Home Blog Pagina 314

Nuovi autismi 12 – Requiem per la lettura

22

di Giacomo Sartori

La lettura è un’occupazione oltremodo faticosa, oltre che di comprovata inutilità sociale. Insomma, molto più faticosa di guardare per esempio nel vuoto, o di dormire, o di essere morti. Invece di oziare gli occhi devono mangiarsi interminabili file di parole e sputarle nel cervello. Deglutire parole e sputarle nel cervello, inghiottire frasi e spararle nel cervello, masticare paragrafi e vomitarli nella scatola cranica: è estenuante. Lo stesso cervello ha difficoltà a starci dietro e a non congestionarsi. Ma quel che è peggio sono i danni agli occhi e alla salute in generale. Io fin quasi a diciassette anni ero semianalfabeta, e ero perfettamente in forma. Poi a diciassette anni mi sono messo a leggere e a studiare, e subito sono diventato miope, sempre più miope: più mi alfabetizzavo e peggio ci vedevo. Adesso sono quasi cieco. E sono apparse anche tante altre infermità che sarebbe lungo elencare. Pure l’umore s’è degradato: mi s’è appiccicata addosso una semidepressione dalla quale a stare a quelli che mi frequentano non mi sono mai ben ripreso. Molti ci sono rimasti, e tuttora ci rimangono, a forza di leggere. Non per niente alcuni testi sono assurti nel guinness dei primati proprio per la cifra impressionante di suicidi che hanno provocato. C’è da rimpiangere i bei tempi andati: per due milioni di anni gli uomini non hanno letto nemmeno una riga: non sapevano leggere, e anche se avessero imparato non avrebbero avuto modo di esercitarsi: niente indicazioni stradali, niente pervasive pubblicità, niente libri e libretti, niente enigmatiche istruzioni in diciannove lingue del videoregistratore. Gli esseri umani guardavano nel vuoto, o cacciavano, o dormivano, o chiacchieravano, o morivano, e stavano benone così. È molto dopo che a qualcuno è saltato il ticchio di notare sull’argilla quante capre aveva, e in men che non si dica è diventata una moda: chi non andava in giro con una tavolettina di argilla era considerato un mezzo imbecille. I mercanti di tavolette di mota hanno fatto i soldoni, i vasai che le miglioravano tecnicamente erano considerati struggenti eroi. Quasi subito sono arrivate anche le argomentazioni, perché era importante per esempio non mischiare le capre con le pecore, o con gli dei, o anche solo con i cavoli, e non fare confusione tra le pecore del tizio e del caio, o insomma mettere i puntini sugli i su questo o quel problema. Poi un tipo un po’ fuori di testa invece di contabilizzare gli ovini sulla sua tavoletta ha inciso alcune frasi balorde (sempre sulle pecore), e così è nata anche la poesia. Dalle prime odi ovine ai poemi omerici e alle fanfaluche bibliche, una volta sciolto il freno alla fantasia, il passo è stato breve. Le civilizzazioni successive hanno insomma utilizzato le tavolette di argilla e i papiri e le pergamene per contabilizzare pecore e bighe e automobili, o i loro equivalenti valutari e finanziari, o appunto per propalare cantici e liriche e sonetti. O anche romanzi, che sono poesie più prosaiche e meno stucchevoli, con pecore e eroine più somiglianti a quelle in carne e ossa. Come anche per teorizzare, filosofare, divagare, delirare, indottrinare, conoscere, fantasticare, sfidare, relazionare esperimenti scientifici, dichiarare guerre e stipulare paci, confessarsi. Per qualche millennio le cose sono state sotto però controllo, e anzi in certi periodi più fiacchi si dilettavano quasi solo i preti e i frati. La stessa invenzione della stampa ha fatto molti meno danni, di per sé, di quanto si dia comunemente per scontato. È solo negli ultimi due secoli che il fenomeno ha preso dimensioni preoccupanti, fino a diventare