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Supereroi

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di Gianluca Veltri

I.
Il giorno che Renzo Pasolini e Jarno Saarinen persero la vita in un incidente motociclistico a Monza, era in programma una partita non memorabile del Cosenza allo Stadio San Vito. Serie C, Girone C. Solito andirivieni tra serie minori. Alla radio, prima di sapere il risultato dei Lupi rossoblù del Cosenza, bisognava aspettare che terminassero servizi, interviste e classifiche di tutto il resto. Solo alla fine scoprivi cos’era successo in qualche remoto campo della Sicilia o della Campania. Faceva già un caldo inumano, quel 20 maggio del 1973. Il primo caldo di quella stagione di estati arroventate, lunghe come ere.
Ma non sarà per questo se quel giorno non lo scorderò più.

Si chiama democrazia poiché . . .

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di Antonio Sparzani

In questi giorni, sullo sfondo di quella situazione politica nazionale in avanzato stato di decomposizione che tutti conosciamo, sia in rete che nelle meglio bercianti trasmissioni televisive è stato nel solito disinvolto e superficiale modo ricordato – per ricordarsi di cosa sia democrazia – un discorso di Pericle ai suoi concittadini ateniesi, pronunciato, a detta di chi lo riportava, nel 461 a.C. E in effetti può essere in qualche modo rinfrescante rileggere discorsi pronunciati più di 24 secoli fa da chi aveva davvero contribuito a mettere in piedi un sistema di governo che, con gli imperdonabili difetti di ineguaglianza tra uomini e donne e tra liberi e schiavi che pure lo macchiavano, tuttavia costituì nei secoli un primo modello di quella che venne un po’ alla volta chiamata democrazia.

Naturalmente chi volesse guardare la cosa leggermente più da presso e, come si diceva talvolta, risalire alle fonti, scoprirebbe che tale discorso, pronunciato in verità nel 431, è inserito in una situazione ben precisa, che sarebbe opportuno ricordare con qualche maggiore dettaglio. Maggiore dettaglio che tra l’altro non fa che aggiungere interesse al testo, arricchendolo e permettendone una migliore comprensione. E allora proviamoci.
Era il V secolo, il periodo d’oro della potenza ateniese,

Nuovi autismi 8 – Le nostre erezioni

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di Giacomo Sartori

Se c’è una cosa della quale si parla pochissimo sono le erezioni. Intendo le erezioni maschili, quelle femminili non le conosco abbastanza bene da disquisirne in pubblico. E non penso tanto alle erezioni legate ai rapporti sessuali, ma a tutte le altre, quelle gratuite, svincolate dal sesso onanistico o non onanistico. Quelle delle pratiche sessuali sono moneta corrente, e si danno per così dire per scontate. Nei film tanto per intenderci non vengono quasi mai esibite, però lo spettatore se le immagina, le considera una condizione necessaria, come la forchetta quando si mangia. Però ci sono anche tanti altri tipi di erezione, a cominciare da quelle mattutine. O meglio, quella mattutina. Qui il partner sessuale può essere presente o meno, perché che ci sia o non ci sia l’erezione avviene lo stesso. Perfino le fantasie non sono necessarie, e men che meno la masturbazione. Avvengono, esattamente come il sole si leva e la pioggia scende dal cielo. Per quanto ne sappia nessun scienziato ha affrontato seriamente la cosa e ne ha dato una spiegazione convincente. Perché dovrebbe ergersi proprio la mattina il coso degli uomini? Perché non a mezzogiorno, o la sera?

Una cosa di sinistra (che non arriva mai)

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di Helena Janeczek

Sabato in piazza San Giovanni, Matteo Renzi è stato non molto gentilmente invitato a “dire qualcosa di sinistra”. Per chi fosse troppo giovane per ricordarlo, la frase risale a Nanni Moretti che sbottava vedendo D’Alema a “Porta e Porta”. Sono passati 15 anni. Ma nel partito democratico l’unica novità pare che sia diventata applicabile anche al sindaco di Firenze. Sembra, soprattutto, che l’unica alternativa sia quella tra il “vecchio” e il “nuovo”. Poi, una volta compiuta la libera scelta tra Bersani e Renzi, non si vorrà pure pretendere che dicano o facciano qualcosa di sinistra. Il primo mira all’alleanza con l’Udc, porto franco dei topi che fuggono dal Pdl. Il secondo, secondo Michele Serra, sarebbe il nostro Blair giunto con vent’anni di ritardo, ma meglio tardi che mai. Tony Blair, oggi? In tutto il mondo si espandono movimenti che criticano le ricadute del neoliberismo.

