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Il volo di Giuseppe Pinelli

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di Franz Krauspenhaar

Giuseppe Pinelli

Il dolore è diventato fitto, come se il mio corpo stesse aprendo varchi e crepe gigantesche dentro di sé. Prendo in mano una busta che mi ha appena consegnato Angela, triste come non mai. Ha fatto l’errore di affezionarsi a un moribondo, e ora ne paga le conseguenze. E l’attende una sorta di lutto, che vorrei tanto risparmiarle, anche perché non merito il dolore degli altri. Apro la busta e trovo il catalogo della mia ultima mostra. A Ravenna. Trenta dipinti, raccattati in collezioni private di un certo prestigio, dei miei inizi. “Starting Fabio Bucchi”, si chiama la mostra, Trenta quadri a macedonia, gli inizi furibondi e caotici di un artista che ancora non si sente tale, che annaspa nel gelo di una vita impiegatizia, tra la nebbia di una Milano anni 60 che il boom lo calpesta, lo vede per modo di dire. C’è anche il quadro dei Casati ̶ Stampa, recuperato chissà dove, a chiudere. E vari tentativi di informale, a rifare alla mia cruda maniera il Morlotti della Brianza. Due quadri così, dove metto insieme in un informale esasperato un paesaggio di campagna brulla e casermoni, sopra, come nell’incollaggio di due realtà del tutto diverse. E poi vedo la foto di un quadro che mi fa male rivedere: “Il volo di Pinelli”.

Il corpo ferito del Capo

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AGGRESSIONE SILVIO BERLUSCONI

di Marco Belpoliti

Che cosa suggerisce la visione del viso insanguinato del Presidente del Consiglio? Quello di un uomo che ha subito un incidente, che si è rotto il labbro, che si è fratturato il naso, che sanguina copiosamente. Un accidente casalingo, un incidente d’auto, un’effrazione improvvisa e inattesa. Qualcosa di fortuito e casuale. In realtà, come sappiamo tutti per averlo visto nei telegiornali, o su You Tube, Silvio Berlusconi è stato colpito da un oggetto scagliato con forza da un uomo.
Un attentato dissennato, dato l’oggetto usato per ferirlo – un souvenir, un simbolo della città di Milano in miniatura –, e vista la situazione. Un gesto folle, eclatante, assurdo. Un attentato in miniatura, si dovrebbe dire, perché non mortale, nonostante la situazione e il contesto, simile a quello di mille altri attentati a uomini politici negli ultimi due secoli: all’aperto, tra la folla, all’inizio o alla fine di un comizio. Qualcuno si sporge tra la massa dei sostenitori e compie l’atto fatale. Ma qui non accade.

Se questo è d’uomo

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MILANO 2

Quel volto di sangue vero
di
Beppe Sebaste

Io ho paura. Di quel volto imbrattato di sangue, di quello sguardo. Quelle foto sono già un’icona contemporanea, un evento – che lo vogliamo o no – estetico, cioè politico. Nel flusso delle pose, delle immagini patinate e intinte di cerone, quel volto umano e per questo inaudito del capo, intriso di sofferenza e di odio, mi turba come – per esempio – un’opera-installazione di Maurizio Cattelan. E’ sangue vero – anche questo mi stupisce. Rosso. Comune e mortale. Volto, per una volta, nudo. Volto che, per una volta, soffre (s’offre). Utopia di una comprensione, una conversione, che non avverrà mai. Anzi.
Ho paura della violenza, di ogni violenza. Mi sento colpito, irradiato da un’energia negativa emanata da quel volto, nonostante ogni compassione. Se è l’era di un nuovo realismo, ho paura della brutalità della cosiddetta realtà. Mi fa anche già paura il fatto che sento di non riuscire a esprimere liberamente il flusso di pensieri e di associazioni di idee, anche solo intellettuali, anche puramente estetiche (se esistono), che quella sequenza di immagini mute mi suscita. Ho paura della mia autocensura, presentimento di una pesante censura. Paura dell’immensa violenza di rimbalzo. Paura di vedere, in quella bocca piena di sangue, l’immagine simmetrica della bocca che ride per mostrare i denti. Paura di scorgere, nel ghigno dell’umana sofferenza, un soffio algido di vendetta.

