di Andrew Zawacki
traduzione di Andrea Raos
di Andrew Zawacki
traduzione di Andrea Raos
di Adriano Padua
PARTI 5-8 (DEL SEGNO)
5. La porta spalancata sui testimoni oculari, addetta a introdurre. Propositi tutt’altro che saldi, paure ai linguaggi, nelle nostre radici parole, in trascurabili immaginazioni, nelle quali s’accumulano i particolari, si moltiplicano, danno forma alla parte del senso, è importante, non seguire le tracce. Appartenere, mentre intorno s’incide la storia, non è un fatto assoluto commesso dai corpi sconnessi. Ciascuno sta, come un giocatore, un’insidia visibile, giustificando in qualche modo la sua partecipazione. Alle estremità l’animale e la strada, l’arredamento invece è dentro, ci circonda, con i giochi riusciti.

di Ginevra Bompiani
Ed è con indifferenza che Persefone si lascia derubare, concedendogli il suo cane;
e che Eracle non diffida.
Che cosa imparò Eracle ad Eleusi non si saprà, finchè i misteri restano misteri. Ma quel che imparò doveva servirgli a penetrare nel regno dei morti; e ancor più a uscirne. Non diede però mostra di nessuna conoscenza. Forse gli insegnarono soltanto a non stupirsi. Non è questo un iniziato? A cosa mai ci si inizia se non ad accettare? E accettare senza opporre resistenza alla morte che ti sorvola, fu forse il segreto insegnatogli per tornare vivo.
Spiracle by Soap&Skin
When I was a child I toyed with dirt and I fought
As a child, I killed the slugs I bored with a bough
In their spiracle

di Andrea Inglese
Incendi
Gregorio è stanco morto, e ha bisogno assoluto di un cavallo. Quando finalmente riesce a comprarselo, tre mesi dopo, è diventato il re delle scommesse. Un sacco di gente gli vuole bene, ma non tutti. È risultato simpatico anche a Tommaso, che gestisce la manodopera clandestina in città, oltre ai chioschi delle scommesse. Gregorio monta finalmente a cavallo. Cerca con gli occhi un turista giapponese. Tutto brucia intorno a lui. Sono diversi e coordinati incendi dolosi che solo ora raggiungono il punto critico: la città è spacciata. Gregorio in sella sul suo nuovo cavallo risale il fiume. Si ferma a metà strada e prova a contare i soldi. Non sa più se le banconote devono circolare da sinistra a destra, o all’inverso.
Casanova Intégral
di
Philippe Sollers
traduzione di Francesco Forlani
Era ora! Finalmente una vera edizione delle duemila pagine delle Memoires di Casanova, l’equivalente di A la recherche du temps perdu, otto milioni di caratteri, e che caratteri! Finalmente un solo blocco spettacolare, che meritava d’essere sì sistemato, ma non di certo censurato! La vicenda è complessa, ma in fin dei conti assai semplice. Casanova (morto nel 1798) scriveva in un francese spesso maldestro. Il manoscritto viene ritrovato in Germania ed è dapprima tradotto in tedesco. Poi, nel 1826, pubblicazione “en bon français” ma con delle attenuazioni, velature, aggiunte inopportune. Il manoscritto originale, invece, dovrà aspettare il 1960 (!) per essere conosciuto. Di qui, ora, la necessità di adottare un principio unico di edizione: leggibilità dell’aggiustamento grammaticale, e intercalari tra virgolette, nel racconto, della censura. Ecco cosa è stato fatto e fatto bene: Il risultato è per l’appunto favoloso.
di Antonio Sparzani
Era stata un’estate passata a giocare ai pirati di Mompracem intorno alla vasca del bucato, al piano terra della casa di Ernesto, in mezzo a un vasto cortile di cemento, senza erba, che circondava tutta la casa. Erano tre, quell’estate. Con Fiorino ed Ernesto veniva quasi sempre anche un ragazzo dagli occhi un po’ persi, che tutti chiamavano Susa, Fiorino non capì mai perché, se fosse cioè il suo vero nome o qualche appellativo inventato dalla fantasia degli amici. Tanto più che intorno a Susa circolavano delle dicerie bizzarre, a proposito di sue strane e passate malattie, connesse con quel mondo degli organi sessuali, di cui così poco era ancora dato sapere. Fiorino non sapeva neppure dove abitasse e nulla della sua famiglia; era solo un ragazzotto alto e biondo con i capelli a spazzola e la voce già un po’ roca. Faceva parte comunque di quegli amici con cui si poteva “fare a spade”.
di Uaar
Il 3 novembre scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha detto «no» ai crocifissi in classe, pronunciandosi sul ricorso di S.L., una cittadina italiana, socia UAAR. L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti ha infatti promosso, sostenuto e curato tecnicamente l’iter giuridico, che era già passato da Tar del Veneto, Corte Costituzionale e Consiglio di Stato. Quest’ultimo aveva stabilito la legittimità della presenza del crocifisso in classe, adottando per di più la formula del «crocifisso quale simbolo della laicità dello Stato»: una linea chiaramente sconfessata da Strasburgo.
È stato un grande giorno per la laicità italiana: l’UAAR è dovuta ricorrere all’Europa per avere ragione, ma finalmente la laicità dello Stato italiano, affermata da tutti a parole, ha trovato conferma in un provvedimento epocale. E’ assurdo che bambini anche di pochi anni siano costretti a subire l’inevitabile condizionamento indotto dalla presenza del simbolo di una sola confessione religiosa.
Senza timore di smentita pensiamo di essere stati i primi pubblicamente (sul sito di pordenonelegge.it e su rivista) ad avere preso sul serio Giuseppe Genna quando molti facevano spallucce di fronte ai suoi pseudothriller, incapaci di vedere le orbite di senso che via via si inanellavano come implacabili segnaletiche dei nostri tempi “devastati e vili”, per citare un altro suo titolo di imminente riedizione. Adesso, com’è giusto, Genna è uno scrittore a 360°, di punta, ma non dimentichiamoci che fino a qualche anno fa la maggior parte di coloro che ora fanno carole festanti intorno a lui non esitava a bollarlo riduttivamente come scrittore di genere. Ma questo è il solito malcostume italiano: vizi privati e pubbliche virtù. Memoria cortissima, e doppie verità a go go. Da questo punto di vista scrittori e critici non sono certo meglio dei tanto biasimati politici: sono semplicemente una fetta della grande torta avariata che è l’Italia.