VISIONI in TRALICE [V] Lascia ch’io pianga

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[ “vigils musing the obscure” – veglie – molte – meditando sull’oscuro ]


F. Haendel RINALDO [1711] “Lascia ch’io pianga” [Philippe Jaroussky]

di Orsola Puecher

[ a mia madre [*] – acciaio e cartavelina – in quiete e memoria – nulla si perde ]

Good and evil we know in the field of this World
grow up together almost inseparably; […]

           John Milton Areopagitica 1644

E l’infanzia sfuggiva tersa e mite,
selvatica di rovi e di ortiche
e graffiata di reti arrugginite,
[ in luce cristallina ]
[ in nebbia di pianura ]
[ in stoppie di granturco ]

Play time: Giulia Niccolai

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Frisbees
della vecchiaia

Dentro il Quirinale
di
Giulia Niccolai

 

 

Al Quirinale c’ero stata una volta, l’8 marzo 2006, Festa della Donna, quando mi venne conferita l’onorificenza di Grande Ufficiale. La notizia mi era stata data in gennaio con un telegramma che trovai nella casella della posta, indirizzato al Gr. Uff. Giulia Niccolai, che mi fece esclamare: chi è l’idiota che mi fa ‘sto scherzo? Non ne sapevo niente. Non sapevo nemmeno se Grande Ufficiale fosse superiore o inferiore a Cavaliere. Inizialmente mi familiarizzai all’idea accentuando quel Gr. Uff. nel grrrr dei fumetti – il ringhio dei cani – e l’uffa di Uff. che non richiede spiegazione. Ma confesso che assieme alla sorpresa, provavo una gran curiosità: chi diavolo poteva aver suggerito il mio nome? Ci misi mesi a scoprirlo, addirittura dopo la cerimonia, quando riuscii a contattare una giornalista del Quirinale che non conoscevo personalmente ma che mi confessò di aver letto di me su La Stampa in uno degli articoli che Marco Belpoliti aveva scritto quell’autunno su vari personaggi da lui accostati e riuniti sotto la comune intestazione di Eccentrici. Ricordo di aver letto anche quello su Mario Dondero e Giovanni Anceschi. Ero in buona compagnia, non solo, ma anche perché un Gr. Uff.” eccentrico” lo potevo digerire meglio di un Grrrr. Uffa tout court.

introduzione

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di Giacomo Verri

La vicenda editoriale di questo libro è insolita e bizzarra.

Tutto ha avuto principio con un «c’era una volta», o quasi. Nell’estate del 2008 mi capitò tra le mani un articolo apparso il 25 aprile 1958 su un settimanale locale, il Corriere Valsesiano (la Valsesia è la parte settentrionale della provincia di Vercelli), dove l’uscita di un ‘Gettone’ Einaudi dovuto a un tale Remo Agrivoci era data come fatto certo. Il paragrafo non portava firma, o sigla, e pensai a uno stelloncino redazionale. Tuttavia l’articolo, che titolava «Anche la Valsesia avrà un ‘Gettone’» era troppo ampio per esse­re uscito dalla penna di un redattore anonimo e, allo stesso tempo, troppo breve per l’importanza che il fatto me­ritava. Inoltre lo stesso giornale, né prima né dopo quella data, fa­ceva altro riferimento al ‘Gettone’ valsesiano.

Inutile dire che il libro di Agrivoci non uscì mai; anzi, proprio in quel 1958, l’esperienza dei ‘Gettoni’ giungeva gradual­mente al termine. Così tornai a rileggere l’articolo ponzato d’enfasi, di reto­rica spiccia e di poco garbato campanilismo, del quale conservavo copia in un quaderno dalla copertina limone:

Prima o poi l’amore arriva

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Disegno di Raffaella Nappo

 

 

 

 

 

 

La prima storia
ricordando Augusto Monterroso

di Gigi Spina

 

Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì. Allora lei mi guardò con occhi sgranati. Più della sua bocca che sbadigliava. Mi chiese perché. Perché era diventato così grande, in una sola notte. Azzardai: Perché così va il mondo; prima serpente, poi …
– Come serpente?
– Sì, serpente, non ricordi?
– No, cosa dovrei ricordare?
– L’albero, la mela … il tuono … Poi ti sei addormentata di botto.
– Strano, le tue parole non mi dicono niente. Ricordo solo quel dinosauro accucciato nella stessa posizione, solo un po’ più piccolo, e tu che cercavi disperatamente un … ramo?

