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Vita complicata di un sopravvissuto

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di Mauro Baldrati

L’altra sera al gruppo di psicodramma il sopravvissuto che è in me ha fatto una full immersion molto interessante nella cultura maggiore [qui ] italiana alla moda.

Toccava a Lucia, di Trento, salire sul palcoscenico per il lavoro, cioè la rappresentazione del suo psicodramma. Lucia è una donna di circa quarant’anni che lavora nel servizio pubblico della sanità.

Chiediamo coraggio

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[Luisa Bocchietto, presidente ADI, il 4 gennaio ha replicato al mio appello sul Corriere – Milano, qui. Il giorno appresso è giunta la lettera di Pisapia, qui. Il 7 gennaio l’arch. Perotta ventila di querelarmi e ci dà degli invidiosi, qui. Ieri abbiamo rilanciato con questo pezzo che pubblico qui di seguito.]

di Marco Belpoliti, Gianni Biondillo, Marco Biraghi, Roberto Marone, Luca Molinari

Gentile Sindaco Pisapia, deduciamo dalla sua risposta che lei ha compreso benissimo quanto quella dei firmatari di questo appello non sia una azione “contro” questa giunta. Vuole essere, semmai, un contributo attivo per alzare la qualità e l’ambizione del dibattito.

Mà terials

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Nina ovvero Nel nome della madre
di
Marco Barbieri

Il libro inizia con un viaggio per mare, cioè nel topico e ancestrale luogo di movimento dell’umanità, a significare quanto la storia di genere sia incardinata nella storia del mondo, degli uomini e delle donne.
Il racconto nasce da una riflessione di Nina, una bambina di dieci anni. Nina lancia uno sguardo sulle cose, sul mondo, che improvvisamente le appare storto, strano, asimmetrico. Nota un’asimmetria palese quanto bizzarra: i nomi dei componenti della sua famiglia rivelano un’incongruenza. Lei, suo padre e suo fratello, hanno tutti lo stesso cognome ma non la mamma, proprio quello della mamma risulta diverso. La mamma un’estranea?

Rompere la cornice

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di Gianni Biondillo

Leggo i giornali tutte le mattine, mentre faccio colazione, al bar di Gianni. Che è cinese e chissà qual è il suo vero nome, ma tutti lo chiamano così, quando al bancone gli ordinano un caffè. Elena invece è il nome della proprietaria del ristorante cinese sotto casa mia. Poi ci sono Lia, Marco, e tutti gli altri cinesi che ho conosciuto nel quartiere multietnico dove vivo, pieno di Ahmed, Carlos, Arben, Yuri. I cinesi sono gli unici che prendono in prestito i nomi del paese che li ospitano. L’ho notato anche a Berlino o New York. Quando sento dire che sono una comunità chiusa, impenetrabile, trovo che questa sia l’ennesima scusa per giustificare i nostri mai sopiti sospetti.

Pistoia ripudia il fascismo. Giornata di mobilitazione

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Oggi, 7 gennaio 2012, dalle 17 in poi

Il 13 Dicembre Gianluca Casseri, un militante di Casa Pound, a Firenze ha ucciso due persone e ne ha ferite altre tre, ree soltanto di avere la pelle di un colore diverso dal suo e di essere venute in Italia alla ricerca di miglior sorte. A seguito di quel tragico evento abbiamo avviato una serie di mobilitazioni che hanno come obbiettivo la chiusura del covo fascista di Via S. Marco.
Non lasceremo che la memoria si affievolisca, e non lasceremo il quartiere finché quel ricettacolo di vecchie ed aberranti idee verniciate di nuovo non vedrà abbassato per sempre il suo bandone.
ORE 17,10: AnThéfascista!
Degustazione di tè davanti al covo di Via S. Marco (se vuoi porta la tua tazza ed il tuo tè preferito)
ORE 18,00: Bastasvastica
Spettacolo teatrale per il quartiere ad opera di Ultimo Teatro.
ORE 20 (Circa): Cena e DjSet
Presso la Libera officina Primo Maggio, in Via Argonauti 10
Ritrovo ORE 17
presso la Libera Officina Primo Maggio
L’evento su facebook, qui

Premio Tirinnanzi

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Premio di poesia Città di Legnano – Giuseppe Tirinnanzi

Il premio si divide in tre sezioni: a) lingua italiana; b) dialetti della Lombardia; c) premio alla carriera. La partecipazione è libera e gratuita.