Anelli – Su Suttree di Cormac McCarthy

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di Marco Rovelli

 

suttreeLa fuga viene alla fine, stavolta. Nel romanzo di Cormac McCarthy Suttree (che risale al 1979, e che finalmente è stato tradotto da Einaudi), nessun esodo nel deserto, come in altri suoi romanzi, nessun inseguimento. Solo un esodo interno, per così dire, un vagare incessante nei margini di una città, nelle sue miserie e mostruosità che poi sono il cuore stesso dell’umano. Macerie, relitti, baracche, acque nere e mortifere ingombre di rifiuti, carcasse d’auto, tracce di petrolio, liquami e preservativi sugli alberi: “un fatiscente mondo incantato”, quello dove si muove e vaga Suttree, pescatore sul fiume. Nel mondo di Suttree “non si è mai al sicuro”, come gli dice il cenciaiolo, l’uomo degli stracci. Ed è nell’assenza assoluta di sicurezza che sta la piena universalità di questo mondo incantato dei margini: nella vulnerabilità dell’umano esposta al limite.

Sincronie 2009 – DATA

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15 dicembre – ore 19.30/21 c/o Teatro Arsenale – Via Cesare Correnti, 11 – Milano

ingresso libero fino ad esaurimento posti: è possibile prenotare l’ingresso inviando una mail a prenotazioni@sincronie.org

Presentazione/videoscreening/concerto a cura di Marco Mancuso/Digicult, che si focalizza su una riflessione critica della relazione esistente tra arte contemporanea e scienza nel rapporto con le tecnologie digitali, sulla base di processi matematici, numeri, astrazioni logiche e formule. L’evento è incentrato sull’opera di Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand, pionieri della creazione di ambienti sensoriali i quali fondono chimica, fisica e filosofia, in relazione all’analisi della percezione umana di tali fenomeni. Alla presentazione della loro opera che si svolgerà  alle ore 19.30 seguirà  alle 21 un videoscreening dedicato ad alcuni esempi di artisti che lavorano sul rapporto tra suoni e immagini generati da fenomeni fisici, chimico-fisici, matematici, elettromagnetici e nanometrici. La serata si concluderà  con la performance di “10000 peacock feathers in foaming acid” in cui Evelina Domnitch e Dmitry Gelfand faranno interagire un proiettore laser e bolle di sapone per generare immagini immersive e organiche.

Per Informazioni:
SINCRONIE www.sincronie.org | info@sincronie.org | prenotazioni@sincronie.org

Prigioni

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di Christian Delorenzo

Posso pure sorridere e scherzare
con gli amici, ascoltare le persone
(quasi sempre per finta), dispensare
consigli e comportarmi da coglione.

Posso pure convincermi di stare
bene e vivere, amare con passione
(e con passione odiare), essere un mare
in tempesta e attirare l’attenzione.

Posso persino fare capriole
e strani versi, e fingere di essere
felice tra i miei stracci di parole.

Ma provo sempre quel sordo malessere
che non so definire: sembra un sole
di cenere nel fondo del mio essere,

un girasole immobile
che brucia al vento delle mie preghiere
nel fondo più profondo del mio essere.

