Fra il 16 e il 22 ottobre scorsi, il corpo di Stefano Cucchi scompare. La sua identità è sempre intatta — 31 anni, arrestato la notte del 15 ottobre per possesso di stupefacenti — ma la vista del suo corpo è negata alla famiglia e a chiunque altro. Il padre, la madre e la sorella lo vedono per l’ultima volta in Tribunale, il 16 ottobre, alle nove di mattina. Notano già le ecchimosi sul volto. Di lì in poi, scompare. Il 22 ottobre viene recapitata ai parenti la notizia da parte dell’ospedale Regina Coeli: Stefano Cucchi è morto.
Lui diceva di essere “caduto dalle scale”. La procura di Roma indaga per omicidio preterintenzionale da parte di chi l’ha avuto in custodia e, verosimilmente, l’ha ammazzato di botte.
Le foto — e ha ragione Adriano Sofri quando dice che nessuno può permettersi di parlare di Cucchi senza averle viste — sono qui. E sono agghiaccianti.
Quanto alla verità sull’accaduto, non resta che attendere l’esito delle indagini. Ma sull’implausibilità di tesi insabbiatrici, basta già leggere questo articolo.
Tutto getta una luce orribile sulla presunta sicurezza in cui siamo avvolti, sul presunto grado di garanzia di una fetta delle forze dell’ordine, sulla cultura che ha informato tale fetta — e vi invito a leggere il bel pezzo di Marco Mancassola al riguardo.
Ma c’è dell’altro.






di Marco Belpoliti

Il mio migliore amico nel corso della sua esistenza ha fumato trecentoundicimila sigarette e s’è bevuto centoquarantasettemila e cinquecento lattine di birra. Naturalmente non ha bevuto solo birra in lattine, perché s’è scolato anche un’infinità di birre in bottiglia, e soprattutto alla spina, e poi vino bianco e rosso, whisky, grappa, bourbon, slivowitza, vodka, sakè, martini, vermut, e vari altri alcolici puri o mescolati tra loro. Ma tradotti in lattine di birra il totale fa pur sempre centoquarantasettemila e cinquecento: i miei calcoli sono piuttosto precisi. Un po’ meno di cinquemila ettolitri di birra, pari a duecentocinquanta ettolitri di alcol puro.