Sezione Lingua Italiana. Solo per libri editi nell’ultimo biennio.

Si partecipa inviando 4 copie di un libro di poesia stampato tra il 1 gennaio 2010 e il 30 aprile 2012. Le 4 copie, recanti breve biobibliografia, dati anagrafici e recapiti dell’Autore, nonché la dicitura “Partecipa al Premio Tirinnanzi 2012”, vanno inviate entro il 30 aprile 2012 (fa fede il timbro postale) ai seguenti indirizzi:
Segreteria Premio Tirinnanzi c/o Famiglia Legnanese, C.P. 71 Legnano Centro – 20025 Legnano (Milano);
Franco Buffoni c/o Maga Museo d’Arte di Gallarate, via De Marchi 1 – 21013 Gallarate (Varese);
Uberto Motta Cattedra di Letteratura e Filologia italiane, Université de Fribourg – Faculté des Lettres, Av. de Beauregard 11 – CH 1700 Fribourg;
Fabio Pusterla c/o Liceo Cantonale Lugano 1 – Palazzo degli Studi – Viale Cattaneo 4 – CH 6900 Lugano.
La Giuria Tecnica, composta da Franco Buffoni (presidente), Uberto Motta, Fabio Pusterla

Nuntio Vobis

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Avevo giurato a Nunzio che gli avrei fatto un bel ritratto per Nazione Indiana. Perché Nunzio Festa, nomen omen, ha una energia letteraria davvero notevole. Quando è il suo turno, per un reading o un intervento, non trascina i passi insieme alle idee, alla maniera dei mentecatti blasés che popolano le strade di Litteratur Village. Lui corre, lasciando che i capelli lunghi disegnino un’onda nell’aria, contagiosa e gagliarda. Ho camminato a lungo con lui tra i Sassi di Matera, pietre secolari abitate dal fumo di terribili incendi e con lui mi sono ubriacato a botte di amaro ai piedi del Barisano. Essere uno spirito libero non è, probabilmente, condizione di riuscita di un’opera, ma sicuramente un effetto. effeffe

da “Farina di Sole”
(Senzapatria Editore)
di
Nunzio Festa
Prima richiesta da ricordare: soffiargli il naso.
Mio figlio ha avuto due volte la morte.
Seconda richiesta da esaudire: massaggiargli il petto.
Due volte, è morto. Il pianto è fine fine. Sottilissimo dico. Quello che avrebbe voluto dare lui, ho concesso. Riconosco di avere fatto tutto il possibile. Gli sono stata vicino giorno e notte.
Il memoriale me lo stava dettando. In mente. Me lo passava con quella facilità che ci permetteva di comunicare. Ho preso un pezzo di quelle storie di politica e affari. Ma non ho avuto il coraggio di scrivere. Non sapevo allontanarmi dalla sedia. Non ho avuto il coraggio e la forza di scriverne. Non ero pronta per alzarmi e andare a prendere carta e penna.

Alla fine lui non mi ha chiesto esplicitamente di trascrivere, né di prendere la carta e la penna. Mi aveva richiesto invece di ricordare. Passando nella mia testa tutto quello che per mesi lo aveva frastornato. Da ora in poi sono disponibile a raccontare alla magistratura. Non mi crederanno o non saranno inclini a esserlo.
Ma da ora in poi tutto quanto mio figlio mi ha detto con i pensieri posso riferirlo alla giustizia di questa terra. Prometto che nel mio racconto ci saranno nomi cognomi e il resto del male.
Alle elementari mi hanno insegnato a mantenere i segreti. A tenere fede alle promesse. A giurare.

Avevo giurato a Nunzio di riferire soltanto alla Giustizia. La sua verità raccolta negli anni più cupi e condizionati dalle prove di altri ancora. Gli altri. Il prossimo che gli ha fatto bene e il male. A quello che è stato il mio unico figlio. Il maschio della nostra famiglia sconsacrata dagli abbandoni definitivi. Lui era il figlio che rispondeva alle colpe. Lui è stato il capro espiatorio. Ha patito più di sua sorella. E più di suo padre. Nunzio. Fino a doversi liberare dal suo ingombrante nome da civile. Spazzando via gli errori e le giustezze dei luoghi grandi e di quelli piccoli. Terza richiesta, ricordare. Per farlo devo raccontare a voce alta. Negli anni più bui.