di Carlo Carabba
Resistenza del classico è il titolo del primo Almanacco BUR, nuova pubblicazione periodica, in uscita a sessant’anni dalla nascita della collana.
Ha quasi quattrocento pagine, sette sezioni più una breve introduzione e raccoglie i contributi di ventisei autori, ventotto se si contano Valerio Magrelli e Edoardo Sangunineti, intervistati da Federico Condello e Gilda Policastro. E, com’è fatale, è fatto di cose belle e cose brutte. Splendida la sezione “Officina di traduzione”, in cui vengono ritradotti alcuni classici latini – davvero incredibili le poesie di Catullo e la morte di Turno nella versione di Alessandro Fo che mantiene il ritmo della metrica latina. Sono intelligenti e utili i due saggi conclusivi, di Ivan Tassi e Daniele Giglioli, che tracciano una mappa della critica italiana, dal 1949 a oggi e leggere la riflessione di Seamus Heaney sulla poesia pastorale fa bene alla mente e al cuore.
Manhattan Experiment
di
Francesco Forlani
(La Camera Verde ProduKtion)
(extra)
Dove sono Jena, Snake, Plissken, Bob Hawk, Cabbie e Duke, l’eroe rapinatore, lo sbirro, il tassinaro e il Raiss?
Uno cambiò nome tre volte,
uno fu fatto generale,
uno cadde su un ponte lavorando per tutti, uno morì sparato –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono a Manhattan.
Dove sono il Buffone, Manhattan, The President, Mente e Maggie, mostriciattolo gay, penitenziario- ma pentirsi poi di cosa?-, il grassoccio e nano, il fornitore di gasolina e la sua squinzia? Tutti, tutti, dormono a Manhattan.
Dov’è quel Carpenter
che giocò con la vita di tutti, fronteggiando produttori, esteti, critici colti, facendo cinema, non pensando né a moglie né a parenti,
né al denaro, né all’amore, né al cielo? Eccolo! Ciancia delle parti di tanti anni fa,
delle voci di tanti anni fa a St Louis,
di ciò che Cronemberg e Romero
dissero di lui una volta.
Uno finì, una uno smise, uno cessò, uno una abbandonò – tutti, tutti dormono, dormono, dormono a Manhattan.
Pubblico di seguito un estratto dal nuovo romanzo di Franz Krauspenhaar, L’inquieto vivere segreto, edito da Transeuropa, con una nota dell’autore sulla gestazione del libro: un romanzo aperto, dove ogni capitolo è una finestra su un possibile nuovo sviluppo, uno spazio vuoto che il lettore può riempire, proseguendo la storia su di un diverso binario. Un padre, un figlio, una moglie scomparsa, un fratello perduto, un surreale, ostile paese nell’hinterland lombardo, una Germania più evocata che attraversata, resa l’interlocutore prescelto di un dialogo dove ogni figura rimanda ad altro, al modo in cui l’opera intercetta la vita, la frantuma, le si sostituisce.( f.m.)