una vera e propria addizione universale: tutti volevano imparare a leggere, tutti volevano leggere. Gli stessi governanti pensavano che i governati dovessero cimentarsi a tutti i costi nell’esercizio insano della lettura (in qualche caso l’hanno pagata cara). Di qui la banalizzazione degli istituti concentrazionari chiamati scuole, con la conseguente diffusione di parassiti e infermità di ogni tipo. E l’apparizione a ogni angolo di strada di chioschi che smerciavano fogli di carta rigurgitanti di frasi, e di empori stipati di quelle orde irreggimentate di parole chiamati libri. E di qui la foga prometeica degli scriventi, assetati di gloria, di immortalità, di proventi, o anche solo – quando prevaleva l’ingenuità – di verità e bellezza. Inutile dilungarsi sugli episodi depressivi di vario genere e gravità ascrivibili a tale collettivo invasamento. Molti individui della mia generazione e di quelle che l’hanno preceduta ne sanno qualcosa, sono stati i più masochisti e beoti: i più irrimediabilmente marcati. Tramite la lettura volevano a tutti i costi imparare, emanciparsi, peregrinare nel tempo e nello spazio, gongolare, sperimentare, struggersi, conoscere, cambiare il mondo, elevarsi, degradarsi, migliorarsi, sfidare la morte, amare, odiare, spiegare l’inspiegabile. Cercavano la verità e la bellezza nelle parole allineate le une dopo le altre, come i cinghiali grufolano lungo i sentieri per raccogliere le ghiande, come gli eroinomani si piantano gli aghi nelle vene. Inghiottivano giornali e riviste, opuscoli, manifesti politici e letterari, dizionari, volantini, enciclopedie, bigliettini nei cioccolatini, poesie d’amore e civili, romanzi epici, sociologici, sentimentali, epistolari, inamidati o sperimentali, magretti o imponenti, apocalittici o spiritosini, romanzi di ogni sorta, tonnellate di romanzi. Si sdilinquivano, si inorgoglivano, lacrimavano, andavano in estasi, si crogiolavano nell’illusione di edificarsi, di capirci finalmente qualcosa. Erano dei pericolosi drogati. La storia ha provato in modo inconfutabile che in quello stesso lasso di tempo l’umanità invece di perfezionarsi si è fatta più cinica e più scaltra, sfoderando inedite nefandezze. Per fortuna adesso i giovani si sono resi conto che era una follia. Stanno ben attenti a tenersi lontani da qualsiasi stringa troppo lunga di parole, girano alla larghissima dai libri cartacei e dai loro surrogati elettronici. Se ne stanno incollati agli schermi dei telefoni e dei computer, dove si rimpallano frasette più corte possibili, bocconcini che non danneggino gli occhi e il cervello. Giocano con le parole con la stessa grazia  e maestria con la quale si giocava un tempo a ping pong. Si capisce subito che non vogliono rimetterci la salute mentale e fisica. Se proprio devono smazzarsi un romanzo lo scelgono in modo che non provochi troppi sommovimenti nella materia cerebrale, come una barca che decida di uscire col mare piatto, o anche in un burrascoso oceano confezionato con il polietilene e gli effetti di luce. Del resto non è lontana un’interfaccia che legga al posto nostro, risparmiandoci fatica e crucci. I poeti e i romanzieri si riciclano allora nell’arte di riscaldare pappette arcinote e di raccontare bugie, e per certi versi non li si può biasimare. Hanno anche loro poco tempo, come tutti. Viviamo un soprassalto agonico, gli ultissimi rantoli che precedono il silenzio stampa. In men che non si dica quelli come me spariranno, un po’ alla volta gli abitanti della terra guarderanno nel vuoto, dormiranno, moriranno ancora di morte naturale o violenta, senza farsi martirizzare dalle parole e senza martirizzarle, proprio come nei primi due milioni di anni. Tutto scorre, tutto finisce.