Ora tutti mi state guardando e puntante il dito indice. Ma tentate voi l’impresa di leggere un figlio attraverso i codici di un computer. Il linguaggio del macchinario è facile da decifrare.
Certo. Escono parole in italiano direte e dico. Dallo strumento sboccano parolacce in lingua italiana. Che sono i suoi pensieri segreti. I gioielli custoditi a malavoglia. Certo, lo sappiamo. Però il computer non crea aria come i polmoni. Il computer non emette sangue come tutti i corpi umani. Le sue vene sono vacanti e pulitissime. Non ammette santi e miracoli.
Il computer, il calcolatore – diceva Nunzio quando era un ragazzino misterioso e bassissimo – , è una bella invenzione che sa leggere le menti. E comunque non è una mente. E non sa soffiare.
Mantiene in vita fino a quando i dottori e la ragione lo impongono. Nulla di altro capisce. Eppure la macchina soffre al pari degli umani. Il computer è più perfetto dell’umano, ma è quella perfezione limitata.
E’ necessario cacci tutto fuori.
Ora che tutti state puntando il dito fatevi coraggio… e ragionate meglio del calcolatore. Spazzolate il pavimento del presente di questa stanza triste invivibile immobile. Reggetemi il viso e cominciate a sentirvi quello che ho da raccontarvi della mia famiglia. Tutte le generazioni ci saranno. Le ultime. Quelle martoriate dalla sfortuna. La mia.
La mia famiglia preziosa sto per farvi scoprire. Saranno i primi nomi che vi confesso. Confiderò questi primi nomi alle vostre orecchie pulite e sante.

Nota di effeffe
A proposito del libro vorrei segnalare tre cose. La prima sulla validità del progetto immaginato da Carlo Cannella per Senzapatria. La seconda, la bella cover di Mario Bianco. La terza l’intervista che il mio amico contrabbandiere Marino Magliani ha pubblicato su “La poesia e lo spirito”. effeffe

L’Apocalisse di Francesco Dal Bosco

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Questo è uno dei 22 episodi del film Apocalisse di Francesco Dal Bosco. Le riprese sono state effettuate

messaggio alle genti per il 2012

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Ho cercato di impostare la mia vita lasciando che fosse la letteratura a dimostrare di essere all’altezza della mia giornata. Ho sempre trovato vuota l’idea di una “vita da artista”, costruita attorno al testo, attenta, tale da permettere all’arte il suo progresso, la sua maturazione. Per conto mio, il punto è sempre stato che se quello che scrivo non regge la vita che faccio (con i suoi tempi disfatti dall’impiego, i suoi orizzonti limitati dal salario, la sua giornata intessuta dalle merci, dai media, dalla falsa coscienza, la sua materia, infine, corrotta e ottusa) allora è la scrittura ad essere impropria, a non aver dato luogo ad una propria, adatta fattispecie.

Gentilissimo Sindaco Giuliano Pisapia

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di Gianni Biondillo

Gentilissimo Sindaco Giuliano Pisapia,
Le città cambiano. Mutano, si trasformano, sostituiscono parti obsolete, scrivono sul proprio corpo i segni delle epoche, incidono sulla pelle, sul tessuto urbano, i grafemi, le locuzioni, i concetti complessi della contemporaneità, i segni, i sogni di un’epoca, che diventa storia, memoria, monito. Se così non fosse ci voteremmo alla decadenza, alla morte per inanità. Le città vivono nel loro continuo mutare e nella capacità di assorbire il passato, rivitalizzandolo. Così, nella dialettica fra Storia e Contemporaneità, si definisce l’identità di un luogo e il suo destino.
Quindi, signor Sindaco, non sono mai stato e non sarò mai, un propugnatore della museificazione delle città. Il “nuovo” – antica tradizione della nostra città – mi affascina ed entusiasma. Dunque questa mia lettera sconsolata, scritta di getto nel cuore della notte, come se fosse una angosciosa impellenza alla quale non posso sottrarmi, non è la lettera di un passatista nostalgico.
Sento l’esigenza di parlarne a qualcuno. A lei, Signor Sindaco.

