Se oggi Radio3 sarà muta sarà anche per colpa nostra. Siamo gli atipici della rete, lavoratori più che precari, quasi sempre a partita iva, sotto contratto per molti mesi all’anno in cambio di compensi ridicolmente bassi e in via di riduzione. Siamo redattori, conduttori, registi, autori: siamo l’anima della rete, quelli chiamati perché esperti di musica, di politica, di scienza o di letteratura. Domani appoggeremo lo sciopero dei nostri colleghi dipendenti Rai contro il piano aziendale di Masi (pur non avendo diritto di sciopero, insieme a tanti altri diritti come ferie, malattia, maternità). Significa che non faremo nulla di diverso da quello che prevedono formalmente i nostri contratti e non chineremo la testa al ricatto di un’azienda che ci fa lavorare come dipendenti da anni e poi, come liberi professionisti, finisce di fatto per utilizzarci per sostutuire i colleghi in sciopero.
Le nudecrude cose
Alcune parole chiave / Sergio Soda Star. 2010
Alcune parole chiave
Attraverso l’utilizzo delle parole chiave è possibile esprimere concetti sintetici o analitici. facilmente si riscontrano nella comprensibilità attraverso la facenza delle parole chiave che s’inoltrano nella comprensione del senso che diventa automatico. Solo attraverso l’utilizzo delle parole chiave è possibile dire il termine automaticamente. Esse attualmente sono (soprattutto in italia): eco saviano caserta napoli fiat telecom Trenitalia sofri servillo new york Barcellona victoria cabello daria bignardi il figlio di sofri facchinetti roma fabio fazio enel.
L’utilizzo delle parole chiave (d’imperizie) significa la fruizione inautomatica del linguaggio il quale si presta così alla cosiddetta “non deriva autoritaria”. Per esempio è possibile dire roberto eco senza scandalizzare o facendo ridere ma comunque all’interno di un contesto democratico cioè immutabile. La stessa cosa capita a daria bignardi e in misura ridotta a facchinetti. Per esempio si può dire daria senza scandalizzare o facendo ridere ma comunque all’interno di un contesto democratico.
È invece tuttavia molto difficile l’utilizzo di alcune parole chiave minori ma attuali come victoria cabello in cui è impossibile dire victoria cabello e basta oppure utilizzare immagini. Infatti attraverso l’utilizzo del termine victoria cabello si vuole indicare una specie di scopo sociale (non cioè desiderio) e la fine di questo non può purtroppo essere asserito all’interno di un contesto in cui senza scandalizzare o facendo ridere non all’interno per questo motivo dell’assetto sociale.
Progressismo e sottocultura
di Luca Lenzini
“Dove sono stati per tutto questo tempo i progressisti?” La domanda posta da Massimiliano Panarari a p.122 di L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip (Einaudi) riguarda l’ultimo trentennio di storia patria, e merita attenzione.
Secondo l’autore, docente di “analisi del linguaggio politico” all’università, quel periodo ha visto il trionfale instaurarsi nel corpo sociale della sottocultura dell’intrattenimento e del gossip, funzionale all’“episteme della contemporaneità postmoderna” (p.9): diffusa in modo molecolare attraverso i media e coerente con il progetto reazionario del “pensiero unico neoliberale” ovvero del “fondamentalismo di mercato” (p.5), per Panarari essa ha saputo conquistare quegli ampi strati della popolazione che la sinistra non è stata più capace di coinvolgere, a partire dagli anni ottanta, e che perciò dell’ideologia neoliberista – con il suo corredo di individualismo, darwinismo sociale e primato assoluto dell’economia – hanno subito l’incontrastata egemonia.
Compagni di Cellula
Modello Cellulare, Fenomenologia, Superamento della Soglia, Energia ed Equità
di
Paolo Lapponi
La Cellula è dunque un sistema “autopoietico” nel dominio biologico-cognitivo. Su scale dimensionali topologicamente differenti, potremo sostenere che tutta l’organizzazione della vita sul pianeta è realizzata sul modello cellulare, con il quale condivide alcune caratteristiche strutturali essenziali, innanzitutto la “membrana permeabile”, che chiamerei in senso lato “capsula permeabile”. Anche il corpo umano possiede queste caratteristiche. Anche il suolo terrestre non cementificato possiede queste caratteristiche. Anche la biosfera possiede queste caratteristiche: la biosfera rappresenta quella esclusiva ed unica “capsula permeabile” entro la quale è possibile la vita nel sistema solare. Per avere un’idea della limitatezza del nostro spazio vitale, la porzione del pianeta contenuta nella sua capsula permeabile in cui possiamo vivere è solamente il 4% della superficie terrestre per un’altezza di circa 10 chilometri di troposfera: se si riduce il pianeta alle dimensioni di un mappamondo da tavolo corrisponde ad un sottilissimo velo di vernice. Tutto qui lo spazio a disposizione per la vita umana.