[l’immagine: Henri Michaux]

I Novissimi, tra esotismo e trauma

4

di Andrea Inglese

Potrei narrare la scoperta dell’antologia dei Novissimi, come Proust narrava i primi passi del protagonista della Recherche nel salotto della duchessa di Guermantes. Il poeta novizio che compie le sue prime letture dei novissimi. Sono incontri circonfusi di fantasie e miraggi, di meraviglie e malintesi. Gli autori sono immaginati come eroi che tutto sanno e hanno visto, comprimendo nello stemma del nome proprio intensità di vissuti e vastità di conoscenze.

Hesse o non Hesse – Sergio Atzeni

10

In questi giorni di trasferta cagliaritana per un servizio su Sergio Atzeni che sto realizzando per la rivista diretta da Riccardo De Gennaro, Reportage, ho potuto scoprire, grazie a Michela Calledda una pubblicazione che non conoscevo. La reputo un’opera fondamentale per seguire il percorso di uno dei migliori narratori italiani, ma forse dovrei dire intellettuali, scomparso un’Italia fa. Così ho chiesto a Giuseppe Podda e Giancarlo Porcu delle Edizioni Il Maestrale di pubblicare per Nazione Indiana uno degli articoli raccolti. Perché Herman Hesse? E perché Sergio Atzeni? effeffe


393. Hesse: perché parla alle nuove generazioni (pubblicato su “Il Giorno”,11 Febbraio 1990)
[Herman Hesse, Knulp, Marsilio; Il bicchiere scrivente, Marcos y Marcos; Francesco d’Assisi, Guanda]
di
Sergio Atzeni

Cos’è stato quell’agitarsi protestando della gioventù d’Occidente, nella seconda metà degli anni Sessanta e nella prima dei Settanta, ormai volgarmente e imprecisamente definito Sessantotto? In Italia si è affermata una interpretazione: scopo del movimento sarebbe stata la palingenesi sociale, la fuoriuscita del capitalismo, l’ingresso del comunismo… Interpretazione sinistra più che di sinistra, da molti contestata, ma ancor oggi detta e difesa. In parte falsa, se riferita soltanto al caso italiano, ancora più falsa se lo sguardo s’allunga fino in Francia e Germania, bugiarda e fuorviante se applicata alla realtà di un movimento diffuso in tutto l’Occidente, magmatico e contraddittorio.

I ragazzi di Luigi Romolo Carrino

2

TITOLO Certi Ragazzi
AUTORE Luigi Romolo Carrino
GENERE Poesia
PUBBLICATA IL 23/09/2011
EDITORE Liberodiscrivere® edizioni

da “certi ragazzi” di Luigi Romolo Carrino
poesie scritte male dette a voce alta

Fragile

Non c’è lingua che non parli la tua mia.
I mai d’ossa viene la vita a farci
– fragile per disfarci l’aleph –
farci suono di baci epilettici sulla bocca.

The Wonderful Widow of Eighteen Springs [James Joyce&John Cage]

2

Max Ernst [1891 – 1976]

La puberté proche n’a pas encore enlevé la grâce à nos Pléiades/
Le regard de nos yeux pleins d’ombre est dirigé sur le pavé qui va tomber/
La gravitation des ondulation n’existe pas encore
[1921]

 

[ collage: frammenti di fotografie ritoccate, acquerello
e olio su carta, montato su cartone, 24.5 x 16.6 cm. ]

 

     James Joyce&John Cage  

 

The Wonderful Widow of Eighteen Springs
La Meravigliosa Vedova di Diciotto Primavere
per Voce e Pianoforte Chiuso Delicatamente Tamburellato [1942]


 da FINNEGANS WAKE [ 556.1 – 556.22 ] 

Spartito originale autografo: 123456

night by silentsailing night…
Isobel. . .
wildwoods’ eyes and primarose hair,
quietly,
all the woods so wild, in mauves of
moss and daphnedews,
how all so still she lay neath of the
whitethorn, child of tree,
like some losthappy leaf,
like blowing flower stilled,
as fain would she anon,
for soon again ‘twil be,
win me, woo me, wed me,
ah weary me!
deeply,
Now evencalm lay sleeping; night
Isobel
Sister Isobel
Saintette Isobel
madame Isa
Veuve La belle

notte dopo notte navigando nel silenzio…
Isobel…
occhi di boschi selvaggi e capelli di primula,
nella quiete,
tutti i boschi così selvaggi, in malva di muschio e rugiada di lauri
come giace ancora così vicina al biancospino, bambina d’albero,
come certe foglie dalla felicità perduta,
come i fiori soffiati via ammutolita,
così volentieri direbbe a presto,
per subito ancora ritornare,
vincimi, corteggiami, sposami
ah sfiancami!
profondamente,
ora semprecalma giaci dormendo; notte
Isobel
Sorella Isobel
Senzatette Isobel
madame Isa
Veuve la Belle