Olè

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palladi Mirfet Piccolo

Marinella è casa da sola ed è tutto tranquillo, come piace a lei.
La partita sta per iniziare e deve sbrigarsi con il pranzo. Sbuccia e taglia velocemente, non vuole perdere neppure una battuta. Una banana, una pera, una mela, e Marinella è contenta. Non le pare vero. Si vede che al mercato la davano in offerta, tutta quella frutta, e non fa niente se è ammaccata e se le banane sono nere e molli. Così la frutta è più dolce, si sente di più. Marinella raccoglie la ciotola su una mano, mentre con l’altra trascina la sedia sul balcone della cucina. La buccia rimane abbandonata sul tavolo; la butto giù dopo, pensa Marinella, prima che mamma torni. Perchè anche a 10 anni si hanno delle responsabilità, la mamma lo dice sempre, anche se Marinella ha paura degli scarafaggi che sbucano dal pozzo di scarico e che di notte vanno in giro per casa. Prima di sedersi da un’occhiata veloce allo scarico della pattumiera, che sia ben chiuso con il pezzo di legno incastrato sotto la leva di apertura e che non ci siano scarafaggi in uscita. Chissà com’è che arrivano fino a qui, si chiede, chissà perché.

12.12.1969 – Stragedìa della tensione

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Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.

Intervallo

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A serious man

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di Mauro Baldrati

Qualcuno ha scritto che A serious man di Joel e Ethan Coen è un film incomprensibile per chi non conosce a fondo la cultura ebraica. Molti sono infatti i riferimenti alla lingua, alla Torah, al bar mitzvah. Forse è per questo che l’inizio, una scena ambientata in uno sperduto shtetl polacco del secolo scorso, sommerso dalla neve, recitata in lingua originale coi sottotitoli, sembra scollegato dal resto del film?

Tè, acque, città e bellezza

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di Antonio Sparzani

Tazza_invetriata_verde

Ho cercato di guardare meglio l’acqua dei canali, la sera, la luce è quella dei lampioni — naturalmente disposti secondo una geometria adatta alla complessiva irregolarità della pianta cittadina — e delle finestre illuminate, che pure sono punti luce che completano l’inimitabile ornato veneziano.
Non è buia quell’acqua, è scura ma continuamente screziata di riflessi sempre mobili, basta un barcone, una bava di brezza, o non so quale altro incanto per dare vita alla superficie.
Non sono andato drio a la zente stavolta, ho di proposito infilato qualche improbabile sotoportego e qualche stretta calle fuori mano, cercando molto approssimativamente di mantenere una direzione; e sono finito, dopo qualche vicolo cieco, in zona stazione ferroviaria, pardon, ferrovia, qua nessuno dice stazione, si dice semplicemente ferrovia, segnaletica pedonale in testa. E allora tornare a campo santa Margherita, che in questa occasione è il mio riferimento di base, sarà facile: la strada ferrovia — santa Margherita l’ho memorizzata con inossidabile sicurezza.

Magnificat (1969- 2009) antologia poetica

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Pubblico molto volentieri alcune poesie dall’antologia di Cristina Annino, uscita per puntoacapo Editrice a cura di Luca Benassi e con una nota critica di Stefano Guglielmin, sul cui blog ho conosciuto la poesia di Annino. Nel libro, oltre ad una scelta antologica, rappresentativa di tutta la produzione dell’autrice, è inclusa la silloge inedita e omonima Magnificat. Cristina è una poetessa straordinaria, sorprendente ad ogni nuovo libro, ma che purtroppo gode di poca attenzione critico-editoriale. I suoi versi si nutrono di un’assoluta libertà espressiva e di temi e interlocutori cari all’autrice quali gli animali, l’amore per un compagno o quello grandissimo per la madre, i viaggi, la solitudine di una “casa d’aquila”, senza suonare mai scontati, ripetitivi. Leggendo crediamo (anche prima di comprendere) al cane azzurro, alla madre e ai topi, al Vegetale Banano, a zampe che dipingono come mani. Alla vitalità mai compiaciuta di questa poesia, che parla a tutto quello che la circonda, ne fa un mondo dentro il mondo, denso, immaginario, straniante – ma con tutti i sintomi della realtà, della vita che scorre nelle case, nelle relazioni, con il proprio gatto o cane, a confronto con l’io, quasi fosse un altro individuo “carnivoro” e grottesco. (f.m.)