da “Il diario dei sogni”
[Marco Candida è stato tradotto da Elizabeth Harris ed è apparso, unico italiano, su The literary Review e Best European Fiction 2011 a cura di Aleksandar Hemon per Dalkey Archive Press. Qui l’estratto originale tratto da Il diario dei sogni, Las Vegas Edizioni.]
di Marco Candida
Ora, però, vorrei riprendere quel che stavo per fare prima di interrompermi con questi sogni e queste considerazioni, ovvero chiarire come sia possibile che mi sogni la notte cose come quelle che ho riportato, dove e come dorma per sognarle, in quali posizioni, e che cosa mangi prima di addormentarmi.
Per prima cosa descriverò la mia stanza, e anzi la descriverò attraverso un sogno che ho fatto il 6 aprile 2006 – o per meglio dire che è annotato il 6 aprile 2006, ma che potrebbe essere stato fatto prima dello scoccare della mezzanotte, ossia – ovviamente – il 5 aprile 2006. Dico potrebbe perché il 6 aprile 2006 sono stati annotati due sogni che con ogni probabilità ho fatto in momenti distinti della notte. Non credo di aver sentito ancora parlare della possibilità di far due sogni distinti durante lo stesso sonno. Così la cosa più verosimile può essere che mi sia svegliato e non abbia annotato il sogno e una volta riaddormentato abbia cominciato con un altro sogno e una volta sveglio nuovamente abbia annotato i due sogni uno di seguito all’altro come se facessero parte dello stesso periodo di sonno. Deve essere andata senz’altro così e tra l’altro questo è l’unico caso tra tutte quante le annotazioni contenute nel diario.
In ricordo di Pietro Mirabelli, minatore calabrese
Gli amici di Pietro in Toscana insieme al Teatro Corsini Barberino di Mugello (FI) organizzano
7 dicembre 2010 ore 21.00
In ricordo di Pietro Mirabelli, minatore calabrese
Ingresso: 8 euro (studenti e disoccupati 5 euro). L’incasso sarà devoluto in un fondo a memoria di Pietro Mirabelli per azioni e studi per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Info: Teatro Corsini 055/ 841237 055/ 331449.
Lo scorso 22 settembre è morto sul lavoro Pietro Mirabelli, un operaio, un minatore.
Il popolo della gru. Cronaca di un’azione politica.
Gherardo Bortolotti, Andrea Inglese e Maria Luisa Venuta
[Una prima versione di questo testo è apparsa su www.alfabeta2.it]
2009: viene approvata la cosiddetta Sanatoria per colf e badanti. La Sanatoria è da subito “abusata”, come ampiamente previsto, dai lavoratori non regolari di cantieri, fabbriche, etc. per uscire dalla clandestinità e dal lavoro nero. Oltre a dover pagare diverse centinaia o migliaia di euro tra bolli e contributi, spesso i migranti devono accedere a un mercato nero di finti datori di lavoro pronti, dietro pagamento, a presentare con loro la domanda di sanatoria. In tutto questo interviene anche una circolare del marzo 2010, detto Circolare Manganelli, che esclude dalla sanatoria i clandestini che hanno ricevuto un decreto di espulsione. La circolare dà luogo a diversi assurdi giuridici che vengono risolti in modo diverso a seconda dei contesti.
L’occidente è dunque questo luogo senza popolo? Il popolo sono sempre gli altri. Noi siamo individui spopolati. Spettatori, ma per nulla passivi. Assoldati dalle mille astuzie tecnologiche, per allestire come meglio ci riesce il nostro quotidiano spettacolo: ciò che del reale riusciamo a far filtrare fino a noi in dosi piacevoli, narcotizzando il resto, il disastro.