Pop is dead (but London isn’t)

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di Helena Janeczek

Il pop è morto e l’ho scoperto a Londra. C’ero stata quando le creste punk svettavano in metropolitana e John Lennon stava bene (benché dall’altra parte dell’oceano), mentre adesso i Beatles si contendono la scena con cloni di Elvis, Michael Jackson, Queen e Abba, nei musical più pubblicizzati lungo le scale mobili. Nella “Camera degli Orrori” di Madame Tussauds, Charles Manson si era aggiunto a Jack the Ripper e mi aveva spaventata, ma l’allestimento sapeva di tappezzeria gotico-vittoriana e un cordone separava le persone dai simulacri.

Nuovi autismi 12 – Requiem per la lettura

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di Giacomo Sartori

La lettura è un’occupazione oltremodo faticosa, oltre che di comprovata inutilità sociale. Insomma, molto più faticosa di guardare per esempio nel vuoto, o di dormire, o di essere morti. Invece di oziare gli occhi devono mangiarsi interminabili file di parole e sputarle nel cervello. Deglutire parole e sputarle nel cervello, inghiottire frasi e spararle nel cervello, masticare paragrafi e vomitarli nella scatola cranica: è estenuante. Lo stesso cervello ha difficoltà a starci dietro e a non congestionarsi. Ma quel che è peggio sono i danni agli occhi e alla salute in generale. Io fin quasi a diciassette anni ero semianalfabeta, e ero perfettamente in forma. Poi a diciassette anni mi sono messo a leggere e a studiare, e subito sono diventato miope, sempre più miope: più mi alfabetizzavo e peggio ci vedevo. Adesso sono quasi cieco. E sono apparse anche tante altre infermità che sarebbe lungo elencare. Pure l’umore s’è degradato: mi s’è appiccicata addosso una semidepressione dalla quale a stare a quelli che mi frequentano non mi sono mai ben ripreso. Molti ci sono rimasti, e tuttora ci rimangono, a forza di leggere. Non per niente alcuni testi sono assurti nel guinness dei primati proprio per la cifra impressionante di suicidi che hanno provocato. C’è da rimpiangere i bei tempi andati: per due milioni di anni gli uomini non hanno letto nemmeno una riga: non sapevano leggere, e anche se avessero imparato non avrebbero avuto modo di esercitarsi: niente indicazioni stradali, niente pervasive pubblicità, niente libri e libretti, niente enigmatiche istruzioni in diciannove lingue del videoregistratore. Gli esseri umani guardavano nel vuoto, o cacciavano, o dormivano, o chiacchieravano, o morivano, e stavano benone così. È molto dopo che a qualcuno è saltato il ticchio di notare sull’argilla quante capre aveva, e in men che non si dica è diventata una moda: chi non andava in giro con una tavolettina di argilla era considerato un mezzo imbecille. I mercanti di tavolette di mota hanno fatto i soldoni, i vasai che le miglioravano tecnicamente erano considerati struggenti eroi. Quasi subito sono arrivate anche le argomentazioni, perché era importante per esempio non mischiare le capre con le pecore, o con gli dei, o anche solo con i cavoli, e non fare confusione tra le pecore del tizio e del caio, o insomma mettere i puntini sugli i su questo o quel problema. Poi un tipo un po’ fuori di testa invece di contabilizzare gli ovini sulla sua tavoletta ha inciso alcune frasi balorde (sempre sulle pecore), e così è nata anche la poesia. Dalle prime odi ovine ai poemi omerici e alle fanfaluche bibliche, una volta sciolto il freno alla fantasia, il passo è stato breve. Le civilizzazioni successive hanno insomma utilizzato le tavolette di argilla e i papiri e le pergamene per contabilizzare pecore e bighe e automobili, o i loro equivalenti valutari e finanziari, o appunto per propalare cantici e liriche e sonetti. O anche romanzi, che sono poesie più prosaiche e meno stucchevoli, con pecore e eroine più somiglianti a quelle in carne e ossa. Come anche per teorizzare, filosofare, divagare, delirare, indottrinare, conoscere, fantasticare, sfidare, relazionare esperimenti scientifici, dichiarare guerre e stipulare paci, confessarsi. Per qualche