Ad alcuni poeti & affini nell’Italia dei malori

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di Andrea Inglese

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In tempi di profanazione delle coscienze

Voi disquisite sul Sacro

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In tempi di umiliazione e abbruttimento dei corpi

Voi parlate della bellezza e delle anime

.

In tempi di ottenebramento organizzato

Voi parlate del fascino della nebbia

.

In tempi di razzia e linciaggio

Voi parlate d’altro

.

In tempi di morti dirigenti

Voi parlate di risorti

.

Mentre i veri preti si confondono con la gente

Voi vi confondete con i preti

E sapete tenere un discorso

Solo laddove non vi può far male

La vita facile

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richardprice

di Gianni Biondillo

Richard Price, La vita facile, Giano editore, trad. di Stefano Bortolussi, 502 pag.

Lo scenario è quello di una Manhattan fuori dai luoghi comuni dei turisti, il Lower East Side, ex quartiere ebraico e oggi coacervo di multiculturalità: negozi gestiti da yemeniti, sexy shop, locali notturni, caseggiati ultrapopolari. È una notte qualunque di una New York incapace di dormire. Tre uomini, conosciuti quasi per caso, stanno tornando a casa dopo l’ennesimo pub dove ci si è stonati di alcool, il classico rito che serve a dimenticare le proprie frustrazioni diurne.

MOSCHEE

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di Franco Buffoni

Perché non proviamo ad affrontare le esigenze dei cittadini (“cittadini”, non popolo o pubblico o plebe) in un’ottica illuministica? Che dire della costruzione di nuove chiese cattoliche – in parte erette con finanziamento statale – nelle periferie urbane, dove alta è la percentuale di immigrati professanti altri credi religiosi? E delle polemiche quando certe giunte rifiutano di donare il terreno alla comunità islamica per la costruzione di una moschea, o addirittura quando – elveticamente ispirate – vietano tout court la costruzione di nuove moschee? Quale risposta dovrebbe dare un amministratore pubblico laico e privo di preferenze o pregiudizi ideologici?
In primis dovrebbe prendere atto che esistono vasti strati di cittadini con forti esigenze di aggregazione. Le finalità possono essere rituali e religiose, ma anche culturali e ricreative. Si constata che tali esigenze sono molteplici e si giunge alla conclusione che quella municipalità o quel dato quartiere non hanno spazi e denari per finanziare ciascun gruppo nella realizzazione del proprio edificio…

“Prosa in prosa” a Milano

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cop pip Prosa in prosa è un’antologia che raccoglie gli scritti di sei autori: Andrea Inglese, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Michele Zaffarano, Andrea Raos. Il tipo di scrittura di ricerca proposta, né racconto né poesia, rifiuta tanto le retoriche narrative quanto gli schemi usurati del poème en prose.

Giovedì 10 dicembre, alle 16:30, gli autori presenteranno il volume presso la Libreria Universitaria IULM, in via Carlo Bo 8, a Milano.

Gherardo Bortolotti – Alessandro Broggi – Marco Giovenale – Andrea Inglese – Andrea Raos – Michele Zaffarano, PROSA IN PROSA, Fuori Formato, Le Lettere 2009.

Introduzione di Paolo Giovannetti
Note di lettura di Antonio Loreto

“Questo libro a sei voci vuole fare il punto su una forma di scrittura da qualche tempo molto attuale e discussa, anche in Italia: la poesia in prosa. Dando luogo, da subito, a qualcosa di nuovo. Dopo almeno centocinquant’anni di storia questo genere non solo ha raggiunto una piena maturità, ma può anche confrontarsi con la sua tradizione; può ripensarla criticamente. Il titolo lo suggerisce: dalla prosa si tratta di tornare (polemicamente, ironicamente) alla prosa stessa; e scoprire uno spazio diverso. La scrittura in prosa interagisce coi generi del discorso non-poetico: cronachismo, narratività, parlato informale. Ogni tentazione di bello scrivere – di prosa d’arte – è rifiutata: la prosa in prosa riparte dal discorso comune, dalla lingua logorata della quotidianità. I sei autori sono tutti nati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta; e si sono messi in luce da tempo come alcuni fra i più acuti autori e teorici, nel nostro paese, nell’aria della scrittura di ricerca.”

