrebbe dire che ci sia un completo appiattimento tra destra e sinistra. Nel programma di Hollande ci sono due elementi che si possono definire senza ambiguità di sinistra: una politica fiscale concentrata sulle grandi ricchezze piuttosto che sui meno abbienti, e la proposta, quasi uno scampolo di welfare, anche se il termine nel frattempo è diventato tabù, di un aumento degli effettivi nella scuola. Ai quali si aggiunge la volontà dichiarata del nuovo presidente di rinunciare alla facoltà di nominare personalmente molte importanti cariche (per esempio della televisione di stato), di voler rendere più autonoma la magistratura, e di perseguire in tutti i campi una maggiore giustizia. Una sinistra insomma ormai adattata alle leggi dell’era dello spettacolo, e nella quale quindi lo stile e la faccia del candidato sono altrettanto importanti delle omeopatiche proposte concrete, ma pur sempre una sinistra.

Ma appunto le non sostanziali differenze tra destra e sinistra, entrambe sottomesse ai dettami della crisi economica e degli obblighi internazionali, non devono nascondere secondo me il dato più importante. Con le sue nuove tecniche mediate dal marketing la politica francese è riuscita nel complesso, seppure in extremis, a venircene fuori bene, è riuscita a rinsaldare, almeno per il momento, il suo legame con il paese. Resta da vedere come fronteggerà la crisi economica, che tutti i candidati, compreso quello vincente, e proprio per non spiacere a nessuno, hanno minimizzato.

(pezzo pubblicato sul quotidiano “Trentino” del 07.05.2012)

Byron – Il tabù

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di Franco Buffoni

Per oltre un secolo dopo la morte di Byron, anche solo toccare l’argomento omosessualità in Inghilterra fu tabù. Si dovette attendere il 1861 perché finalmente le due camere votassero l’abolizione della pena di morte per il reato di sodomia tra adulti consenzienti, sostituendola con il carcere a vita. Nei decenni successivi la pena venne ridotta a un numero ristretto di anni, fino a giungere ai due anni di carcere duro comminati a Oscar Wilde nel 1895.

La “Fabbrica” di Adriano Spatola

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transizioni arte__poesia

Milano – martedì 8 maggio 2012  – ore 11

Accademia di Brera, sala napoleonica

 Eugenio Gazzola presenta:

 FABBRICA DI POESIA

       ADRIANO SPATOLA GUARDA UN TESTO

Ingresso libero

pop muzik (everybody talk about) #19

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I Am the Fly / Wire. 1978

L’unico scrittore buono è quello morto

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di Gianni Biondillo

Marco Rossari, L’unico scrittore buono è quello morto, E/O, 214 pagine

La letteratura che parla di se stessa – che parla di libri, di scrittura e di autori – è un genere a sé stante, genere nobile e di antica tradizione. In fondo ogni scrittore passa buona parte della sua giornata a scrivere, a leggere o a ragionare di scrittura, diventa inevitabile che sia anche il centro di molta narrazione. Detto così può preoccupare l’idea di imbattersi in un libro che sembra parli esotericamente al suo ego, ma per fortuna, proprio perché l’argomento è la ragione stessa di vita dell’autore questo genere letterario – la letteratura che parla di letteratura, una sorta di letteratura al quadrato – sa anche essere affascinante, proprio come nel caso del libro di Marco Rossari, divertente già dal titolo: L’unico scrittore buono è quello morto.

Questo di Rossari non è un romanzo o una racconta di racconti e meno che mai una collezione di saggi critici. Sembra piuttosto uno zibaldone, una congerie di aforismi affilatissimi e lunghi meta-racconti paradossali, dove si possono incontrare un Tolstoj invitato a parlare delle sue opere alla radio, o uno Shakespeare accusato di plagio. Molti di questi racconti di racconti sono in prima persona. Fiction di autofiction (la ridondanza e il gioco di specchi caratterizza l’intero libro) dove i molteplici Rossari – emblemi dei molteplici scrittori, poeti, traduttori, critici che affastellano il mondo dell’editoria – si ritrovano di fronte a situazioni frustranti, assurde, umilianti.