 
 

 
 


 

Sofonisba Anguissola (1534 – 1625)
L’Infanta Isabella Clara Eugenia e la sorellina Catalina Micaela, 1570

FW 556.1 – 556.22
night by silentsailing night while infantina Isobel (who will be blushing all day to be, when she growed up one Sunday, Saint Holy and Saint Ivory, when she took the veil, the beautiful presentation nun, so barely twenty, in her pure coif, sister Isobel, and next Sunday, Mistlemas, when she looked a peach, the beautiful Samaritan, still as beautiful and still in her teens, nurse Saintette Isabelle, with stiffstarched cuffs but on Holiday, Christmas, Easter mornings when she wore a wreath, the wonderful widow of eighteen springs, Madame Isa Veuve la Belle, so sad but lucksome in her boyblue’s long black with orange blossoming weeper’s veil) for she was the only girl they loved, as she is the queenly pearl you prize, because of the way the night that first we met she is bound to be, methinks, and not in vain, the darling of my heart, sleeping in her april cot, within her singachamber, with her greengageflavoured candywhistle duetted to the crazyquilt, Isobel, she is so pretty, truth to tell, wildwood’s eyes and primarose hair, quietly, all the woods so wild, in mauves of moss and daphnedews, how all so still she lay, neath of the whitethorn, child of tree, like some losthappy leaf, like blowingflower stilled, as fain would she anon, for soon again ‘twill be, win me, woo me, wed me, ah weary me! deeply, now, evencalm lay sleeping;
FW 556.1 – 556.22
notte dopo notte navigando nel silenzio mentre la piccola Infanta Isobel (che arrossirà tutti i giorni che verranno, quando divenne grande una domenica, San Santo e Sant’Avorio, quando prese il velo, la bellissima presentazione della suora, così a malapena ventenne, nella sua pura cuffia, sorella Isobel, e la domenica dopo, Natalvischio, quando sembrava una pesca, la bella Samaritana, ancora così bella e ancora nei suoi vent’anni, la nutrice Senzatette Isobel, con i polsini inamidati rigidi ma in una mattina di Vacanza, di Natale, di Pasqua quando indossava una ghirlanda, la meravigliosa vedova di diciotto primavere, Madame Isa Veuve La Belle, cosi triste ma fortunata nel suo lungo velo ragazzoblu da prefica che fiorisce d’arancio) perché era l’unica fanciulla che amarono, perché è la regale perla di grande valore, perché nel corso della notte che la prima volta ci incontrammo ella si limitò ad essere, forse, e non in vano, la dolcezza del mio cuore, dormendo nella sua culla d’aprile, nella sua cameretta, duettando con il suo dolcetto a fischietto dal gusto prugna verde insieme alla trapunta patchwork, Isobel, è così graziosa a dire il vero, occhi di foreste selvagge e capelli color di primula, nella quiete, tutti i boschi così selvaggi, color malva di muschio e rugiada d’alloro, come tutta così ancora giace vicino al biancospino, bambina d’albero, come certe foglie dalla felicità perduta, come fiori soffiati via ammutolita, come volentieri direbbe a presto, per presto ancora ritornare, vincimi, corteggiami, sposami, ah sfiancami! profondamente, ora, semprecalma giace dormendo;

[ traduzioni&traslazioni di Orsola Puecher ]

,\\’

Syntax, like government, can only be obeyed. It is therefore of no use except when you have something particular to command such as: Go buy me a bunch of carrots.
 
J. Cage M: Writings ’67–’72 pag. 215

Campi Sterminati

1
Immagine di Federico Patellani,

Manifestazione a Cagliari
di
Manlio Massole

Fiorirono i mandorli
quando chiudemmo il pugno
contro il ministro Piccoli.
“ Le mi – nie – re
non si chiu-dono!
Le mi- nie –re
non si chiu –dono! ”

Enjoy Poverty

0

di Renzo Martens

Speriamo bene

3

Pensando al 2012 italiano m’è tornata in mente questa bella vignetta del buon vecchio Paz.
Che dire ancora? Teniamo duro.
G.B.