UN LOGO PER LE DOLOMITI
di Giacomo Sartori
Il logo prescelto per le Dolomiti assurte a Patrimonio dell’Umanità non piace. E in effetti è brutto forte. Quella frammentazione geometrica delle pareti è più metropolitana che dolomitica: quasi impossibile non vederci dei grattacieli, resi ancora più nevrastenici dal cielo scarlatto sul quale si stagliano. Molti professionisti o habitué della montagna, noti o meno noti, sono insorti. Il presidente della Associazione Italiani Pubblicitari ha dichiarato che la valutazione delle quattrocento proposte è stata fatta da persone che di grafica non ci acchiappano nulla, la magagna sta lì. E quindi propone che la sua Associazione, di cui en passant ci ricorda la certificazione (ISO 9001), abbia voce in capitolo. Io non sarei così certo
For a New Italian Epic
Finalmente è uscita per Mesogea la nuova traduzione in esametri dell’Iliade, curata dal nostro Daniele Ventre. Così ho chiesto alle fantastiche genti di Mesogea l’autorizzazione a pubblicare su NI la prefazione, en entier, del mio antico amico Luigi Spina. Li ringrazio per avercela accordata e a Daniele, auguro una marea di lettori. effeffe
Provaci ancora, Dea!
di
Luigi Spina
Tradurre di nuovo, ancora una volta, l’Iliade? E perché no? Fra i primi traduttori di Omero si può annoverare Platone. Traduceva dal greco al greco, è vero, ma Jakobson ci ha insegnato che anche in questo caso si tratta di traduzione: l’ha chiamata intralinguale (o riformulazione/ rewording) – cioè all’interno della stessa lingua – nel senso che lingua di partenza e lingua di arrivo coincidono. Ma questo non basta. Se coincidessero anche i testi, infatti, allora ci troveremmo di fronte a un Platone, autore dell’«Iliade» (molti ricorderanno il Pierre Menard autore del Chisciotte, immortalato da Jorge Luis Borges).
Nel terzo libro della Repubblica Platone fa inventare a Socrate una classificazione dei generi narrativi. Gli odierni narratologi, a partire da Gérard Genette, vanno, dunque, considerati tutti suoi allievi, visto che la parola greca che usa Platone è dieghesis, ‘diegèsi’, anche se non si diverte a complicarla con ammiccanti prefissi, del tipo di meta-, intra-, extra- ecc. Sostiene Socrate che si può narrare in tre modi: 1) in modo semplice, cioè usando la propria voce; 2) con una narrazione mimetica, imitativa (forse, meglio: rappresentativa): prestando, cioè, la propria voce ad altri, ai personaggi protagonisti delle narrazioni; 3) in modo misto, usando cioè i due tipi in una stessa opera. Poesia lirica, teatro, epica, rispettivamente: questi i tre generi letterari che corrispondono ai tre generi di narrazione. E, per meglio far capire al suo interlocutore (Adimanto) di cosa si tratti, Socrate gli chiede di richiamare alla mente i primi versi dell’Iliade (12-42), dei quali dà subito uno stringatissimo riassunto (anch’esso una forma di traduzione condensata): «in quei versi il poeta dice che Crise pregava Agamennone di liberare la figlia, ma quest’ultimo si fece prendere dalla collera; l’altro, allora, visto che non riusciva nel suo scopo, pregava il dio di punire gli Achei».
La vita oscena, la lingua arsa
La Natività del Caravaggio. Dei delitti, delle pene. E dei reati caduti in prescrizione.
Al centro, una Madonna giovane e plebea, con le mani ancora appoggiate al grembo appena svuotato del suo miracolo, il capo e lo sguardo rivolti al giaciglio improvvisato dove s’allunga tenerissimo il corpo del Bambino. Sulla destra San Giuseppe ci volge le spalle, colto nella sorpresa di uno scatto improvviso e ritorto (forse un implicito riferimento michelangiolesco), in conversazione con un (probabile) Fra Leone appoggiato stancamente al suo bastone accanto a San Francesco orante, chiuso in una contemplazione compresa e rapita. Sulla sinistra, speculare, San Lorenzo si china amorevole come a saggiare più da vicino il prodigio che si compie, a fianco di un bue mansueto e sbigottito. Sormonta la scena un angelo dalle ali nere che – come già nel Martirio di San Matteo – proteso da un’oscurità indefinita, spezzata solo da un incrocio accennato di travi di legno, a collegare si direbbe le due dimensioni terrena e celeste col tramite della sua presenza, reca in mano un sacro cartiglio. Personaggi dai modi e dalle apparenze popolani, spogliati d’ogni aureola, crisalide di santità che in natura non è data, e precipitati invece in una misura tutta mondana, terrena. Umana. Il primato del vero, del reale, sulle pretese secolari della rappresentazione sacra. Una scena semplice, semplificata, che tanta più sacralità acquista tanto più si svincola dalle consuetudini dei dettami iconografici, tanto più si cala in una dimensione quotidiana, abitandone gli usi, i luoghi, gli abiti.