Ma non c’è né autoindulgenza né rabbia. L’autore sa che chi scrive convive con una malattia totalizzante che si accanisce sull’esistenza dandole al contempo senso. Rossari poi, dalla sua, ha la fortuna di snocciolare nelle sue pagine una cultura, non solo nozionistica o anedottica, davvero notevole senza dotti compiacimenti di sorta. Scrive bene, cambiando spesso di tenore e registro, con autentica sapienza, regalando al lettore un libro che fa intravedere, da dentro, la macchina magica e infernale delle nostre ossessioni.

[pubblicato su Cooperazione, n. 8 del 21 febbraio 2012]

no fiction/no ketchup

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BLACK BLOCK [2011]
di Carlo A. Bachschmidt
 

 
no fiction/no ketchup

[contesto+voci+volti+nomi+verità=memoria]
 
pubblicato da orsola puecher

“Diaz”: il film e le polemiche

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di Andrea Inglese

Sono grato al manifesto perché è uno dei pochi giornali dove qualcosa di simile ad un autentico dibattito sembra ancora possibile. Questo non vuol dire, ovviamente, che trovi sempre tali dibattiti fondati. Reputo, ad esempio, fuorvianti le polemiche emerse intorno al film di Daniele Vicari, Diaz, incentrato sull’irruzione delle forze di polizia nella scuola Diaz la sera del 21 luglio 2001. Le reputo fuorvianti, ma significative.

Byron – Proiezioni

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di Franco Buffoni

Grazie alle sue impareggiabili doti di versificatore e di creatore di trame teatrali, Byron spesso si rivela solo agli “iniziati”. La tipologia ricorrente è quella dell’eroe byroniano, palese proiezione sulla scena del poeta stesso. Costui è sempre molto attraente e affascina la protagonista femminile; ma è scontroso, tanto da apparire misogino; tuttavia è anche capace di slanci di generosità e talvolta persino di gesti affettuosi.

Lettera Internazionale 111

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(È disponibile il nuovo numero di Lettera Internazionale. Si  riprende qui l’editoriale di Biancamaria Bruno.)

Cari amici, cari lettori,

la lingua – diceva Gramsci – viene inevitabilmente considerata dalle classi dominanti più come uno strumento di politica culturale per la conservazione del potere che non come una risorsa da valorizzare. I pochi che hanno un effettivo controllo sull’uso della propria lingua la piegano ai loro scopi. Quei pochi, consapevoli della loro superiorità “linguistica”, e quindi politica, non hanno interesse alcuno a che la gente alimenti la propria consapevolezza sulla lingua che parla e che scrive – è la storia dell’umanità a dircelo, e anche la storia italiana degli ultimi anni.

Stella d’Italia

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11 maggio – 5 luglio 2012 (6 maggio anticipazione del cammino da Mantova alle Grazie)

Un cammino a piedi per ricucire l’Italia con i nostri passi

L’Italia ha bisogno di risorgere. Ha bisogno di tirare fuori dalla sua testa, dalla sua pancia e dal suo cuore le energie che pure conserva dentro di sé e che ‐come è successo altre volte in passato‐ possono farla risorgere. C’è bisogno di gesti, individuali e collettivi, che diano una spinta verso questa rigenerazione. C’è bisogno di unire sentimento e visione. C’è bisogno di mettere al mondo e rendere visibile questa urgente necessità e questo desiderio diffuso attraverso gesti significativi e prefiguranti da compiere insieme. C’è bisogno di un incontro non solo mentale e ideale ma anche fisico, che renda visibile e che faccia vivere l’immagine e la possibilità di un’unione dinamica riconquistata, dopo anni di intossicazione, di avvilimento e di mancanza di prospettive, di lacerazioni e di divisioni, territoriali e sociali, in cui c’è stato chi ha creduto di prosperare agitando e acuendo proprio queste divisioni e queste lacerazioni, fino a portarci nel vicolo cieco in cui ci troviamo e da cui è questione di vita o di morte uscire per poter finalmente imboccare altre strade.
Antonio Moresco