Ingranaggi – Rosaria Capacchione

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Immagine di Salvatore Di Vilio

Il silenzio delle armi
di
Rosaria Capacchione
Il corto circuito coincide con il processo Spartacus e le battute conclusive del dibattimento rinnovato in appello. Porta la data del 13 marzo del 2008, la stessa della lettura in aula di una stranissima istanza di ricusazione, apparentemente motivata dal legittimo sospetto di influenze esterne (della stampa, della letteratura d’impegno, della magistratura inquirente) sulla Corte di assise di appello. Neppure un mese dopo, nella prima settimana di aprile, Giuseppe Setola, fresco di condanna all’ergastolo, lascia la comoda detenzione domiciliare a Pavia e si avventura lungo la strada delle stragi.

NUOVI INQUADERNATI 2.

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YARI BERNASCONI

Una conversazione (frammento)

«Un giorno bombardarono le baracche dove stavamo.
Io ritornavo da un colloquio col mio vestito bello, l’unico,
e una giacchetta beige. Scarponcini puliti.
Cominciammo a scavare, a cercare nel fango
la nostra roba. Ma tutto era stato inghiottito.
Io sembravo un pulcino, tra le macerie: un punto bianco.
Alla fine, sporca e ricoperta di terra, chiamai mio padre.
Non avevamo ritrovato nulla. In quel momento
ci appartenevano soltanto le nostre ossa».

Padri, cameriere e purgatori

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di Massimo Rizzante

Non ricordo la prima volta che ho avuto in mano la Commedia. Il fatto che non lo ricordi significa che non ho mai avuto una vera relazione con Dante? Può darsi.
Però Dante mi era vicino quando alcune cameriere m’iniziarono all’amore, o meglio alla sfera sessuale dell’amore, che non ha niente a che fare con l’amore, sebbene sia un buon punto di partenza, un punto da cui bisogna partire, per poter poi salire la montagna del purgatorio erotico e approdare alla trasfigurazione del volto dell’amata, alla sua divinizzazione, al paradiso, alla preghiera che tutto duri in eterno.
Così il sesso sarebbe l’inferno, lo smarrimento, il perdersi nella selva, il sentirsi risucchiati dal mulinello della paura, i fare i conti con l’imperfezione terrena, con la caduta, i guasti della carne. Può darsi.

Play Time: Giulia Niccolai

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Frisbees della vecchiaia
di
Giulia Niccolai

Quando le telecamere inquadrano la facciata del Quirinale, al lato sinistro del televisore, in primo piamo, possiamo vedere quasi sempre parte di un monumento con un giovane a torso nudo accanto a un cavallo maestoso. Notandolo l’altra sera mi sono detta, come se lo riconoscessi (non so se a ragion veduta o per qualche associazione campata per aria): i gemelli! I Dioscuri!
I Dioscuri? Molto bene, ma come si chiamano …? e Polluce. Del primo (di quello che non vedevo?) non ricordavo il nome. Alla mia età e a ogni dimenticanza ci hanno insegnato di temere i primi segni della demenza senile e così mi sono data da fare per arginare la paura.
Alluce e Polluce? Alluce e Polluce? mi chiedevo mentalmente e a voce alta. Parte della mia mente era convinta che il nome fosse sbagliato, ma un’altra parte lo trovava convincente.
Solo quando capii che Alluce e Polluce erano i nomi storpiati dei ditoni di mano e piede, si accese la lampadina di Castore .
Raccontai brevemente l’aneddoto a Paola De Pirro in un SMS perché sapevo che l’avrebbe divertita, e infatti lei mi rispose: Che delizia! è proprio l’”indice” del tuo humour innato.
Quel suo “ indice” non potevo proprio lasciarmelo scappare, così le risposi: Possiamo anche dire che mi batti?
E lei di rimando a me: No. E’ che forse in una vita precedente facevamo cabaret insieme.
Monstre!!
Paola batte Giulia 2 a 1!
A meno che non fossimo state anche gemelle in quella vita, allora saremmo pari: 2 a 2.
(No, non per avere l’ultima parola, ma per il doppio senso della frase).