Viva Amanda Palmer
di Marco Rovelli
Lo confesso, Amanda Palmer per me è al di là del bene e del male. Straordinaria cantante, compositrice, musicista. Detiene uno spettro di espressività ampio e variegato come quello pochi altri. Il suo “Who killed Amanda Palmer”, il primo album solista (i precedenti erano a nome Dresden Dolls, che poi erano lei e il batterista), è il cd che sto ascoltando di più negli ultimi due anni, e riesce a non usurarsi. Perché l’usura delle canzoni è ancora più insidiosa di quella delle parole di derridiana memoria: spesso sono solchi che, dopo un ripetuto attraversamento, si rivelano svuotati, senza più niente da scoprire, vene ormai esaurite, spugne che hanno rilasciato tutto quel che avevano da dare. Altre volte c’è un’energia che invece promana inesauribile. E’ il caso, per me, della gioiosa energia di Amanda Palmer.
MILTON – III parte
di Franco Buffoni
Con il settimo libro del Paradiso perduto siamo completamente sulla terra: essa diventa il palcoscenico della tragedia, della caduta dell’uomo, della creazione del suo inferno interiore. E quindi delle sue curiosità – che sono le curiosità del poeta Milton. Un esempio tra tutti, nell’ottavo libro, l’indagine astronomica di Adamo: da dove vengo, chi sono, dove vado? Ma anche: chi (o che cosa) ho in me, a non darmi pace. Forse quell’essere elegante che mi dà forma e tiene sciolti i miei capelli sulle spalle? (Il fatto su cui in passato si è tanto insistito per dimostrare l’arretratezza del pensiero di Milton rispetto al suo tempo, relativamente alla risposta di Raffaele ad Adamo – che propone il sistema copernicano solo come una possibilità – mentre l’opera è teogonicamente tolemaica, ci pare assolutamente irrilevante).
Il principe dei poeti, come Byron definì poi Milton, forse un po’ pesante (“a little heavy”) ma non per questo meno divino (“no less divine”), mette poi in scena la storia con Adamo, Eva e il serpente, ed essi – i presunti protagonisti – non sono che maschere, riedizioni dei miracoli o dei misteri medievali. Le vere svolte psicologiche, e dunque la modernità, sono appannaggio esclusivo di Satana. E la dimostrazione è data dal fatto che il climax narrativo, inteso in senso psicologistico e quindi moderno, viene raggiunto soltanto quando l’obiettivo del poeta indulge sulla aspettativa di Satana. Egli deve riuscire a trovare Eva da sola e a parlarle, ma non sa se riuscirà, né tanto meno quando. L’aspettativa del male, forse più di quella del bene, o come quella dell’amato bene, inonda di frisson colui che attende. Tradotta in termini narrativi tale aspettiva crea sospensione, attesa anche nel lettore, partecipazione. Satana è qui Jago in attesa del momento giusto per deporre il fazzoletto, è un protagonista dostojevschiano nel momento in cui massima se ne manifesta la libido audendi.
Scuola di calore IV
Sorella, amante
a Ornela
Sono stata sorella e amante, prostituta in erba, per anni,
in uno dei tanti giardini del ventesimo secolo
dove aquile ammaestrate spiccavano il volo
quando con i tacchi evitavo le pozze di sangue.
All’ombra di un dio materno ho scoperto la bellezza.
Perciò la mia carne esposta al mercato del popolo
era per il partito più che un delitto una tara:
ah gocce di sperma lucenti come canini!
Minerali
di Giuseppe Zucco
Mamma non c’è più. Passo una mano sulla sua fronte. È bianca. È liscia. È ghiacciata. Dentro di lei c’è il marmo, la pietra, il regno dei minerali. Anche Mario avvicina una mano. Stende il palmo della mano sul taglio delle labbra. Mamma non respira, dice Mario.
Mamma è questa cosa ghiacciata che non ci guarda, gli occhi chiusi dentro la bara, i fiori intorno, precipitata in un posto di cui io e Mario non ne sappiamo nulla, anche se mamma è il corpo disteso davanti a noi, definitivamente conquistato dal ghiaccio e dai cristalli.
da “Materiali per un’identità”
di Mario Benedetti
Laceratio verticis
Capitolo Primo
I
So da chi iniziare e come. Ma fino a un certo punto. Apollinaire, Bataille, Michesltaedter. A proposito di che? A proposito dei corpi. Adopero questa formula, non so usare altre parole.