Dopo l’esperienza di Cammina Cammina dello scorso anno, realizzata grazie a oltre 700 persone tra donne e uomini che dal 20 maggio al 4 luglio hanno compiuto un viaggio a piedi da Milano a Napoli per ricucire l’Italia con i propri passi (http://camminacammina.wordpress.com), ora proponiamo un’impresa che sembra più impossibile ancora. Stella d’Italia ‐ questo il nome della nuova iniziativa ‐ sarà un grande spostamento a piedi, di menti e di corpi, che partirà da diverse zone geografiche del nostro Paese: dal nord, dal centro e dal sud, con percorsi che assumeranno la forma dei bracci di una stella e che convergeranno su L’Aquila. Città che, oltre a trovarsi in una posizione centrale nel nostro Paese, rappresenta anche il nostro bisogno e desiderio di ricostruzione. Dal prossimo 11 maggio (con un’anticipazione il 6 a Mantova con la partecipazione alla Giornata Nazionale dei Cammini) e fino al 5 luglio 2012 attraverseremo molti comuni grandi e piccoli e cercheremo, in dialogo con Associazioni e Amministrazioni sensibili a questo bisogno di rigenerazione, di far vivere ‐anche attraverso incontri pubblici da tenere alla fine di alcune tappe ‐ tutta la forza antica e nuova del tessuto comunale del nostro Paese.

Il cammino muoverà da Messina, da Reggio Calabria, da Venezia, da Genova, da Santa Maria di Leuca e da Roma (grazie alla collaborazione con la Lunga marcia per L’Aquila organizzata per il 30 giugno dal comitato Lunga Marcia per L’Aquila) secondo un preciso calendario che prevede una marcia distribuita su circa 60 giorni tra la primavera e l’estate 2012.

Stella d’Italia, oltre a essere un “cammino” alla scoperta dei luoghi meno noti e meno frequentati della penisola, fornirà anche l’occasione a tutti i camminanti e alle persone che vedranno attraversati i loro luoghi, di raccontarsi e raccontare, denunciare o decantare problemi o eccellenze del proprio territorio così da utilizzare questo come un contenitore in grado di fare da cassa di risonanza all’intero territorio. Non sarà semplice turismo o rivalutazione del territorio, Stella d’Italia sarà un potente motore nella cui scia potranno inserirsi tutti coloro che abbiano in comune una visione più ampia del loro essere al mondo.

Stella d’Italia partirà dalla Sicilia, dalla Calabria, dal Veneto, dalla Liguria, dalla Puglia e dal Lazio in questo ordine: 11 maggio da Messina – 12 maggio da Reggio Calabria – 25 maggio da Venezia – 27 maggio da Genova ‐ 2 giugno da Santa Maria di Leuca – Inoltre, grazie al fortunato incontro con l’iniziativa promossa dal Comitato Lunga Marcia per L’Aquila, ci sarà anche un braccio della Stella che partirà il 30 giugno da Roma (Montecitorio)
Stella d’Italia è un progetto totalmente basato sul volontariato: sul servizio volontario degli uomini e delle donne che accettano di contribuire liberamente all’impresa. Per questo, sostenere Stella d’Italia significa contribuire alla riuscita del progetto e partecipare alla sua realizzazione. Chiedi informazioni su come sostenerci mandando un email a stelladitalia12@gmail.com;
• Durante il cammino sono previsti eventi speciali di coinvolgimento del territorio, di racconto e raccolta delle esperienze (per questo si chiederà l’impegno delle Istituzioni di riferimento e delle Associazioni del Territorio). In particolare a Cosenza, Lamezia Terme, Bologna Aulla, Taranto, Lucca, Matera, Monselice, Monteriggioni, Camaldoli, Assisi e L’Aquila dove dal 5 all’8 luglio 2012 si svolgerà un evento dal titolo “I fuochi dell’Aquila”: http://camminacammina.wordpress.com
• La comunicazione di Stella d’Italia, oltre a quella stampa, avverrà prevalentemente attraverso mail e social network. Attiva una mailig list di oltre 3000 contatti e presto nelle librerie l’esperienza‐diario di Cammina Cammina, che lo scorso anno, da Milano a Napoli ha visto la partecipazione di circa 700 persone scaglionate in ogni tappa della via Francigena e dell’Antica Appia, da Roma a Napoli.
• Stella d’Italia partecipa alla 4° Giornata Nazionale dei Cammini Francigeni con la Stella in anteprima il 6 maggio a Mantova. – http://camminacammina.wordpress.com ‐ www.ilprimoamore.com