Laconia senza làconi

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di Antonio Pane

si smerigliano mele ai ritornelli del picchio

A otto anni dal magnifico azzardo di Lo scricciolo penitente (Scheiwiller 2002) Marco Ceriani sostiene un’altra prova estrema. Se si guarda a quell’antefatto, sequenza di 87 componimenti in quartine, Memoriré contempla due evidenti novità strutturali: la suddivisione in tre parti (Apici dei laconici, Sonetti, Ancora gli apici) e l’epentesi dei sonetti: i due che aprono e chiudono le ante laterali (rispettivamente di 44 e 36 quartine) e i diciotto che, a loro volta recinti dalle quartine, costituiscono il corpo centrale. La imperfetta simmetria di questa dantesca centuria è ulteriormente insidiata da tre ‘fuori tavola’ (due quartine e un sonetto) segnalati come tali da una diversa impaginazione e quindi relegati alla periferia dell’indice. L’architettura rende il nuovo edificio più coeso e se possibile più refrattario del precedente, di cui i numerati visitatori registrarono in vario modo la gemmea quanto inviolabile compattezza, il prestigioso idioletto che misurava un nichilismo appreso da Kafka e Beckett.

ritagli da un’intervista fallita

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di Flavia Piccinni

Non esistono interviste facili, ma quando la missione è intervistare una donna che ha quasi 100 personalità tutto si complica. C’era da aspettarselo, quindi, che intervistare Kim Noble sarebbe stata una vera e propria impresa, a partire dall’entourage che la circonda: un agente letterario (tale Robert Smith) che sembra affetto da amnesia cronica, una casa editrice (Little Brown) diffidente e instabile almeno quanto l’autrice che rappresenta. E poi c’è lei, Kim Noble, cinquant’anni, capelli biondi lunghi fino al seno, sguardo sperduto e aria da star che, quando provi a contattarla, la prima volta è disponibile, la seconda non si ricorda più chi sei, e la terza ti manda al diavolo. Poi torna gentile e affabile, anche se non si sa bene per quanto a lungo, e decide di raccontare della sua carriera d’artista, cominciata nel 2004, e di quella da scrittrice, appena intrapresa con l’uscita in Gran Bretagna del suo primo libro, All of me.

Notorietà del vuoto 4

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8 spunti lucreziani

di Andrea Inglese

5.
Tum porro locus ac spatium, quod inane vocamus,
si nullum foret, haud usquam sita corpora possent
esse neque omnino quoquam diversa meare;
(I, 426-428)

Se non fosse il tuo posto, un falso posto,
un porto illusorio, un utero bucato, un miraggio,
ci potresti anche stare, giacere, a carponi,
a quattro zampe, in piedi, come un obelisco,
una statua, lo status, in una gerarchia mentale
e senza tempo, ma perché tu ci metta
piede, qualcosa deve farti passare,
ma anche accoglierti, e poi lasciarti
andare, tirarti dentro, per poi cacciarti
fuori, questa cosa che ti tradisce
così bene, lo chiamiamo vuoto, e Lucrezio
inane, che è vocabolo vasto d’ombre
e riverberi, sogni e simulacri,

Diversamente epici

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di Filippo La Porta

Ricordo spesso l’ironica frase di Orwell durante la guerra, a proposito del fascino di certi simboli e di certe parole d’ordine del fascismo: provate a far giocare i vostri bambini non più con i soldatini ma con i pacifisti di stagno… beh, certo non si divertirebbero. Potrebbe essere un buon punto di partenza per una riflessione, a distanza, sui fatti (e sulle immagini) del 15 ottobre. Mi sembra di poter dire che la battaglia vera è proprio sull’immaginario, o soprattutto sull’immaginario. In che senso?

La dolce mela del perfetto conformismo

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di Helena Janeczek

Al centro della Grande Mela c’è un cubo da cui si scende al tempio centrale del culto di una mela piccola. Quando ci andai, la kaaba di vetro era rivestita di un involucro bianco, cosa che non impediva un affollamento superiore alla Stazione Centrale sotto le feste. Persone di tutte le età, estrazione, razza, lingua, riunite nel negozio-cripta. Ho fotografato un ebreo chassidico vicino a un ragazzo nipponico con codino e Converse stinte. La postura identica di entrambi – chini sull’ultimo Ipod, sguardo estraniato – sembrava di preghiera.