Riprendo una strofa della poesia Cortège, dalla raccolta Alcools di Guillaume Apollinaire. La mia traduzione è la seguente:
“Gente passava e vi cercavo il mio corpo.
Tutti quelli che sopraggiungevano e non erano me stesso
portavano a uno a uno (forse a due a due, coppia amante) i
pezzi (gli arti) di me stesso.
Mi costruivano a poco a poco come s’innalza una torre.
Popoli si accatastavano e io apparivo
formato da tutti i corpi e le cose umane.”
Mi fermo ai primi tre versi, prima di “On me bâti …” Oltre non so andare. Non riesco.
pop muzik (everybody talk about) #4
Ashes to Ashes / David Bowie. 1980
Note sparse su Lo specchio (Zerkalo, 1972) di Andrej Tarkovskij
di Francesca Matteoni
1. Zerkalo, lo specchio, è una superficie dove la luce si inocula e ripete il mondo, lo fissa nell’attenzione dell’occhio. Nell’opera di Tarkovskij si procede lentamente, per lunghi piani-sequenza, la fotografia che vira dai colori al seppia, al bianco e nero dell’onirico, soffermandosi sull’erba, le pareti – sulle figure assenti, che si rivelano negli oggetti, mostrano la presenza non lineare del tempo. Ogni scelta di colore è una diversa malinconia.
2. Raggiungere l’altra parte dello specchio. Nella poesia del padre, Arsenij Tarkovskij, è una donna che sta al di là, l’amante, la madre – tutte e due riunite insieme in una sola figura, avversa e compagna. Non so davvero parlare di mia madre. Lei è sempre una strana primavera, la temo e ne ho bisogno. Come all’inizio del film: un ragazzo affetto da balbuzie viene guarito con l’ipnosi. Quando c’è da dire una verità sull’essere, sui legami, i pensieri si fanno sconnessi, balbettanti, il linguaggio fallace ed inutile. Forse si possono solo pescare parole, studiarne ognuna, scandirla, sovvertire la sequenza ordinaria dei discorsi.
un libro vi trasporterà: Vittorio Giacopini
Nuova puntata di “un libro vi trasporterà” per tornogiovedì. Ospite a Cagliari di Saverio Gaeta e del suo festival Leggendo Metropolitano tra un reading e l’altro – una bella gita a Mandas- ho potuto intervistare uno scrittore che amo molto, Vittorio Giacopini, autore de “Il ladro di suoni”, pubblicato da Fandango. Immersi com eravamo nelle atmosfere ancestrali di una Sardegna insieme antica e moderna, nelle musiche incredibili che si sono succedute sul palco dell’auditorium del Conservatorio di Cagliari, nel quadro del festival European Jazz Expo, abbiamo incrociato il chitarrista Paolo Angeli, il contrabbassista Filippo Mundula dei sunflower, autori della colonna sonora di questo viaggio in un libro che vi porterà lontano. effeffe
Stasera dalle 19 alle 22,Torno Giovedì si festeggia presso
INSANA, Via San Marco 50, Milano
Reading d’autore con Franz Krauspenhaar, Marco Rossari, Fernando Coratelli, Lucia Bosso e Luigi Carrozzo.
A seguire: “Do you remember revolution?”, performance di Francesco Forlani.
Portate il libro che amate, quello che “tornereste” a leggere.
Vi aspettano!
I Rumeni e il romanzo
di Antonio Sparzani

È uscito il numero di dicembre 2010 de L’atelier du roman, la rivista trimestrale di ricerca e dialogo sul romanzo da cui già vi ho tradotto qualcosa (qui e qui). Voglio segnalare questo numero 64 – Les Roumains et le roman perché mi è parso particolarmente stimolante. Invece di incollare qui un noioso indice, vi traduco l’Ouverture, scritta, come da prassi consolidata, dal direttore, Lakis Proguidis. È come un indice, ma più piacevole da leggere e comunica di più e meglio. Gli Incontri di cui si parla sono appunto i Rencontres che tutti i partecipanti alla redazione tengono ogni anno, in una località della Grecia.
Formidabile! Questo numero ha il suo ispiratore (Ion Mihaileanu), la sua guida (B. Elvin) e il suo mecenate (l’Institut culturel roumain). Un grazie a tutti e tre.
Abbiamo amici che dànno buoni consigli e, per giunta, con i tempi che corrono, abbiamo il sostegno finanziario di una istituzione culturale, cosa mai chiedere più di così per sentirci appagati? Purché, naturalmente, questa fortunata coincidenza si rispecchi nei contenuti.