I fuochi dell’Aquila
da terremotati a terremotanti
L’Aquila, 5 – 8 luglio 2012
Alla fine del lungo cammino che ci porterà da ogni parte del Paese nella città di L’Aquila, facendola diventare la capitale sentimentale d’Italia e la sua prefigurazione, Stella d’Italia si trasformerà in un fuoco che vuole rispondere al grido muto della città. Un qualcosa che non si perda e che continui a crescere e a sedimentare anche quando questo nostro sogno collettivo sarà finito. Che sia di aiuto alla rigenerazione della città e che impedisca che venga dimenticata e ibernata. Perché quello che ci dice e ci sta gridando rimanga di fronte ai nostri occhi e a quelli dell’intero Paese, incancellabile, fino a quando non resterà che ascoltare la sua voce.
Dal 5 all’8 luglio prossimo si svolgerà, in collaborazione con le tante associazioni e Istituzioni aquilane e abruzzesi che hanno aderito, un grande incontro nazionale e internazionale che avrà al centro l’esperienza del terremoto. Ma non solo quella dimensione del terremoto che ogni tanto scuote le nostre città e le nostre vite in ogni parte del mondo, ma anche quella più generale in cui si muove la nostra vita e quella che attende in futuro la nostra specie in questo passaggio d’epoca pieno di incognite in cui è tutto da ripensare e da reinventare.
Saranno invitati (in forma assolutamente volontaria e gratuita e chiedendo per di più di meritarsi la propria presenza facendo almeno l’ultima tappa a piedi) persone che già adesso si muovono in questa frattura di faglia, nel campo scientifico, culturale, economico, dell’architettura, della medicina, in quello giornalistico, musicale, nelle altre arti.
In quest’ottica si è pensato di organizzare una kermesse che declini il termine “terremoto” in cinque aree tematiche individuate (anche queste come le punte di una stella):

Ognuna delle macroaree occuperà un luogo fisico diverso del Centro storico della città (all’aperto o in luoghi eventualmente individuati con la collaborazione degli Enti preposti) e ospiterà eventi di diverso tipo: incontri con personaggi di spicco, letture, concerti, spettacoli, racconti di esperienze, feste, semplici momenti di riflessione collettiva su aspetti singoli delle problematiche che attraversano quotidianamente la nostra esistenza. Quattro giorni di incontri e di manifestazioni artistiche e musicali all’interno del centro storico, non solo con persone e membri di associazioni che hanno dovuto far fronte alla vostra stessa terribile esperienza in altre parti dell’Italia e del mondo (Giappone, Cile, California…), per costituire un bacino di esperienze e di conoscenze e una banca di idee, ma anche con chi ha compreso, nei vari campi, che il terremoto è la forma stessa della nostra vita e che bisogna saperci convivere, qualcosa che ci può indicare persino nuove possibilità e nuove strade.
L’Aquila sarà il luogo dove nascerà un nuovo modo di incontrarsi tra persone che vogliono rigenerarsi e rigenerare il territorio e il rapporto con gli altri. Tra persone che da terremotati si trasformeranno in terremotanti per diventare il centro di questo sentimento del mondo, di questa consapevolezza e di questa ricerca.

Eventi intermedi di Stella d’Italia
Lungo il cammino Stella d’Italia entrerà in alcune piccole o grandi città, borghi e paesi e in qualcuno si stanno programmando momenti di incontro tra la Stella e gli abitanti locali.
Auspichiamo che queste occasioni si moltiplichino ma intanto comunichiamo quelli già in fase organizzativa:
l’8 giugno a Lucca si svolgerà un incontro con Claudio Puccinelli – (pomeriggio) e al mattino con Pia Pera.
il 9 giugno a Taranto in collaborazione con l’Associazione Presidi del Libro e in particolare con la Libreria Dickens si svolgerà un incontro con le realtà culturali della zona;
il 13 giugno a Matera, nei Sassi, si svolgerà una lettura diffusa di autori e lettori. L’evento è aperto alla città e a tutti i cittadini;
il 25 giugno ad Assisi, presso la Rocca Maggiore, si svolgerà una lettura collettiva di alcune tra le pagine più suggestive della letteratura italiana. L’evento è aperto alla città e a tutti i cittadini.
Inoltre sono previsti incontri a Cosenza, a Lamezia Terme, ad Aulla, a Messina, a Camaldoli, Monselice, Dolo…
Nelle città da cui si parte saranno via via segnalati gli eventi di presentazione della Stella d’Italia sul sito di Cammina cammina.