Lettera aperta a un giovane ex allievo della Nunziatella sulle nuove cadette

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di
Francesco Forlani
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Caro Mario R., io sono convinto che se ti rileggi con più attenzione ti renderai sicuramente conto di quanto impulsive siano state le tue note. Sul web forum degli ex allievi, non si discute delle idee politiche, e per quanto si tenti ognuno di essere poco giudicante si sa che alla fine non è il colore politico che conta ma quello dell’anima. Perché il colore dell’anima non tradisce, non delude, non si sbianca alla prima lavatrice né all’ultimo sole. I colori dell’anima li distingui lontano un miglio, non brillano per lucentezza tronfia e vanitosa, diciamo invece che li senti chiari e distinti per quanto opachi, e in un dialogo costante con le ombre a farti segno, a portarti soccorso. In francese il colore è femminile, la couleur, si dice, mentre da noi si fanno maschi, rinchiusi in una O singolare o in una I, quasi a comporre un ideale IO, poi ci sono le eccezioni, va bene, in particolare quella E di verde, che aggiunge un verbo a quel primo vocalizzo: IO E’. Ma il Viola? E il rosa? mi dirai tu. Certo quasi volesse ricordarci, questa vecchia signora, Grand Mère, Grammaire, che nessun io si dà per genere, e che non ci sono IO più veri di altri. Lei, giovane cadetta, oggi come tu pochi anni fa, ti dice IO esattamente come te. E il suo colore accenna a una desinenza che ti manda su tutte le furie, oggi, ma che ti è sorella, amica, amante, collega, moglie, madre.
La nostra scuola è femminile per eccellenza, NUNZIATELLA, che lo dici forte quel nome, quasi lo canti, e come maschio e piccolo ti sembra il nome nunziatello – così ci chiamavano a Napoli i borghesi – che evoca piccolo, quindicenne, sbarbato, inetto. I valori, Les Valeurs, dicono al femminile sempre i francesi, come la Lealtà, la Fedeltà alla parola data, l’Amicizia, la Tradizione, la Giustizia, che tu vorresti di una sola parte, quella del diritto e del destro (droit- droite) sono gli stessi, forse di più, per numero visto che vi si aggiunge l’uguaglianza, di chi vorresti dall’altra parte della barricata. Non mi sento un partizan di Repubblica, la cui giornalista, Tiziana Cozzi, prendendo fischi per fiaschi, s’è fatta il suo scoop da…giornalista, ma tu te lo immagineresti un De Sanctis scrivere su Libero? Carlo Pisacane sul Giornale? E Guglielmo Pepe sul sole 24 ore? Ex maestri e allievi come noi abitanti per un periodo infinito al Rosso Maniero…pdd_050417
Concludo così, Mario, che hai già nel nome un quasi colore, e nomen omen, guarda guarda, proprio quel colore che ti fa paura, temi, e che non dovresti visto che per un terzo veste la nostra bandiera.

Loca V: ISCA

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di Orsola Puecher

 Isca.
Isca di Eduardo.
Eduardo,
che io ricordo
come

il re delle isole.