Post (Card) effeffe

1

Una poesia di Johannes Bobrowski

6

traduzione di Davide Racca

STAI. PARLA. LA VOCE

Stai. Parla. Non la voce
che cantando,
no. L’altra, che abbatte
l’erba. L’insetto
serra le sue ali
in pieno volo,

Canto sun torrados sos pastores

0

a cura di Antonio Calledda

Pratobello
di
Peppino Marotto
Canto a binti de maju sun torrados
Sos pastores in su sesantanoe
Tristos, né untos e nen tepenados.

Su vinti’e santandria proe proe
Fini partidos cun sa roba anzande
Da sa montagna, passende in Locoe;

I folletti, il Natale e la poesia

6

di Francesca Matteoni

Sulla natura dei folletti le teorie sono una matassa assai intricata e variopinta: di certo c’è solo che ovunque si potranno incontrare, che presso ogni popolo è attestata l’esistenza di simili esseri, nascosti nelle brughiere e sotto i biancospini, nelle grotte sotterranee e perfino nella giungla, in spazi abbandonati o nei meno esplorati della casa come la soffitta, la cantina, vecchie cassepanche e armadi in disuso. Sono proprio gli abitanti di questi ultimi luoghi, i cosiddetti folletti domestici, la categoria forse più famosa e indubbiamente quella che si muove a più stretto contatto con gli umani.

DUE PIEGHE E UN RITORNO

45

di Davide Nota

«Il Barocco non connota un’essenza, ma una funzione operativa, un tratto. Il Barocco produce di continuo pieghe. […] Il suo tratto distintivo è dato dalla piega che si prolunga all’infinito.» (Gilles Deleuze, La piega).

L’alternarsi di un metro classico composto di settenari, endecasillabi ed alessandrini può consentirci lo svolgimento potenzialmente infinito della piega.
La riconquista metrica, o di ciascuna variante di linearità ritmica, è la funzione espressiva di uno sguardo obliquo, che attraversa con naturalezza le dimensioni e i piani sovrapposti di un’esperienza storica e personale di passaggio (la fine della fisica moderna, la crisi dell’economia capitalistica, lo smottamento produttivo verso oriente, le premesse ad una New economy o a una guerra mondiale) che da traumatica e rimossa, rigettata come corpo estraneo, deve tornarci limpida e sentimentale.

Il tratto classico è lo sguardo dell’esperienza umana, in cui i generi letterari e gli ambiti della conoscenza (le filosofie decostruzioniste, il neo-positivismo, la fisica quantistica, la semiotica della comunicazione, le scienze politiche, la storia, le esperienze umane e del vero personale, il sogno e l’archetipo, il senso religioso o del sacro) non sono più percepiti come aree separate e non comunicanti ma come regioni di una stessa avventura.

Conoscere e ri-conoscere: volti e culture

5

di Antonio Sparzani

La relatività è un grande fiume che scorre in molti territori e bagna molte contrade. Una di queste mi è venuta incontro in questi giorni mentre leggevo, ignaro e senza sospetti, un breve saggio del grande viennese Ernst H. Gombrich, intitolato La maschera e la faccia: la percezione della fisionomia nella vita e nell’arte, pubblicato originariamente nel 1972, quando Gombrich era direttore del Warburg Institute e docente di storia dell’arte a Oxford. In questo breve saggio si parla della somiglianza delle fisionomie, e del riconoscimento dei volti delle persone che ci sono ― più o meno ― note.