Qualche domanda a Marino Magliani: la Liguria, la frontiera, l’edera

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di Giacomo Sartori

GS Tu sei originario della Val Prino, in provincia di Imperia, una zona aspra ma anche dolce che è presente marginalmente anche nell’ultimo tuo romanzo La spiaggia dei cani romantici (Instar Libri, 14 euro), che pure è ambientato in Argentina e in Spagna, così come in un modo o nell’altro in tutti i tuoi romanzi precedenti. I tuoi personaggi vengono però sempre da altrove, o partono per altrove, e anche gli stessi abitanti della tua terra sono in realtà spesso stranieri venuti a stabilirsi lì. Fino a che punto in questa “promiscuità geografica” dei tuoi testi c’è l’esperienza dell’autore, sapendo che tu da bambino il confine lo passavi al seguito di tuo padre, che andava a lavorare in Francia, e sapendo che hai vissuto gran parte della tua vita adulta all’estero, e che ora da molti anni vivi in Olanda?

MM La frontiera la sento più come regione e non come taglio netto, dentro o fuori. In realtà la mia Liguria, la valle che racconto solitamente e ossessionatamente, è ancora assai lontana dalla Francia. E per me la Francia, prima che un posto, come ricordavi tu, era la terra da cui mio padre portava il pane, Francia esisteva solo in dialetto: a Fransa.  Il profumo che avevano i turisti francesi, le magliette pulite col coccodrillo, le vestaglie colorate e le capigliature ricercate delle donne,

Cento colpi di spazzole e Cacciari

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Venezia,il jazz e gli ex sindaci-filosofi
di
Franco Bergoglio

Anni passati a studiare la semanticità della musica (cioè se le note abbiano un significato altro rispetto a quello acustico) e i rapporti tra il free jazz e la politica. A giudicare da quanto comparso in rete e sui giornali negli scorsi giorni, anni spesi male. Bastava leggersi una ordinanza del Comune di Venezia, vecchia di una decina d’anni -imputabile alla giunta Cacciari, come puntigliosamente nota Mario Gamba sul Manifesto del 21 settembre scorso- per rendersi conto dell’inutilità degli sforzi.

Noi siamo i giovani del surf

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di Marco Rovelli

Da Renzi c’erano anche degli intellettuali: Baricco, Nesi, Scurati. Ma anche l’ex poliziotto ed ex editore Castelvecchi, che adesso fa parte di VeDrò, una vera e propria lobby trasversale di centrodestra e di centrosinistra (a capo, il pdemocristiano Letta e la finiana Bongiorno), nella cui attività si legge bene quella nefasta trasversalità (che non può che appiattirsi sulla prospettiva generazionale) di cui il progetto renziano è prodotto.
Matteo Renzi è un uomo pericoloso, e così il suo progetto politico. Partiamo dalla persona. Renzi è pericoloso perché di cartapesta. Come quei mostri dei fumetti che li colpisci e si sgonfiano, ché dentro non c’era nulla. E’ proprio questa la sua massima pericolosità: dentro Renzi c’è il nulla. Ma il nulla, se messo bene in scena, risulta simpatico. E’ adattivo. Scivola, si dà la forma che il contesto richiede. Il Renzi, quando parla, recita la parte del furbetto, ma è una parte serena. Non si scompone mai, sorride, ammicca, è un muro di gomma che evita ogni tipo di rappresentazione del conflitto – inscrivendosi così in quella che è la sua vera heimat, quella democristiana. (Ciò che mise clamorosamente in scena con il gesto politico – che poteva suonare come omaggio feudale – dell’andare ad Arcore).

Lettere a Zanzotto

1

di Michael Palmer
traduzione di Gian Maria Annovi

Lettera 5

Desideravi, la neve cade all’insù,
il futuro perfetto, un testo
di ruote. Tu sei nato qui
tra rumore e contro-rumore
in frammenti iniziali di pellicola,

argenti d’immagine, il di
e le sue parti – particella
come onda – i gradini
del futuro perfetto, i suoi mille laghi
campane, segni, lunazioni e delusioni

I giorni erano chiamati il libro della fretta
poi il libro dell’urlo, libro
ferroviario poi libro della ruggine, rilegatura-
perfetta, ombra perfetta di un orologio
il fotofilografo assembla in negativo,

sole negativo od ombra negativa,
polvere negativa alzata dal suolo
e le immagini negate in cornici eccessive,
pietre refrattarie, camion ed imbuti,
finzione e testamento coincidono