È un clandestino vero e proprio. Esiste, lo sappiamo tutti, anche se negli elenchi telefonici, nei libri ufficiali, nei discorsi pubblici non si menziona. Le indicazioni stradali per trovarlo non ci sono. Eppure è conosciutissimo. Riceve tantissime visite, lo cercano, lo trovano, lo guardano, lo ammirano. È “il tunnel di Sarajevo”, esiste, ma ufficialmente è come se non ci fosse.
Per la gente di Sarajevo “il tunnel” è il simbolo del coraggio e della sopravvivenza. Per i serbi della Bosnia ed Erzegovina è un luogo dove i serbi venivano uccisi e torturati.
L’altro giorno un piccolo gruppo di ammiratori e di affezionati che non hanno dimenticato ciò che il tunnel di Sarajevo significava durante la guerra, si sono riuniti per celebrare i diciotto anni della nascita del tunnel. È stata una cerimonia piuttosto modesta, molto al di sotto della fama e dell’importanza storica che ha oggi il tunnel di Sarajevo.
Tunnel of Love
Aforismi incompiuti

[Dopo pressante richiesta da parte dei fan (?!?), proprio come la scorsa estate, eccovi un gradito (!?!) ritorno. G.B.]
di Luca Ricci
Era annichilito perché non ci può essere un eccesso di lucidità.
Il sogno di ogni apocalittico perbene: adombrarsi a tal punto da adombrare il creato.
– Io sono passato alla storia.
– Io sono passato attraverso la storia.
La metafisica era il chewing-gum dell’antichità.
Almeno così: ognuno aperto nel proprio dolore.
Voce e paesaggio. Su Giuliano Mesa
[Questo testo, seguito da una breve antologia di poesie di Giuliano Mesa, è apparso sul n° 3 di “Atti impuri“. Su NI è stata pubblicato il 23/8/2011. Lo ripresento oggi, perché il 15 e il 16 giugno si terrà a Bologna il primo convegno universitario su di lui. È quindi un’occasione per ricordarlo, ma sopratutto è un invito a leggerlo, anche se la sua opera, nonostante le mie ottimistiche affermazioni in questo pezzo è difficilmente disponibile, se non in rete.]
di Andrea Inglese
Quali prove ho, che Giuliano Mesa sia uno dei maggiori poeti italiani viventi?
Dico questo perché, in poesia, la confusione dei valori è più evidente che altrove. Qualsiasi titolo e trofeo, vanno vagliati con cautela. Nella narrativa, almeno, il successo commerciale permette di squadernare evidenze, che possono poi essere confutate da evidenze d’altro genere, quali il giudizio del critico. In poesia tutto si decide tra pochi, endogamicamente, con grande rischio. A volte, persino, non si decide un bel niente: ognuno nutre semplicemente, nel cantuccio proprio, nella chiesuola d’appartenenza, le proprie chimere. L’opera di un poeta può esserci, straordinaria, ma risulta magari invisibile o dispersa dal punto di vista editoriale, mentre altri libri di nessun pregio, per ragioni estrinseche, girano per librerie, biblioteche e premi.