Scaletta date Stella d’Italia ‐ Nord
Liguria Partenza da Genova domenica 27 maggio: Fermi il 7 giugno a Lucca ‐ Partenza da Lucca l’8 giugno ‐ Arrivo ad Assisi il 24 giugno Fermi ad Assisi il 25 giugno
Veneto Partenza da Venezia venerdì 25 maggio Arrivo a Bologna il 2 giugno – fermi il 3 ‐ Arrivo a Camaldoli il 13 giugno ‐ Fermi a Camaldoli il 14 giugno Arrivo ad Assisi il 24 giugno Fermi ad Assisi il 25
I bracci dal nord si congiungono il 24 giugno ad Assisi e l’unica colonna parte da Assisi per l’Aquila il 26 giugno
Arrivo a Spoleto il 29 giugno Partenza da Spoleto il 30 giugno Arrivo a L’Aquila il 5 luglio

Scaletta date Stella d’Italia ‐ Sud
Calabria Partenza da Reggio Calabria il 12 maggio Arrivo a Matera il 12 giugno Fermi a Matera il 13 giugno
Puglia Partenza da Santa Maria di Leuca il 2 giugno ‐ Arrivo a Taranto l’8 giugno ‐ Fermi il 9 giugno a Taranto Partenza da Taranto il 10 giugno Arrivo a Matera il 12 giugno Fermi a Matera il 13 giugno I bracci dal sud si congiungono il 13 giugno a Matera e l’unica colonna parte da Matera per l’Aquila il 14 giugno Partenza da Matera il 14 giugno Arrivo a L’Aquila per il Tratturo Magno il 5 Luglio
Lazio (a cura di Lunga marcia per L’Aquila) Partenza da Roma il 30 giugno Arrivo a L’Aquila il 5 luglio dal Lago Rascino

Per le iscrizioni:
Potete scrivere per info e iscrizioni a iscrizionistelladitalia@gmail.com oppure telefonare ai seguenti referenti
Puglia Emma Cortellini 3703037876 Irene Greco – 3355892711 Il tratto Santa Maria Di Leuca – Taranto è a cura di SpeleoTrekkingSalento di Lecce
Liguria Tina Imbriano – 3404079594 Roberta Medini ‐ 3342683069
Sicilia e Calabria Laura Mutti ‐ 3487313027 Fabiola Zanetti ‐ 3397444911
Veneto Maurizio Netto ‐ 3357816416 Beatrice Bertolo ‐ 3498786929
Lazio Enrico Sgarella del Comitato Lunga Marcia per L’Aquila 3929135419

Per adesioni o sostegno a Stella d’Italia o info sugli eventi, per l’ufficio stampa e la segreteria scrivere a: stelladitalia12@gmail.com,
Per la comunicazione al sito http://camminacammina.wordpress.com ‐ tribuditalia@gmail.com
La partecipazione a Stella d’Italia non prevede alcuna tassa di iscrizione. E’ richiesta invece la quota assicurativa obbligatoria di 3 euro liquidabile all’inizio di ogni tappa o (per più di una quota contemporaneamente) con versamento sul conto corrente postale (info da richiedere a stelladitalia12@gmail.com). La quota permette anche di diventare “Amici di Stella d’Italia”, ovvero aderenti e sostenitori di Stella d’Italia. Le persone che faranno il versamento della sola quota di iscrizione o di sostegno più ampio (da 3 euro in su) saranno aggiunti ai nostri Amici e potranno seguire come vengono eventualmente impiegati i fondi donati direttamente sul nostro sito.