millennio le cose sono state sotto però controllo, e anzi in certi periodi più fiacchi si dilettavano quasi solo i preti e i frati. La stessa invenzione della stampa ha fatto molti meno danni, di per sé, di quanto si dia comunemente per scontato. È solo negli ultimi due secoli che il fenomeno ha preso dimensioni preoccupanti, fino a diventare una vera e propria addizione universale: tutti volevano imparare a leggere, tutti volevano leggere. Gli stessi governanti pensavano che i governati dovessero cimentarsi a tutti i costi nell’esercizio insano della lettura (in qualche caso l’hanno pagata cara). Di qui la banalizzazione degli istituti concentrazionari chiamati scuole, con la conseguente diffusione di parassiti e infermità di ogni tipo. E l’apparizione a ogni angolo di strada di chioschi che smerciavano fogli di carta rigurgitanti di frasi, e di empori stipati di quelle orde irreggimentate di parole chiamati libri. E di qui la foga prometeica degli scriventi, assetati di gloria, di immortalità, di proventi, o anche solo – quando prevaleva l’ingenuità – di verità e bellezza. Inutile dilungarsi sugli episodi depressivi di vario genere e gravità ascrivibili a tale collettivo invasamento. Molti individui della mia generazione e di quelle che l’hanno preceduta ne sanno qualcosa, sono stati i più masochisti e beoti: i più irrimediabilmente marcati. Tramite la lettura volevano a tutti i costi imparare, emanciparsi, peregrinare nel tempo e nello spazio, gongolare, sperimentare, struggersi, conoscere, cambiare il mondo, elevarsi, degradarsi, migliorarsi, sfidare la morte, amare, odiare, spiegare l’inspiegabile. Cercavano la verità e la bellezza nelle parole allineate le une dopo le altre, come i cinghiali grufolano lungo i sentieri per raccogliere le ghiande, come gli eroinomani si piantano gli aghi nelle vene. Inghiottivano giornali e riviste, opuscoli, manifesti politici e letterari, dizionari, volantini, enciclopedie, bigliettini nei cioccolatini, poesie d’amore e civili, romanzi epici, sociologici, sentimentali, epistolari, inamidati o sperimentali, magretti o imponenti, apocalittici o spiritosini, romanzi di ogni sorta, tonnellate di romanzi. Si sdilinquivano, si inorgoglivano, lacrimavano, andavano in estasi, si crogiolavano nell’illusione di edificarsi, di capirci finalmente qualcosa. Erano dei pericolosi drogati. La storia ha provato in modo inconfutabile che in quello stesso lasso di tempo l’umanità invece di perfezionarsi si è fatta più cinica e più scaltra, sfoderando inedite nefandezze. Per fortuna adesso i giovani si sono resi conto che era una follia. Stanno ben attenti a tenersi lontani da qualsiasi stringa troppo lunga di parole, girano alla larghissima dai libri cartacei e dai loro surrogati elettronici. Se ne stanno incollati agli schermi dei telefoni e dei computer, dove si rimpallano frasette più corte possibili, bocconcini che non danneggino gli occhi e il cervello. Giocano con le parole con la stessa grazia  e maestria con la quale si giocava un tempo a ping pong. Si capisce subito che non vogliono rimetterci la salute mentale e fisica. Se proprio devono smazzarsi un romanzo lo scelgono in modo che non provochi troppi sommovimenti nella materia cerebrale, come una barca che decida di uscire col mare piatto, o anche in un burrascoso oceano confezionato con il polietilene e gli effetti di luce. Del resto non è lontana un’interfaccia che legga al posto nostro, risparmiandoci fatica e crucci. I poeti e i romanzieri si riciclano allora nell’arte di riscaldare pappette arcinote e di raccontare bugie, e per certi versi non li si può biasimare. Hanno anche loro poco tempo, come tutti. Viviamo un soprassalto agonico, gli ultissimi rantoli che precedono il silenzio stampa. In men che non si dica quelli come me spariranno, un po’ alla volta gli abitanti della terra guarderanno nel vuoto, dormiranno, moriranno ancora di morte naturale o violenta, senza farsi martirizzare dalle parole e senza martirizzarle, proprio come nei primi due milioni di anni. Tutto scorre, tutto finisce.