un’altra volta
di Chiara Valerio
Piero Marrazzo è l’ultimo uomo politico italiano ad aver mancato l’opportunità di diventare eroe nazionale. Con un unico gesto, con il superpotere perduto del senso dello stato e della giustizia, avrebbe potuto uscire da Via Gradoli con la testa alta e la camicia disordinata dal desiderio e dire Sì, sono stato con un transessuale e questo non pregiudica la mia capacità di amministrare una regione, sapete, hanno provato a ricattarmi ma io non ho temuto e al presidente del consiglio che mi ha chiamato per segnalarmi un video scabroso sui miei comportamenti sessuali ho risposto che non bisogna avere paura delle parole dopo che si è ceduto hai fatti. Avrebbe potuto vantarsi della normalità delle proprie indefinitezze e metterle in comune con le persone che lo avevano votato, restituire, con quel gesto, la fiducia che gli era stata data con la matita copiativa sulla scheda elettorale. E poi scusarsi, infinitamente, per aver usato una macchina che non era per lui ma per la carica che era stato chiamato a ricoprire. Scusarsi perché è perdita di democrazia confondere il singolo col ruolo. Così, quando il giorno di Ferragosto ho visto l’intervista su Repubblica ho gioito e esultato Vai Marrazzo! E invece, nelle domande belle, incalzanti e politiche di Concita De Gregorio, si è ripresentato uguale a sé stesso. Le giustificazioni tutte virate al piano morale, giovani e droghe, prostitute e famiglia, abitudini sessuali e matrimonio, le Confessioni di Agostino il cui unico messaggio ritenuto è Se hai conosciuto il male non devi più nasconderti. Vorrei chiedere a Marrazzo a quale male allude, alla seduzione d’un desiderio o al malcostume di una classe politica che ha reso la rappresentazione di sé il gagliardetto dell’assenza di democrazia. Solo dal primo non devi più nasconderti.
[queste righe sono state pubblicate il 19 Agosto 2011 su l’Unità]
La miseria della postfilosofia o L’intollerabile deragliamento dell’essere (storia minima di un’abdicazione intellettuale)
di Daniele Ventre
1. Critica della critica acritica – l’autoritarismo deluso della postmodernità radical chic, fra pensiero debole e iperfallibilismo pancritico
Uno spettro si aggira nei meandri delle menti speculative d’Europa e d’Occidente: è lo spettro del senso critico, che come il fantasma di Banquo al festino di Macbeth, secondo un copione shakespeariano tanto banale quanto obbligato, funesta i simposii di troppi, veri o presunti, maîtres à penser del mainstream filosofico contemporaneo. Fra le tante Scheintode che la poco limpida amleticità del dramma concettuale postmoderno inscena, la sua è solo l’ultima in ordine di tempo, dopo quella nietzscheana, ribadita, di Dio, dopo la morte e l’oblio della verità, dell’essere e in ultima analisi del più generico concetto di senso tout court.
Jorge Luis Borges racconta il libro “Il nome giusto” di Sergio Garufi
[Sergio Garufi ha pubblicato finalmente un romanzo: Il nome giusto, Ponte alle Grazie, 2011 – disponibile stampato ( €16 meno 10-40% sconti) e in ebook (purtroppo con DRM €11,99). Lucio Angelini, suo scanzonato ammiratore, ne ha scritto una recensione – JR]
di Lucio Angelini
La prima volta che incontrai Garufi fu a Venezia, all’Hotel Londra Palace. Si era spacciato al telefono per un laureando alle prese con una tesi su di me, ma nessuno gli aveva creduto e non gli era stato accordato alcun appuntamento. Lui si presentò lo stesso alla reception alle nove di mattina. Maria Kodama, la mia segretaria, scese garbatamente contrariata e gli concesse di parlare con me giusto il tempo della colazione. Un inserviente lo accompagnò fin sulla soglia della mia camera, dove si arrestò “come davanti a una ierofania” (avrebbe raccontato in seguito in giro per la rete), e io lo accolsi declamando i versi dell’inferno dantesco: “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”, seguiti da un paio di spettacolari ipallagi virgiliane.
Note per un diario parigino
da Chiunque cerca chiunque
Les trois Mailletz
Nono capitolo
di
Francesco Forlani

Regina, reginella, quanti passi al tuo castello? Sotto i miei piedi, poco fa nel piazzale qui a Notre Dame, c’era il medaglione che indica il punto zero delle strade di Francia. A partire da quello vengono indicate le distanze delle città sulle cartes francesi. Il mio punto zero è Via G.M. Bosco, 49, Caserta. In questo momento sono a 1586 km dal punto zero delle mie strade.