Chi siamo
L’Associazione Culturale Il Primo amore: Andrea Amerio, Sergio Baratto, Carla Benedetti, Maria Cerino, Gabriella Fuschini, Serena Gaudino, Giovanni Giovannetti, Teo Lorini, Antonio Moresco (presidente), Sergio Nelli, Tiziano Scarpa, Andrea Tarabbia, Dario Voltolini.
I volontari che organizzano Stella d’Italia:
Coordinamento generale ed eventi ‐ rapporti con le Istituzioni: Serena Gaudino Giovanni Giovannetti Antonio Moresco
Marketing e Fund raising: Renata Moresco e Emma Cortellini
Ufficio Stampa e Comunicazione: La redazione del Primoamore.com insieme a Sergio Baratto Segreteria di supporto: Irene Greco, Tiziano Colombi
Referenti braccio Nord Est: Venezia ‐ L’Aquila: Beatrice Bertolo, Tina Imbriano e Maurizio Netto
Referenti braccio Nord Ovest: Genova ‐ L’Aquila: Tiziano Colombi, Giacomo D’Alessandro, Roberta Medini, Tina Imbriano
Referenti braccio Sud Est: Santa Maria Di Leuca – Taranto: Raggio Speleo Trekking Salento, Taranto – L’Aquila: Irene Greco e Emma Cortellini
Referenti braccio Sud Ovest: Messina ‐ Reggio Calabria ‐ L’Aquila: Fabiola Zanetti, Laura Mutti
Referente Braccio Ovest – Est: Roma L’Aquila: Enrico Sgarella (Comitato Lunga Marcia per L’Aquila) Collaborano inoltre alla buona riuscita di Stella d’Italia Alberto Vesprini, Dina Albrizzi, Erica Locatelli, Giovanni Tundo, Grazia Sanna, Maria Pace Ottieri, Marina Marani, Antonio Cerullo, Chiara Rossi, Lulù Izzo, Rachele Moscatelli.

Azione Atzeni

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di Francesco Forlani
«Correva da solo, fuori dal branco, ruvido e schietto, ancora capace di stupirsi, indignarsi, ridere. Perché era un uomo vero, in un ambiente in cui crescono a vista d’occhio individui virtuali. Perché era un uomo antico che anticipava il futuro. Uno per cui contava l’essere e non l’apparire. Per questo non l’avete mai visto e non l’avreste mai visto in un talk show.
Privilegio degli scrittori è proprio quello di continuare a parlare anche dopo la loro scomparsa
fisica. Se sono autentici, come Sergio era, il seme che hanno gettato non va perduto»
Ernesto Ferrero

Azione Atzeni
Comunicato stampa

Street Spirit (Fade out) ovvero un requiem per il Teatro San Martino

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di Azzurra d’Agostino

and fade out again
and fade out
Radiohead

Se “benedetta è la città che fonda un teatro”, come suona la frase di Edward Bond a sottotitolo dei Quaderni di Roma – com’è la città che lo chiude?

In momenti come questi viene in mente un paragone piuttosto amaro, ci si sente come quando a un funerale vorresti dire due parole a suggello della vita di un amico; difficile raccogliere in una manciata di frasi tutta la strada che avete fatto insieme, il peso di un’assenza che comincia a diventare reale.

#MayDay (updated)

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Oggi è un Giorno dei Lavoratori che si preannuncia assai movimentato. Le manifestazioni di Francia cadono nel sempre più aspro scontro elettorale, e conviene tenere d’occhio anche la Grecia e la Spagna.
Ma è soprattutto negli Stati Uniti che si prospettano cose inaudite. Occupy Wall Street e gli altri movimenti, hanno annunciato lo sciopero generale.

VIOLA AMARELLI nostra patria

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a) Nel 1856 Ciccillo è a Zurigo: ci lavora 4 anni, insegnando al Politecnico di Zurigo; vive in una stanza con dei canarini, ama Nina; scrive come sempre di quello che gli pare importante, le parole.
 
 
 

 
 
 
b) Così, il vortice, le luci e i tendini – la statuaria: tenebre e lampi, lanterne lumi radenti: da Caravaggio a Malta, da Roma a Siracusa, passando per Napoli dove arriva dopo – dopo, Jusepe. Corto, tracagnotto beve ogni tratto, ogni tono e l’ombra: abbrunendo, virando al bianco nero passioni, il gran lombardo già errante, giù a Sud più a sud, già corpo sepolto salendo a un ritorno, lo Spagnoletto che s’innamora e, amando e penetrando, lì dentro i quartieri, a ripercorrere strade vichi e sguardi e morti.
 
 
 
 

c) Paese dei vitelli, ora per lo più giovenche.