Uomini e luoghi, a dispetto del tempo che cerca di cancellarne i contorni, restano legati al ricordo di un’immagine: la prima che si mette a fuoco nel pensarne all’improvviso i nomi. Una sola che la vince fra tante e che diventa il Ricordo. Di un luogo l’alba di un certo giorno, la sua luce, uno scorcio di tetti, finestre accese. L’essere curva e immensa di una piazza che hai visto bambino e che, se la rivedessi ora, si ridimensionerebbe a piccolo slargo insignificante. Di una casa le persiane accostate nell’immobilità della controra, nel frinire delle cicale che si interrompe di colpo e allora là sarà per sempre estate. Di qualcuno un certo sguardo e allora sarà per sempre amato. E così, nel rivedere una vecchia registrazione di Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo, all’ambientazione dimessa e invernale della commedia, al poveruomo infreddolito, con la scialla e le chianelle, si sovrappone una figura secca secca, Sik Sik, nel sole e nel mare di un isola: il re delle isole, in piedi a prua della barca bianca, il gozzo San Pietro, fra scie e scogliere verso Positano. Panama, sahariana di lino, chiaro nella luce forte di un agosto lontano. Un ricordo a sprazzi luminosi, a salti di inquadrature, come solo sanno essere i fotogrammi dell’infanzia e di certi sogni.

L’ avvento della società spiona

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Di Ilvo Diamanti (profilo) – da Repubblica 29 novembre 2009

Pochi giorni fa l’ amministrazione di una località in provincia di Mantova, governata da una coalizione Lega-Pdl, ha invitato i cittadini, con manifesti eloquenti, a denunciare i clandestini che risiedono entro i confini comunali. D’ altronde, un’ esortazione analoga era stata rivolta ai medici ospedalieri, in una versione preliminare del “pacchetto sicurezza” presentata dal governo. Segni di una marcia inarrestabile, che conduce – anzi: ci ha già immersi – in un mondo nuovo. La società spiona. Che tutti sono chiamati a costruire, rafforzare, estendere. In nome della sicurezza.

Appunti sulla poesia in prosa e/o viceversa

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di Marco Simonelli

Poema in prosa? Prosa poetica? Come si chiama quella roba che i poeti scrivono senza andare a capo? E perché un poeta (che in genere si avvale di unità versali per comporre un testo) prende a scrivere tutto di seguito? È poi vero che questo famigerato poème en prose sia più praticato all’estero che in Italia? Partiamo da Baudelaire col suo Le Spleen de Paris e muoviamoci verso le versificazioni futuriste più di rottura, procediamo in direzione de La Notte campaniana ed esploriamo alcune scritture del nostro ‘900 oggi fra le più trascurate dai lettori come quelle di Jahier e Gatto. È questo il percorso della prima parte di un saggio di Paolo Giovannetti Dalla poesia in prosa al rap – Tradizioni e canoni metrici nella poesia italiana contemporanea uscito l’anno scorso da Interlinea.

Letteratura e editoria (il caso Germania)

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di Giovanni Nadiani

Il caso Germania: la scrittura ‘silenziata’ e i traffici del marketing.

Un’analisi della situazione tedesca contrassegnata da un lato da una rete istituzionale e mediatica di sostegno all’attività letteraria, dall’altro lato investita come in tutto il mondo dal crescente prevalere dei valori di mercato, dalla ricerca del bestseller e da una iperproduzione di libri di intrattenimento a scapito della narrativa ‘seria’, ciò che ha dato luogo a fenomeni di ‘sparizione’ di tanti autori di qualità come, ad esempio, l’assai stimato Jürgen Theobaldy, uno dei protagonisti della stagione degli anni Settanta, che si è ridotto a pubblicare senz’alcun riscontro ‘on demand’.

Da decenni ormai, secondo quanto proposto dalla critique génetique e fatto proprio in molte arti, anche in letteratura il “testo”, cioè il “prodotto” con cui un lettore-ascoltatore-spettatore viene a confrontarsi, in realtà non è da considerarsi il frutto affatto esclusivo di una singola genialità bensì come il lungo processo di una creatività collettiva. E soltanto in questo modo ci è possibile, se non comprendere, avvicinare determinati fenomeni caratterizzanti l’attuale produzione letteraria, in misure e forme diverse, di quasi tutte le lingue.