[l’immagine: Henri Michaux]

I Novissimi, tra esotismo e trauma

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di Andrea Inglese

Potrei narrare la scoperta dell’antologia dei Novissimi, come Proust narrava i primi passi del protagonista della Recherche nel salotto della duchessa di Guermantes. Il poeta novizio che compie le sue prime letture dei novissimi. Sono incontri circonfusi di fantasie e miraggi, di meraviglie e malintesi. Gli autori sono immaginati come eroi che tutto sanno e hanno visto, comprimendo nello stemma del nome proprio intensità di vissuti e vastità di conoscenze.

Hesse o non Hesse – Sergio Atzeni

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In questi giorni di trasferta cagliaritana per un servizio su Sergio Atzeni che sto realizzando per la rivista diretta da Riccardo De Gennaro, Reportage, ho potuto scoprire, grazie a Michela Calledda una pubblicazione che non conoscevo. La reputo un’opera fondamentale per seguire il percorso di uno dei migliori narratori italiani, ma forse dovrei dire intellettuali, scomparso un’Italia fa. Così ho chiesto a Giuseppe Podda e Giancarlo Porcu delle Edizioni Il Maestrale di pubblicare per Nazione Indiana uno degli articoli raccolti. Perché Herman Hesse? E perché Sergio Atzeni? effeffe


393. Hesse: perché parla alle nuove generazioni (pubblicato su “Il Giorno”,11 Febbraio 1990)
[Herman Hesse, Knulp, Marsilio; Il bicchiere scrivente, Marcos y Marcos; Francesco d’Assisi, Guanda]
di
Sergio Atzeni

Cos’è stato quell’agitarsi protestando della gioventù d’Occidente, nella seconda metà degli anni Sessanta e nella prima dei Settanta, ormai volgarmente e imprecisamente definito Sessantotto? In Italia si è affermata una interpretazione: scopo del movimento sarebbe stata la palingenesi sociale, la fuoriuscita del capitalismo, l’ingresso del comunismo… Interpretazione sinistra più che di sinistra, da molti contestata, ma ancor oggi detta e difesa. In parte falsa, se riferita soltanto al caso italiano, ancora più falsa se lo sguardo s’allunga fino in Francia e Germania, bugiarda e fuorviante se applicata alla realtà di un movimento diffuso in tutto l’Occidente, magmatico e contraddittorio.

I ragazzi di Luigi Romolo Carrino

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TITOLO Certi Ragazzi
AUTORE Luigi Romolo Carrino
GENERE Poesia
PUBBLICATA IL 23/09/2011
EDITORE Liberodiscrivere® edizioni

da “certi ragazzi” di Luigi Romolo Carrino
poesie scritte male dette a voce alta

Fragile

Non c’è lingua che non parli la tua mia.
I mai d’ossa viene la vita a farci
– fragile per disfarci l’aleph –
farci suono di baci epilettici sulla bocca.

The Wonderful Widow of Eighteen Springs [James Joyce&John Cage]

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Max Ernst [1891 – 1976]

La puberté proche n’a pas encore enlevé la grâce à nos Pléiades/
Le regard de nos yeux pleins d’ombre est dirigé sur le pavé qui va tomber/
La gravitation des ondulation n’existe pas encore
[1921]

 

[ collage: frammenti di fotografie ritoccate, acquerello
e olio su carta, montato su cartone, 24.5 x 16.6 cm. ]

 

     James Joyce&John Cage  

 

The Wonderful Widow of Eighteen Springs
La Meravigliosa Vedova di Diciotto Primavere
per Voce e Pianoforte Chiuso Delicatamente Tamburellato [1942]


 da FINNEGANS WAKE [ 556.1 – 556.22 ] 

Spartito originale autografo: 123456

night by silentsailing night…
Isobel. . .
wildwoods’ eyes and primarose hair,
quietly,
all the woods so wild, in mauves of
moss and daphnedews,
how all so still she lay neath of the
whitethorn, child of tree,
like some losthappy leaf,
like blowing flower stilled,
as fain would she anon,
for soon again ‘twil be,
win me, woo me, wed me,
ah weary me!
deeply,
Now evencalm lay sleeping; night
Isobel
Sister Isobel
Saintette Isobel
madame Isa
Veuve La belle

notte dopo notte navigando nel silenzio…
Isobel…
occhi di boschi selvaggi e capelli di primula,
nella quiete,
tutti i boschi così selvaggi, in malva di muschio e rugiada di lauri
come giace ancora così vicina al biancospino, bambina d’albero,
come certe foglie dalla felicità perduta,
come i fiori soffiati via ammutolita,
così volentieri direbbe a presto,
per subito ancora ritornare,
vincimi, corteggiami, sposami
ah sfiancami!
profondamente,
ora semprecalma giaci dormendo; notte
Isobel
Sorella Isobel
Senzatette Isobel
madame Isa
Veuve la Belle