 

d) Francesco S. a 16 anni perde un occhio in Val d’Ossola. Medaglia d’argento, invalido. Ha studiato violino al conservatorio, suonerà tutta la vita. Nipote di prevosto, ucciso il padre per vendette private durante il ‘44, si laurea in chimica. Alla fine della guerra la Montecatini lo manda a Napoli, a dirigere una fabbrica di plastica nuova di zecca. Torna su solo d’estate alla madre, sul lago. Sposa una minuta, vivace napoletana. Si appassiona di Positano, e di pesce. “Qui non hanno idea di che sia la carne”.
 
 


 
b) L’ingorgo, un tornado, raggiera di misericordia: un laooconte di moto, affollato di carne e di ombre. Non l’avrà mai questa grazia il doppio, l’epigono, il fascinato. Più glaciale, più fisso, più fermo, più vene, a puntasecca il pennello. Inseguendo, oltre, di là della fine. Più felice, di vita. E lavoro. Apparendo. Non così, non così. Merisi aveva alzato il sipario, Ribera da vicino Valencia scendendo deciso lungo un mare e gli agri e i vescovadi, a richiuderlo, cupo. E stracciato. Non così.
 
 

c) Clientes, cordate, clan e. Date, date. Da sempre l’arraffo. La vita ridotta a una riffa.

 

 

d) Mario P. fugge una vita. Dalla madre, dalla famiglia, da un Mezzogiorno di ladri e bugiardi. Scia, per ripicca ad un mare acre. Su in Piemonte, alla scuola ufficiali sposa testardo una alta, limpida, 10 anni più vecchia. In guerra, Africa, colleziona medaglie, inclusa la croce di ferro di Rommel. Rifiuta di imbarcarsi col suo generale all’armistizio. Fugge, coi suoi soldati. In Albania, coi comunisti sulle montagne. Altra medaglia. Ritorna, lavora, il direttore di produzione, per film neorealisti e b- movie L’alta e limpida muore, assai vecchia. Mai avuto figli. Resta con un badante, africano, in una Roma indecente. A volte parlano, di deserti e terra rossa. Niente mare.
 
 
c) Palafitticoli, illirici, fenici. Ondate di greci: il 99% del dna ora adesso. Franchi, ostrogoti, longobardi. Un ponte. Una campata appenninica, faglia di azzurro. Sole. E alpi. E pietre, bianchissime, a mare. Splendore: tessuti in ricamo e rovine.
 


 
b) Entrando, alla chiesa, la poverella stesa, deposta, seppellita, una radiosità arcuata, un chiarore diffuso ad affogare, affocata come negli occhi dei ciechi, diluendo, trascolorando la luce. E la vita. Santa Lucia, a Siracusa, stretta finissima a Ortigia, dal cielo di monti a quello africano vicino, vicino, Merisi.
 

d) Su giù, l’inverso, una vecchia canzone: il mondo intero.


c) Due braccia, due gambe, due occhi: uguali, almeno la maggior parte.

 

a) Ciccillo negli ultimi, lunghi anni, al buio, riaccecato, come ogni indovino, come ogni poeta.
 
“Perciò non mi piacevano i pleonasmi, i ripieni, le riempiture, le perifrasi, le circonlocuzioni, le parentesi, i lunghi e armoniosi giri del periodo, l’abuso delle congiunzioni e delle inversioni. Tutto questo era roba da esser gittata a mare.” – Francesco De Sanctis da ‘La Giovinezza’
 
 
 
 

piccole estinzioni quotidiane

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 Michele Zaffarano

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Non viaggiamo frequentiamo molta gente poi non ne frequentiamo più. Le solite ore di solitudine. Così torniamo e ricominciamo a vivere da soli. Altri rispetto alle altre cose. E le virtù con parole tanto aspre. Hai detto questo. Almeno lui come se veramente potesse portarsela via. Insomma si sente agitata da vibrazioni sottili. È un dato di fatto. È semplice la vita con tutte le sue iniziali.

Byron – Un ritratto

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di Franco Buffoni

Il poeta bel tenebroso, caricaturato da Thomas Love Peacock in Nightmare Abbey come Mr Cypress, nascondeva dunque un segreto “infamante” che, come la sua fama cresceva, il gossip londinese non poteva e non voleva perdonare. Le vicende della sua vita paiono ai nostri occhi quelle di un uomo braccato e sfinito, di un’icona rovesciata, invertita nei suoi sensi più profondi.