Dieci passi da elefante. E nemmeno oggi si mangia. Veramente.
Quindici passi da formica. Ce ne sono un migliaio che corrono sotto la mia panchina fingendo indifferenza alle briciole di flan che cadranno.
Cinque passi da serpente. Il rosone poggia sulla capa dei re e le cape dei turisti lo fissano come ipnotizzati.
Dieci passi da gallina. Pollo e patate me li sogno la notte. Avevo letto da qualche parte in Cioran che i poveri mangiano cose dolci. Quello che per i ricchi è un’opzione, il dolce dopo il salato, per i clochard è una necessità. Così capisci i denti guasti. Ma cazzo perché non comprare una fottuta baguette jambon beurre, piuttosto che un Flan. Ma vuoi mettere tu che una fettona gialla che sembra polenta e impacchettata indorata ti tappa la bocca dello stomaco a vita, e non la fa parlare, altro che!
Un passo da gambero. Bisogna tornare sui propri passi.
Raoul Ruiz (25 luglio 1941 – 19 agosto 2011)
Dunque scompare il filosofo cineasta cileno Raoul Ruiz. Scompare l’autore della filmografia più aperta e mutante, una sorta di forma organica vivente, di planimetria folle. Quanti film ha veramente girato Raoul Ruiz? Una stima attuale (è morto mentre montava l’ultimo) arriva facilmente a più di 120. E i film nei film (come spesso gli piaceva ricordare)? Ci sono dei progetti che si guardano allo specchio e poi svaniscono. Ce ne sono altri mai realizzati e sempre in procinto di esserlo. Qualche relitto. Rovine. Trappole. Molta carne in putrefazione. Parassiti. Schizzi. Palindromi. Rompicapi. Ripetizioni. Falsi raccordi. Fessure che si allargano. Formati, durate, colori in-verificabili. Viraggi. Filtri. Prismi. Profonde deformazioni ottiche. Complicazioni. «La relazione fra la dissomiglianza e ciò che è simile si chiama passione» (Raoul Ruiz).
(l.e./d.t)
PERCHÉ NO
Raoul Ruiz
Una settimana fa ho udito uno storico del cinema cileno affermare: «In quel periodo (quello della mia prima giovinezza), i film si realizzavano perché sì, non c’erano né piani di finanziamento, né aspettative, non c’erano indagini di mercato (non c’era mercato), a nessun cineasta veniva in mente di domandarsi “Per quale pubblico sto facendo questo film?” (non c’era un pubblico). I film si facevano, come ho detto, perché sì». Mi sono permesso di interromperlo. «Con tutto il rispetto, gli ho detto, i film di quel periodo non si facevano perché sì, si facevano perché no».
IMPUDENZE
di Franco Buffoni
“Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti”, dichiara Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ai microfoni di Radio anch’io. Così continuando: “Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perché anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. “Se questo dovere fosse assolto”, conclude il cardinale, “le cose in Italia sarebbero risolte”.
Come non condividere? Peccato che a fronte vi siano i mastodontici privilegi dovuti ai meccanismi perversi dell’otto per mille codificati da Giulio Tremonti ai suoi bei dì, nonché il regime di totale impunità e assenza di controlli in cui opera lo Ior – Istituto Opere di Religione, la banca centrale vaticana -, e l’abbuono dell’Ici sul patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica – persino su residenze e attività estranee al culto – stimato al 40 per cento del totale nella città di Roma e al 25 per cento nell’intera penisola. Ma si rifletta anche su più sottili e repellenti ingiustizie quali le forniture gratuite di acqua, luce e gas al Vaticano, o gli stipendi agli insegnanti di religione cattolica nelle scuole di stato.
La stima complessiva è di oltre 4 miliardi annui di sole esenzioni fiscali.