TRISTI CONFRONTI

3

di Franco Buffoni

Due notizie – naturalmente ignorate da Raiset – che contemporaneamente ci giungono da Australia ed Equador ci fanno ulteriormente toccare con mano il degrado civile e l’arretratezza politica in cui giace il nostro paese.
A Sydney il ministro australiano delle Finanze Penny Wong ha annunciato la nascita di una bambina dalla compagna Sophie Allouache, dopo una gravidanza ottenuta per fecondazione in vitro. La neonata, di nome Alexandra, è nata domenica scorsa ad Adelaide e pesa oltre tre chili. La coppia ha diffuso una foto e un comunicato esprimendo la propria gioia. Penny e Sophie conoscono il padre biologico e hanno annunciato che lo faranno conoscere alla figlia, ma anche che il suo nome non sarà reso noto ai media.
Grazie alle leggi introdotte dal governo laburista, Wong è legalmente riconosciuta come genitore della bambina con tutti i diritti di un genitore biologico: ”Non vi è nulla da temere dall’uguaglianza di diritti”, ha dichiarato il Ministro.

Senza utopia

6
utopia

 utopiaAlessandro Broggi

a R.K.

Imprevedibili rimbalzi trarranno forza come processi di purificazione planetaria. Sfrenate manipolazioni delle loro attrattive si svolgeranno in assenza. Non esisteranno livelli di riferimento. Rappresentazioni astratte dell’abbondanza inghiottiranno immagini e confessioni. Come se nulla fosse convincente al di fuori di un’assoluta assenza di dettagli.

I sacrifici del capitalismo azteco

13

di Daniele Ventre

Mi capita di avere tra le mani un vecchio libro di Marvin Harris, Cannibali e re (la prima edizione italiana risale al 1979,  l’opera in sé, Cannibals and Kings  – The Origin of Culture, è del 1977). La tesi di fondo, che collega l’evoluzione culturale umana alla disponibilità e alla tipologia di risorse alimentari sul territorio, per quanto abbia lasciati aperti alcuni problemi, contiene spunti di riflessione irrinunciabili. Nel variegato “umanario” socioantropologico indagato da Harris, due tipologie di figure legate alla distribuzione di risorse spiccano: i mumi, grandi uomini, capi guerrieri e dispensatori di banchetti presso gli indigeni melanesiani, e i dominatori dei dispotici imperi precolombiani in cui era pratica comune il sacrificio umano su larga scala. Harris osserva anzitutto come, dall’originario status di grande dispensatore, il capotribù evolva trasformandosi in un monarca che dell’antico donatore di beni conserva solo il nome, perché di fatto la maggior parte delle risorse sono sotto il suo controllo, avviate nel circuito di un sistema tributario e investite per lo più nell’apparato militare che consente di mantenere in piedi l’ordine statuale per come è venuto delineandosi. Ovviamente, nella sua forma ordinaria, l’evoluzione delle società primitive, che dal mumi porta al re, ha come contraltare effettivo la possibilità di una gestione mirata della produzione: il differimento dell’accesso diretto all’alimentazione implica (secondo lo scontatissimo apologo biblico di Giuseppe) la disponibilità di risorse già immagazzinate per eventuali anni di vacche magre, o quantomeno la possibilità di una ridistribuzione un po’ meno irrazionale di un surplus di prodotti destinati, altrimenti, al macero e alla marcescenza, se non alla rapina. Il caso degli Aztechi, con la loro industria del sacrificio come macellazione cannibalica organizzata, ha delle caratteristiche peculiari: per usare le parole di Harris “…l’America centrale si trovò… di fronte a un esaurimento delle risorse di carne animale più grave che in qualsiasi altra regione. La crescita demografica costante e l’intensificazione della produzione… eliminarono la carne animale dalla dieta della gente comune… La redistribuzione di carne delle vittime sacrificali può avere in effetti aumentato il contenuto di grassi e proteine della popolazione azteca? Se la popolazione della valle del Messico era di 2 milioni di abitanti e il numero di prigionieri disponibili… ammontava annualmente a soli 15000, la risposta è negativa. Ma il problema è mal posto. Il punto non è in quale misura queste redistribuzioni cannibalistiche contribuivano alla salute e al vigore del cittadino medio, ma in quale misura il rapporto costi-benefici del controllo politico migliorava sensibilimente in séguito all’uso di carne umana per ricompensare gruppi scelti in periodi cruciali. Se tutto ciò che ciascuno poteva aspettarsi era un dito o un alluce ogni tanto,  il sistema probabilmente non avrebbe funzionato. Ma se la carne veniva fornita in grande quantità alla nobiltà, ai soldati e al loro entourage, e se l’offerta veniva sincronizzata per compensare i deficit del ciclo agricolo, Moctezuma e la sua classe dirigente mantenevano abbastanza credito per evitare il crollo politico” .