 
 

 
 


 

Sofonisba Anguissola (1534 – 1625)
L’Infanta Isabella Clara Eugenia e la sorellina Catalina Micaela, 1570

FW 556.1 – 556.22
night by silentsailing night while infantina Isobel (who will be blushing all day to be, when she growed up one Sunday, Saint Holy and Saint Ivory, when she took the veil, the beautiful presentation nun, so barely twenty, in her pure coif, sister Isobel, and next Sunday, Mistlemas, when she looked a peach, the beautiful Samaritan, still as beautiful and still in her teens, nurse Saintette Isabelle, with stiffstarched cuffs but on Holiday, Christmas, Easter mornings when she wore a wreath, the wonderful widow of eighteen springs, Madame Isa Veuve la Belle, so sad but lucksome in her boyblue’s long black with orange blossoming weeper’s veil) for she was the only girl they loved, as she is the queenly pearl you prize, because of the way the night that first we met she is bound to be, methinks, and not in vain, the darling of my heart, sleeping in her april cot, within her singachamber, with her greengageflavoured candywhistle duetted to the crazyquilt, Isobel, she is so pretty, truth to tell, wildwood’s eyes and primarose hair, quietly, all the woods so wild, in mauves of moss and daphnedews, how all so still she lay, neath of the whitethorn, child of tree, like some losthappy leaf, like blowingflower stilled, as fain would she anon, for soon again ‘twill be, win me, woo me, wed me, ah weary me! deeply, now, evencalm lay sleeping;
FW 556.1 – 556.22
notte dopo notte navigando nel silenzio mentre la piccola Infanta Isobel (che arrossirà tutti i giorni che verranno, quando divenne grande una domenica, San Santo e Sant’Avorio, quando prese il velo, la bellissima presentazione della suora, così a malapena ventenne, nella sua pura cuffia, sorella Isobel, e la domenica dopo, Natalvischio, quando sembrava una pesca, la bella Samaritana, ancora così bella e ancora nei suoi vent’anni, la nutrice Senzatette Isobel, con i polsini inamidati rigidi ma in una mattina di Vacanza, di Natale, di Pasqua quando indossava una ghirlanda, la meravigliosa vedova di diciotto primavere, Madame Isa Veuve La Belle, cosi triste ma fortunata nel suo lungo velo ragazzoblu da prefica che fiorisce d’arancio) perché era l’unica fanciulla che amarono, perché è la regale perla di grande valore, perché nel corso della notte che la prima volta ci incontrammo ella si limitò ad essere, forse, e non in vano, la dolcezza del mio cuore, dormendo nella sua culla d’aprile, nella sua cameretta, duettando con il suo dolcetto a fischietto dal gusto prugna verde insieme alla trapunta patchwork, Isobel, è così graziosa a dire il vero, occhi di foreste selvagge e capelli color di primula, nella quiete, tutti i boschi così selvaggi, color malva di muschio e rugiada d’alloro, come tutta così ancora giace vicino al biancospino, bambina d’albero, come certe foglie dalla felicità perduta, come fiori soffiati via ammutolita, come volentieri direbbe a presto, per presto ancora ritornare, vincimi, corteggiami, sposami, ah sfiancami! profondamente, ora, semprecalma giace dormendo;

[ traduzioni&traslazioni di Orsola Puecher ]

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Syntax, like government, can only be obeyed. It is therefore of no use except when you have something particular to command such as: Go buy me a bunch of carrots.
 
J. Cage M: Writings ’67–’72 pag. 215

Campi Sterminati

1
Immagine di Federico Patellani,

Manifestazione a Cagliari
di
Manlio Massole

Fiorirono i mandorli
quando chiudemmo il pugno
contro il ministro Piccoli.
“ Le mi – nie – re
non si chiu-dono!
Le mi- nie –re
non si chiu –dono! ”

Enjoy Poverty

0

di Renzo Martens

Speriamo bene

3

Pensando al 2012 italiano m’è tornata in mente questa bella vignetta del buon vecchio Paz.
Che dire ancora? Teniamo duro.
G.B.

Post (Card) effeffe

1

Una poesia di Johannes Bobrowski

6

traduzione di Davide Racca

STAI. PARLA. LA VOCE

Stai. Parla. Non la voce
che cantando,
no. L’altra, che abbatte
l’erba. L’insetto
serra le sue ali
in pieno volo,