In questo momento di gravissima crisi economica, in cui persino le banche e le grandi industrie sono in difficoltà, l’unica vera ricca lobby rimasta in Italia è proprio la Chiesa cattolica. Che per non essere tacciata di impudenza dovrebbe smettere di parlare, e incominciare a pagare qualcosa, prescindendo dalle richieste dei nostri pavidi governanti. Perché a Bagnasco evidentemente sfugge che i privilegi e le esenzioni fiscali di cui gode la Chiesa cattolica in Italia sono la versione autorizzata – e per ciò stesso ancor più repellente – dell’evasione fiscale a cui si riferisce nell’intervista a Radio anch’io.
INTERVALLO Fukushima [ riso amaro ]
⇨ Fukushima TEPCO 1 Nuclear power plant [ Daii-ichi Webcam ]
Pietro Domenico Paradisi [ 1707 – 1791 ]
TOCCATA da “Le sonate di gravicembalo”
La notizia che le amministrazioni locali in tutto il Giappone testeranno il riso riguardo al Cesio radioattivo
L’aria, il blu, l’inquadratura. Dell’avventura di Romano Guelfi
di Rinaldo Censi
Sei un seduttore Jean-Marie! sibila Giovanna Daddi, senza riuscire a celare una specie di sorriso ironico, quello di chi ha compreso perfettamente che gioco si sta giocando. Giace come una statua su una roccia ricoperta di muschio, coricata su un fianco. Ma certo, dice lui a bassa voce. È un po’ il mio mestiere.
Ci sono due attrici, Giovanna Daddi e Giovannella Giuliani; un cineasta che le sprona a dare il meglio di sé, Jean-Marie Straub. E un luogo immerso nel verde di Buti, in Toscana. Ma prima di arrivare in questo luogo, passiamo attraverso il buio di una ribalta teatrale, dove le due attrici e Straub provano il testo. Un cubo, un parallelepipedo, una luce rossa sul bordo del palcoscenico. Il blu della gonna di Giovanna Daddi. Il rosso della camicia di Giovannella Giuliani. E il dialogo di Cesare Pavese: “Le streghe”. Il primo dei Dialoghi con Leucò.
Per Giuliano Mesa
Dall’età della pietra
a giuliano mesa,
principe dei poeti
concittadino del popolo
principe dei poeti
o intoccabile in cima alle scale della fortuna
e tu achille dal calcagno d’oro
ora che anche i pesci azzurri del mare
allargano le branchie non per respirare
ma in segno di estremo saluto all’imperatore
prenditi gioco di qualcun altro
nell’età della pietra
dal grembo di una città assediata
Leopoli, Pristina, Berlino, Cracovia che importa?
in ogni caso ai corruttori di Roma in ogni caso in contumacia
VISIONI in TRALICE [III] … e abito sempre nel mio sogno…
da Fanny e Alexander INGMAR BERGMAN [ 1982 ]
di Orsola Puecher
In realtà io vivo continuamente nella mia infanzia: giro negli appartamenti nella penombra, passeggio per le vie silenziose di Uppsala, e mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi, mi sposto con la velocità a secondi, e abito sempre nel mio sogno: di tanto in tanto, faccio una piccola visita alla realtà.I. BERGMAN Lanterna magica Garzanti [ 2008 ]
GIUDICI
di Angelo Pezzana
Immigrato in Israele nel 1978 dall’Inghilterra, Philip Marcus viene nominato giudice al Tribunale per la famiglia nel 1995. La sua nomina doveva scadere fra dieci anni, nel 2021, ma il giudice Philip Marcus ha dato le dimissioni, anche se due anni fa era candidato per una promozione al Tribunale distrettuale di Gerusalemme. Una decisione non comune la sua, che però ha una spiegazione nel suo comportamento. Autore di sentenze molto criticate, per la loro insensibilità e ignoranza del vivere civile, è inciampato in quella che lo ha convinto che giudicare il prossimo non era per lui la professione giusta.