Come sono finita dove sono finita

18

di Stefano Zangrando

Bazzicando i siti letterari italiani negli ultimi anni era facile imbattersi in scrittori o scrittrici che andavano saggiando il cosiddetto blog come possibile nuova forma letteraria. Alcuni hanno poi dato consistenza materiale a una parte dei propri tentativi pubblicandola in volume, e rinunciando con ciò al nickname, non prima di averla adattata al medium differente. Si pensi ad esempio al Francesco Pecoraro di Questa e altre preistorie, apparso nel 2008 nella collana «fuoriformato» curata da Andrea Cortellessa per Le Lettere, o al Gherardo Bortolotti di Tecniche di basso livello (Lavieri 2009), quest’ultimo assai audace nel costringere entro limiti cartacei una ricerca sui linguaggi che nella struttura illimitata della pagina on line sortiva impressioni anche molto diverse.

Addio Daniel

5

di Juan Villoro

Ho conosciuto Daniel Sada alla fine degli anni Settanta, quando stava scrivendo il suo romanzo Lampa vida.
Conservava ancora il suo fisico da calciatore, richiesto a suo tempo dal Cruz Azul e dall’Atletico Español e a cui, molti anni più tardi, ho visto compiere i lenti prodigi che onorano i campi degli ex campioni: faceva ruotare il pallone intorno alla vita.
La prima volta che ci siamo incontrati, lavorava in un magazzino per il trasporto delle verdure. Parlava delle merci con lo stesso gusto per il dettaglio e la classificazione che mostrava nello studio della retorica.

BATTAGLIE CULTURALI

17

di Franco Buffoni

Scriveva Gaetano Salvemini: “Tutti in Italia sembrano aver dimenticato che la libertà non è la mia libertà ma è la libertà di chi non la pensa come me. Un clericale non capirà mai questo punto né in Italia né in nessun altro paese del mondo. Un clericale non arriverà mai a capire la distinzione fra peccato, quello che lui crede peccato, e delitto, quello che la legge secolare ha il compito di condannare come delitto. Il clericale punisce il peccato come fosse delitto e perdona il delitto come se fosse peccato. Perciò è necessario tener lontano i clericali dai governi dei paesi civili”.
Credo che mai come oggi, per comprendere il senso profondo dello scontro in atto tra chiesa cattolica e modernità, queste parole meritino di essere meditate. Che cosa significa perdonare il delitto come se fosse peccato? Significa che sul sacramento della confessione – oggi ribattezzato “della penitenza” – il cattolicesimo post tridentino ha costruito i fondamenti di quel potere che oggi il mondo moderno disconosce: il potere che concede l’assoluzione al delitto in presenza di “vero pentimento”.

I Corto Circuiti di Gigi Spina

3

Paradeigma
di
Gigi Spina

Quando ho visto per la prima volta C’era una volta in America di Sergio Leone (1984), ho subito pensato che il famoso sorriso finale di Noodles/Robert De Niro ammiccasse a una chiave di lettura profonda e non evidente, alla storia del giovane gangster raccontata come un sogno, un sogno lungo tutto il film e capace di fargli intravedere un futuro amaro e drammatico. All’inizio del film, infatti, Noodles, che ha appena ‘tradito’ gli amici, si rifugia in una oppieria, dove lo ritroveremo, circolarmente, alla fine del film. Nel mezzo, nel ‘lungo’ mezzo, lo rivediamo invecchiato, 35 anni dopo, ritornare sul luogo delle sue gesta criminali, ma anche, appena ragazzo, muovere i primi passi nella difficile realtà americana a ridosso della crisi del ‘29. Una esauriente voce di Wikipedia, 13 pagine di pdf, dà conto, appunto, della Teoria del sogno (p. 7), cui sembra abbia anche accennato lo stesso Leone in una lezione al Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1988, un anno prima della morte.