di Vittorio Reta
Lasci scritte a sangue attraverso lo spioncino
quando la musica lascia la presa
voce anche tu miccia in acquario
per vedere una vetrata da sotto
Luci di Pietralata
Allora buttalo amore
a c. di redazione
Nazione Indiana è nata ufficialmente con un pezzo programmatico, pubblicato il primo marzo del 2003, firmato redazione nel quale Antonio Moresco e il gruppo che si era formato attorno a lui provavano a dar vita a un nuovo spazio, di letteratura e di vita. Quello che qui desideriamo ricordare, e proporre ai lettori che sono arrivati a conoscerci dopo quella data, è la parte finale del secondo pezzo pubblicato, a firma di Moresco e in forma di diario argentino ̶̶ come molti dei successivi post di Antonio ̶ , nel quale il nome Nazione Indiana viene per la prima volta articolato e raccontato sotto il fantastico titolo In attitudine di combattimento e di sogno.
Crediamo che, malgrado i rivolgimenti radicali intercorsi nel frattempo nella costituzione e nella struttura del blog, compresa l’uscita di un certo numero degli stessi fondatori, a cominciare da Antonio stesso, Nazione Indiana abbia continuamente e testardamente interpretato e praticato queste iniziali parole e che in questo si riconosca una fedeltà forte alla sua costituzione originaria.
Eccolo a voi:

C’è un giardino. Il giardino. Tutt’intorno deserto. Appressandosi la notte, il giardino andava lentamente indeterminandosi, fino a quando, sopraffatto da una moltitudine di sabbia granelli, in buio scomparve. Fu allora che mi alzai per cominciare a raccontare. Mai avrei mancato di rispetto a una tale perla, la cui fama risuonò nelle mie orecchie già nei primi giorni dell’infanzia, per nessuna ragione al mondo avrei immaginato di poterlo oltraggiare con parole inopportune o, peggio, laide, come spesso sono le degli uomini, perciò il mio tono di voce fu subito quieto e deferente, benché quel che mi apprestavo a dirgli fosse spaventoso e, lo riconosco, ancora sempre inadatto alla contemplazione delle sue bellezze. Da parte sua, il giardino aveva tutta l’aria di non essersi neppure accorto di me, né d’aver nemmeno mai udito l’inizio del racconto.
Sui fatti di Messina e del Sarno
di
Eugenio Tescione
Prima che il pensiero giunga
a coniugare addendi dividendi
paradossi e linee torte
di questo vivere in questa giungla,
valle deformata dalle forze
del premere dell’espandersi
rifondare ogni volta l’alveo
sacrificando viole e gigli,
prima dell’appassire per il troppo
fradicio dove vivono radici,
va-jont va giù acqua tragica in detriti
prima del pensiero compassionevole
di sé, dei figli.