L’accaduto potrebbe rientrare in un normale fatto di cronaca, o di malcostume giudiziario. Lo riprendiamo invece, perché aiuta a capire come funziona in Israele la difesa dei diritti umani e civili, in uno Stato che ogni tanto viene definito teocratico da chi preferisce coltivare i propri pregiudizi piuttosto che conoscere la realtà. Eccola, dunque, la teocrazia israeliana in funzione.
Tre poesie
di Maxime Cella
Fra questi piani d’ingombra rarefazione
manca un punto che dica dell’armarsi
o del deporsi, infligga nuova pena
e un orizzonte, sappia di una regina manichea
dei suoi infiniti sfumi e poi si renda
a segno felice di indirezione
Marca assenza anche oggi
quando questo rado sventolare di foglie
pure tace e si strema a correnti
morte di un primo sussurro
……………………………………è disuso all’affronto
e reclino al suo vuoto
e di loro si piega del tutto indubbio
_______________
Un poeta per un poeta
di Gianni Montieri

(a Giuliano Mesa da un lettore)
A dover partire di ferragosto
è come mettere una parentesi
un cartello con la scritta:
“chiuso per ferie”
da questa parte della serranda
sotto la luce spenta dell’insegna
clienti affezionati attendono
che l’estate passi o che il racconto
finisca non con un finale ma
con un altro inizio, una parola nuova
basterebbe un tuo silenzio
(imparassimo anche noi a tacere
come un poeta dovrebbe
chiudere per ferie ogni tanto
starsene da parte, quando è tempo
e a suo tempo sapersene andare).
[16 agosto 2011]
Due poesie da “Quattro quaderni”
di Giuliano Mesa
è come se andarsene non fosse che questo,
questo restare, e fare ancora un gesto
(è come se dirlo fosse soltanto vero,
e non più vero, ancora, del non dirlo)
e poi quello che manca mancherà
e ciò che è è ciò che ormai è stato
(e parlane, mio amore, dinne ancora,
fa che sia vero ancora)
(penso ad un giorno, pensando ancora
a chiudermi gli occhi, finché c’è luce,
a premere ancora, sulla tempia, il nervo che pulsa)
(pensa che vuoi pensare,
fino a quel buio,
fino alla luce, infine, che scompare)
*
cosa frammischia –
cenere (sempre cenere)
e vento (sempre, da sempre)
se non il vuoto, Lucrezio,
il vuoto –
lì possiamo costruire, c’è spazio,
per fare un’orma
e fare un segno di passaggio
(noi siamo, passeggeri,
come argini,
muschi sulla sponda del fossato,
chiocciole ciottoli lucertole
e questo è molto,
a farsene una ragione,
è molto tempo, e spazio,
molta necessità)
Juke box / Peter Gabriel
Peter, il più bravo di tutti.
0PMEuJmz3CU
(seguite il link)
Father, son
Father, son
Locked as one
In this empty room
Spine against spine
Yours against mine
Till the warmth comes through
London revisited
Ho saputo che i disordini erano scoppiati anche a Brixton quando sulla metropolitana hanno annunciato che il treno non avrebbe fermato in quella stazione: era chiusa per “vandalismo”. Nel frattempo i disordini si erano sparsi in varie parti della città e a Tottenham, a pochi passi da dove vivo, si sentiva ancora l’odore di bruciato nell’aria. Le macchine incendiate erano state rimosse in fretta, ma avevano lasciato lunghe sagome annerite sull’asfalto.
“Negli altri paesi le rivolte scoppiano per domandare democrazia o far cadere un governo, qui scoppiano per assaltare i negozi”, afferma un amico anglosassone quando infine lo raggiungo a Brixton. Joe mi accompagna a vedere il negozio di attrezzature elettriche Currys a un centinaio di metri da casa sua. Lo hanno saccheggiato poche ore prima. Non c’è molto da vedere oltre alle solite vetrine infrante, serrande abbassate ormai inutilmente, un mucchio di merce calpestata sulla soglia.





